Perché quella forma particolare di razzismo che è stato il nazismo dovrebbe essere l’unica forma scandalosa poiché applicava a degli occidentali bianchi (gli ebrei europei) un trattamento che tutti i governi occidentali, compresi quelli che oggi piangono, sono stati d’accordo (e sono ancora oggi d’accordo) nell’applicare ai popoli che hanno oppresso e continuano in varie forme a opprimere nel mondo?
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L’epoca di Carlo Magno fu l’età d’oro degli ebrei dell’Europa occidentale. Le classi padronali e proprietarie di allora erano assai deboli a causa di tutta una serie di ostacoli economici, politici e religiosi che ne frenavano lo sviluppo. In tale contesto, gli ebrei – perlomeno una parte (la loro stratificazione sociale nell’VIII secolo non differiva sostanzialmente da quella degli altri gruppi sociali) – che esercitavano le professioni di commercianti, e, in particolare, di commercianti con il mondo arabo e, attraverso di esso, come il mondo orientale (all’epoca molto più sviluppato economicamente), colmavano questo vuoto e svolgevano un ruolo economico essenziale, vitale. Essi garantivano il funzionamento di ciò che Marx chiama la sfera della circolazione.
Il potere politico di quell’epoca aveva ben chiaro l’utilità degli ebrei e conferì loro per questo tutti i tipi di privilegi, compresi quelli feudali. Quando, a partire dal XII secolo, la nascente borghesia trovò nel suo cammino gli ebrei, che erano divenuti dei concorrenti, cercò di eliminarli (vedi, per altri versi, la faccenda dei Templari). In molti luoghi, la lotta contro gli ebrei unì la borghesia e la Chiesa, rappresentante di enormi interessi economici.
La coalizione tra la borghesia e la chiesa fu tanto potente da far trionfare la sua posizione. Fu un’epoca di persecuzioni terribili contro gli ebrei, con numerosi massacri, un’epoca che si sarebbe conclusa con la scomparsa quasi totale degli ebrei dalla maggior parte degli Stati dell’Europa occidentale (vedi la sorte dei sefarditi). Essi poterono continuare a vivere soltanto in alcune città libere o in certi piccoli Stati. Molti andarono in esilio nel mondo arabo e, in seguito, in quello che sarebbe diventato l’impero ottomano, dove furono bene accolti.
Nella stessa epoca, gli Stati dell’Europa orientale, più arretrati economicamente, si trovavano allo stadio di sviluppo che era proprio degli Stati dell’Europa occidentale cinque secoli prima, e la presenza degli ebrei era utile allo sviluppo della loro economia. I re di Polonia, in particolare, promulgarono tutta una serie di decreti per attirare gli ebrei presso di loro. Da quest’epoca data l’importante insediamento ebraico nell’Europa centrale e orientale.
La seconda metà dell’Ottocento vede l’accelerazione dello sviluppo del capitalismo nell’impero russo (che comprendeva allora anche la Polonia). Questo sviluppo capitalista coincideva con la penetrazione in Russia del capitale francese, britannico, tedesco, in seguito americano. Le nuove condizioni economiche, legate allo sfascio del sistema feudale, non sono più favorevoli alle attività di commercio e artigiane esercitate nelle comunità ebraiche. La borghesia locale sente come un ostacolo intollerabile la concorrenza degli ebrei, il che comporta una fiammata di antisemitismo senza precedenti (vedi l’ondata di progrom nel 1882).
Ancora una volta, milioni di ebrei devono “scegliere” l’esilio, andando negli Stati Uniti, in Francia, in Germania, altri nel rifugio tradizionale rappresentato dall’impero ottomano, ma la maggior parte andrà verso occidente, in particolare perché la ferrovia costituirà il loro principale mezzo di fuga.
È necessario rilevare che gli ebrei che avevano già “beneficiato” del capitalismo nascente, per esempio diventando proletari, saranno meno toccati dall’ondata di emigrazione che stava per verificarsi. Questa differenza avrà delle conseguenze importanti quando i nazisti invaderanno l’Europa orientale, poiché la popolazione ebraica che incontreranno conterà una proporzione di proletari più grande rispetto a quella di cinquant’anni prima e, proprio per questo, meno sensibile alla propaganda sionista.
C’è un posto dove le contraddizioni saranno più acute che altrove: l’impero austro-ungarico, che riunisce nel suo territorio regioni economicamente arretrate appartenenti all’Europa orientale e regioni industrializzate appartenenti all’Europa occidentale. Si tratterà di emigrazioni che avranno luogo all’interno stesso del paese, una specie di esodo rurale (tipo quello delle regioni meridionali verso il nord nell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta).
L’ebreo dello “shtetl” (villaggio rurale) della Galizia, della Transilvania o della Rutenia subcarpatica approderà direttamente a Vienna. Non sarà casuale che proprio in questa capitale, vero nodo delle contraddizioni, inizierà la rinascita dell’antisemitismo occidentale. È proprio in questa città, non casualmente, che visse un certo Theodore Herzl e, un po’ più tardi, un disadattato nativo di Braunau sull’Inn che s’infatuerà di antisemitismo.
Quali furono le conseguenze di questa emigrazione? Nei paesi occidentali che li accoglievano (Germania, Francia, Austria) esisteva una comunità ebraica che per gran parte apparteneva alla borghesia, spesso la più facoltosa, e che stava progressivamente assimilandosi, perdendo le sue tradizioni e spesso abbandonando ogni pratica religiosa. Questa comunità, che era riuscita così bene ad integrarsi alla borghesia dei vari paesi, tanto che il razzismo anti-ebraico non era altro che una sopravvivenza, vedeva con terrore arrivare dall’Europa centrale queste migliaia di ebrei miserabili, con le loro rendingotes, gli strani cappelli e che parlavano yddish.
Questa borghesia ebraica (vedi i Rothschild del ramo francese) pensava che tali arrivi avrebbero provocato una fiammata di antisemitismo, e avevano d’altra parte ragione (si pensi al caso Dreyfus). La domanda che si ponevano con angoscia era: come liberarsene? Il sionismo stava per diventare la risposta a questa domanda.
Quando si arriva a questo punto della ricostruzione storica, sia ha l’impressione che tutto si concateni logicamente, e però si tratta di uno schema analitico e interpretativo, mentre la realtà storica non è così semplice. Tuttavia bisogna rendersi conto che il problema ebraico, la sua causa sottostante, fondamentale per ogni evoluzione, per ogni svolta, era certamente una causa economica; questa ha, ogni volta, operato attraverso una mediazione ideologica sempre molto importante, così importante che il discorso idealista sulla questione ebraica ha potuto facilmente, anche più che in altri casi, “ideologizzare” il problema.
È infatti facile stabilire delle strette correlazioni tra un certo cambiamento della situazione degli ebrei in un dato paese e quella certa bolla papale, o legislazione (vedi quella napoleonica, per esempio), oppure quella tale modificazione della pratica religiosa della popolazione del paese stesso. Questa facilità interpretativa può anche portare a restringere la questione ebraica alla faccenda dell’antisemitismo, che finisce poi con l’essere ipostatizzata come l’unica origine dei mutamenti della questione, e con l’essere in quanto tale presentata anche come una categoria teologica o quasi. Questa ideologizzazione del problema è lo scoglio principale che impedisce una comprensione della questione ebraica nella sua reale dimensione storica. I sionisti l’hanno capito bene.
(Continua in un prossimo post, forse).
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