Un blog, che si definisce reiteratamente “anticapitalista”, dedica un post agli ultimi eventi con il titolo “La questione palestinese dopo il 7 ottobre”. Apre con una citazione, che evidentemente fa propria:
«La questione palestinese sorge con la fine della Seconda guerra mondiale e si proietta fino alla preparazione della Terza, della quale anzi potrebbe essere uno degli ormai numerosi possibili “incidenti” scatenanti. Perciò abbiamo sempre tentato con vivo interesse di decifrarne l’enigma (Combat, Supplemento Palestina, 1986)».
Ma di quale cavolo di “enigma” parlano, come si fa a dire che la questione palestinese sorge con la fine della seconda guerra mondiale? È vero che nel dopoguerra, nel 1948, il movimento sionista istituzionalizzava lo Stato d’Israele nei territori palestinesi portarono così a compimento un’operazione di sgombero di quasi un milione di abitanti autoctoni, per la maggior parte semplici contadini, e altre centinaia di migliaia di persone rimaste furono trasformate in cittadini di seconda classe, in paria nella loro stessa terra, ma come si era arrivati a questo?
Affermare che la questione palestinese sorge con la fine della seconda guerra mondiale, fa il gioco dei sionisti, significa negare le origini storiche della questione palestinese, dello scontro tra arabi e israeliani, misconoscere le violenze dell’una e dell’altra parte, ma soprattutto voler ignorare la nascita e l’azione delle organizzazioni terroristiche sioniste in terra di Palestina, il vero ruolo di carnefici del movimento sionista e dell’imperialismo che ha invaso e occupato le terre palestinesi e sfrattato la loro popolazione (*).
Senza andare troppo indietro con la storia della questione palestinese, di cui ho tracciato qualche linea nel post precedente, già nel 1939 era in atto la terza fase del sionismo. Per attenerci alla definizione di Ben Gurion, Michael Bar-Zohar, in The Armed Prophet: A Biography of Ben Gurion, Barker, 1967, scrive: «La prima fase era quella dell’amore persiano ed è la possibilità di un accesso legale in Palestina. Questa fase finì all’inizio della grande guerra. La seconda fase, quella del sionismo politico, inizia con la dichiarazione Balfour e termina con il Libro Bianco del 1939 [Commissione Peel]. Inizia allora la terza fase, quella del sionismo militante».
Questo periodo è come caratterizzato dalla nascita di gruppi terroristici che avrebbero gettato le basi del futuro esercito israeliano. Il gruppo più importante era quello organizzato dall’Agenzia Ebraica: l’Haganah, che, all’atto della Dichiarazione dello Stato di Israele, era un esercito clandestino di 60.000 uomini. L’Irgun, costituito dagli inglesi durante la rivolta araba del 1936-‘39, era un gruppo meno numeroso ma molto più violento. Da quest’ultimo se ne distaccherà, nel 1940, un terzo che opererà per proprio conto sotto il comando di Abram Stern, dal quale prenderà il nome.
La sospensione dell’immigrazione fu l’occasione principale dell’inizio delle attività dei diversi gruppi. Il gruppo di Stern si segnalò per una serie di assassinî nella regione di Tel- Aviv. La stessa opinione pubblica ebraica appoggiò le misure draconiane di sicurezza decretate contro questo gruppo dalle autorità britanniche. Abram Stern morirà nel 1942, nel corso di un’operazione del suo gruppo. All’inizio del 1944, la campagna terroristica si intensificò. Culminerà nel 1946 a Gerusalemme, dove il 22 luglio il gruppo Stern faceva saltare l’albergo King David, quartier generale delle forze britanniche: 91 i morti e 45 i feriti.
L’iniziativa terroristica, rivolta prevalentemente contro gli inglesi, fu successivamente rivolta contro i palestinesi. Nella notte tra il nove e il 10 aprile 1948 il villaggio di Deir Yassin cadde in mano ai terroristi dell’Irgun, capeggiato da Menachem Begin (noto “pacifista”, tanto da meritare poi il Nobel per la pace) e dal gruppo Stern. Una strage di 254 persone tra le quali donne e bambini. Una strage assurda, apparentemente inspiegabile, ma non per Begin, che nel suo libro The Revolt: Story of the Irgun, New York, 1951, scriveva testualmente: «[...] Tutte le forze ebraiche avanzarono dentro Haifa come il coltello nel burro. Gli arabi fuggivano presi dal panico».
