Come reagirà il “sistema” alla nuova crisi che si avvicina a spron battuto? Mario Seminerio, acuto esaminatore, dice di non saperlo, ossia non osa pronunciarsi sul domani e riguardo al passato lo giudica contraddittorio e confuso, e così evita di diventare una statuetta di sale.
Eppure basterebbe non farsi assorbire nella posizione ideologica dominante per cogliere l’insieme del processo di crisi fondamentale che investe il modo di produzione capitalistico, di cui le crisi finanziarie rappresentano il fenomeno e l’acceleratore ma non la causa.
Si tratta sempre e comunque, nei suoi aspetti essenziali, dello stesso modo di produzione capitalistico, così come storicamente determinato nelle categorie di “merce”, “lavoro”, “denaro” e “valore” e dell’automovimento tautologico di quest’ultimo, nella logica della “valorizzazione del valore”.
Come scrivevo alcuni giorni or sono, Seminerio ricorderà, quello che realmente c’è di nuovo, è la dimensione globale e gigantesca del gioco finanziario. Soggiungo: è la diminuzione assoluta del lavoro vivo nel processo immediato di produzione e la conseguente caduta non solo del saggio medio di profitto ma della massa di plusvalore sociale.
A quali modificazioni andiamo incontro per quanto ci riguarda direttamente come “nazione”? Continueremo a rimanere l’anello debole della catena imperialista, sempre teatro di scontri, terra di conquista delle multinazionali straniere più forti, cimitero di piccole-medie-grandi imprese spazzate via dalla concorrenza, vera colonia dell’epoca attuale.
Dov’è, ancora, la novità? Gli anelli forti scaricano sugli anelli più deboli le contraddizioni più devastanti, e a noi resterà solo spazio di fare concorrenza, come solito, nel costo del lavoro ai paesi meno sviluppati.
Come retrobottega logistico della Nato, potremmo arrangiarci facendoci assumere con il ruolo di mercenari a basso costo. Non si tratterà più di lasciare la vita nelle miniere del Belgio come sessant’anni fa, oppure nei cantieri edili di Svizzera e Germania, ma in qualche deserto e in qualche strada coperti di disprezzo e di odio.
La struttura stessa dell’apparato produttivo italiano è tanto inconciliabile con il divenire dell’imperialismo e le crisi del capitale, quanto è compatibile con il ruolo antico di riserva di braccia a buon mercato, gendarmi di serie B, cani da guardia dello “scambio ineguale”, dello sfruttamento imperialista dei popoli del sud del mondo. Hai voglia a scrivere letterine a Scholz: imbecilli.
Ma queste cose M.S. le sa, eccome se le sa. Ma non può essere franco e diretto fino in fondo col suo pubblico: la fine del mondo è una delle poche prospettive positive di questi tempi.
La chiusa del tuo post è sconfortante , ma concordo che la fine di un supplizio è sempre un sollievo.
RispondiEliminaSpero di godermi qualche anno di pensione mentre tutto scatafascia .
Ciao cara
Il modo in cui chiudo il post vuole essere una provocazione, che dovrebbe suscitare una reazione. Anche se in genere non ci si rende ben conto, viviamo sotto la pressante minaccia di diverse catastrofi mondiali. Non solo potenziali, teoriche, bensì reali, già in atto. Il più delle energie della mia mente (che sta ahimè invecchiando) sono spese nello sforzo di afferrare il significato di tali minacce, nel rintracciarne le origini e nel capire la logica di questo grandioso e terribile fallimento della vita delle persone nel mondo occidentale.
EliminaGrazie per il commento.
Seminerio ormai si è istituzionalizzato, ha finito il repertorio cabarettistico ed ora rimane una Cassandra stridula, autoconsolatoria proprio per quelli come lui e i suoi sodali, che hanno studiato alla McKinsey...
RispondiEliminaDi questo passo può tranquillamente mettere il paywall per i contenuti.
Luigi