La politica di Israele nei confronti del popolo palestinese, fondamentalmente sempre uguale a sé stessa e che precede anche la fondazione dello Stato di Israele, non è altro che la liquidazione del popolo palestinese come identità nazionale, riduzione di chi sopravvive ad una massa di profughi senza terra.
Bisogna pur chiamare con il suo nome una politica di discriminazione razziale esercitata con terrore poliziesco nei territori occupati, con carcere, privazione di diritti e torture. E questo nome è apartheid, nelle sue forme peggiori (**).
L’ex presidente Jimmy Carter, amico d’Israele, nel 2006 ha pubblicato Palestine: Peace Not Apartheid, dove già il titolo chiarisce un fatto storico che i sionisti tendono a negare. Carter afferma: «La situazione attuale in Palestina, la confisca delle loro terre, l’incapacità della sua gente di protestare contro ciò che accade, la costruzione del “muro” all’interno del suo territorio, e la completa separazione degli israeliani dai palestinesi sono, per molti versi, condizioni ben peggiori dell’apartheid in Sud Africa».
Il libro di Carter suscitò aspre polemiche presso la comunità ebraica americana e i media che essa controlla. Alle critiche sull’impiego della parola “apartheid”, secondo Le Monde dell’11-12-2006, Carter ha risposto: « [...] il libro descrive l’abominevole oppressione e persecuzione nei territori palestinesi occupati, il rigido sistema di lasciapassare e la rigida segregazione tra cittadini palestinesi e coloni ebrei in Cisgiordania. In molti sensi, è più oppressivo che per i neri che vivono in Sud Africa durante l’apartheid.»
In un’altra intervista, l’ex presidente difendeva il termine “apartheid” usato nel titolo e nel testo del libro: «Apartheid è una parola che descrive accuratamente ciò che sta accadendo in Cisgiordania, e si basa sul desiderio o sull’avidità di una minoranza di israeliani per la terra palestinese. Non è basata sul razzismo. Questi avvertimenti sono chiaramente fatti nel libro. Questa è una parola che descrive molto accuratamente la separazione forzata degli israeliani dai palestinesi all’interno della Cisgiordania e la totale dominazione e oppressione dei palestinesi da parte dell’esercito israeliano dominante».
Lo Stato di Israele è stato costruito nella negazione fisica e morale di tutto ciò che è arabo e palestinese. Chi lo nega è complice di questo crimine storico.
(*) Si sostiene che i pionieri della colonizzazione palestinese fossero artigiani, poveri negozianti, gente insomma di cui si può dire tutto tranne che avevano cospicue possibilità finanziarie. Il che in parte è vero, ma nell’insistere su questo aspetto si cerca così di trasmettere un’immagine “plebea”, “operaia” e persino “socialista” del sionismo. Non era nei piani del barone Edmund de Rothschild, e di altri signori come lui, trasferirsi personalmente per coltivare la terra in Palestina. Ma questo non significa nulla in termini di caratterizzazione di classe del sionismo. La chiave è: a chi conveniva che sarti, venditori ambulanti e disoccupati umili e disperati di Varsavia o Lublino venissero noleggiati per la Terra Santa?
Se c’è qualche dubbio su cosa ciò abbia significato il movimento sionista in relazione alla situazione politica europea, è lo stesso Herzl a chiarirlo: uno dei suoi temi ossessivi è che l’emigrazione degli ebrei in Palestina è l’unica garanzia che non verranno reclutati. dai “partiti sovversivi”. Herzl incontra Guglielmo II, imperatore di Germania. Di che cosa parlano? «Herzl ha presentato il suo progetto in termini generali. Poi si parlò del problema ebraico, dell’affare Dreyfus, dell’influenza della Germania nell’Est e del vantaggio che si sarebbe potuto trarre dalla soluzione della questione ebraica, la quale, se non risolta, come Herzl non mancò di sottolineare, avrebbe spinto i proletari ebrei verso i partiti sovversivi».
L’ideologia sionista, per tutto l’arco della sua evoluzione, rappresenta un tutto di una tale complessità che sfida ogni analisi semplicistica. Si è dichiarata socialista, comunitaria, rivoluzionaria e si è fatto un gran rumore intorno l’esperienza del kibbutz senza riconoscere che questi venivano costruiti su terre rubate i palestinesi.
(**) «[...] Israel’s continued control and colonization of Palestinian land have been the primary obstacles to a comprehensive peace agreement in the Holy Land. In order to perpetuate the occupation, Israeli forces have deprived their unwilling subjects of basic human rights. No objective person could personally observe existing conditions in the West Bank and dispute these statements.
«Two other interrelated factors have contributed to the perpetuation of violence and regional upheaval: the condoning of illegal Israeli actions from a submissive White House and U.S. Congress during recent years, and the deference with which other international leaders permit this unofficial U.S. policy in the Middle East to prevail.
« [...] The United States has used its U.N. Security Council veto more than forty times to block resolutions critical of Israel. Some of these vetoes have brought international discredit on the United States, and there is little doubt that the lack of a persistent effort to resolve the Palestinian issue is a major source of anti-American sentiment and terrorist activity throughout the Middle East and the Islamic world.
« [...] A system of apartheid, with two peoples occupying the same land but completely separated from each other, with Israelis totally dominant and suppressing violence by depriving Palestinians of their basic human rights. This is the policy now being followed, although many citizens of Israel deride the racist connotation of prescribing permanent second-class status for the Palestinians. As one prominent Israeli stated, “I am afraid that we are moving toward a government like that of South Africa, with a dual society of Jewish rulers and Arab subjects with few rights of citizenship. The West Bank is not worth it.” An unacceptable modification of this choice, now being proposed, is the taking of substantial portions of the occupied territory, with the remaining Palestinians completely surrounded by walls, fences, and Israeli checkpoints, living as prisoners within the small portion of land left to them.
« The bottom line is this: Peace will come to Israel and the Middle East only when the Israeli government is willing to comply with international law, with the Roadmap for Peace, with official American policy, with the wishes of a majority of its own citizens—and honor its own previous commitments— by accepting its legal borders. All Arab neighbors must pledge to honor Israel's right to live in peace under these conditions.» (J. Carter, Palestine: Peace Not Apartheid, 2006, capitolo 17).
Non si può comprendere la natura del conflitto in corso
RispondiEliminalimitandosi alla #Palestina, bisogna guardare a quello
che succede nel complesso scacchiere mediorientale e
oltre. #Hamas e le forze borghesi che lo sostengono
usano i Palestinesi come carne da cannone per i loro
interessi. Ci sono paesi che vogliono far saltare gli
accordi di Abramo tra #ArabiaSaudita e #Israele e
mirano a compattare il #mondoislamico contro
l'occupante israeliano. #Qatar (alleato della #Turchia) e
#Iran (finanziatore di #Hezbollah) sono tra i maggiori
sostenitori di Hamas, e non vedono di buon occhio l'asse
Tel Aviv-Riyad. Ogni stato elabora i suoi #wargame, che
vengono aggiornati in base alle mosse del nemico.
Dal punto di vista militare l'attacco condotto da Hamas
rappresenta un nuovo modo di condurre la #guerra, più
leggero (alianti, droni, ecc.), ma non per questo meno
efficace. È stato colpito in profondità il nemico, mettendo
in crisi le politiche di deterrenza d'#Israele basate sulla
minaccia di far pagare un caro prezzo a chi osa
attaccarlo. In seguito al bombardamento di un ospedale
a #Gaza, è stata assaltata l'ambasciata israeliana in
#Giordania. Recentemente un "lupo solitario" ha
compiuto un attentato a Bruxelles. La #guerracivile si
sta diffondendo nel #mondo e tutti sono coinvolti. Israele
è in guerra dalla sua fondazione, ma questa situazione
non è accettata da tutti: al suo interno è nato un
movimento di riservisti che rifiutano di prestare servizio
nei territori occupati, di reprimere la popolazione
palestinese e di partecipare ai rastrellamenti di massa;
molti di loro vengono messi in carcere ("Dal fronte interno
israeliano"). Durante le grandi manifestazioni contro la
riforma della giustizia di #Netanyahu, migliaia di
riservisti si sono schierati contro il governo annunciando
che avrebbero respinto la chiamata dell'esercito. Ora,
grazie all'operazione militare di Hamas, il
#fronteinternoisraeliano si è ricompattato, ma non è
detto che lo sarà per lungo tempo.
Resoconto teleriunione 17 ottobre 2023 ___ Guerra civile
generalizzata