lunedì 18 settembre 2023

Una repubblica fondata sul discount

 

In un supermercato, essere poveri significa in definitiva darsi l’illusione di non esserlo, grazie ai piccoli piaceri che accetti di concederti: cibo di qualità per il tuo cane o gatto (entrambi?), un ninnolo, un piccolo elettrodomestico superfluo: eh già, il lusso del superfluo, la capacità di non limitare la propria vita a un bisogno vitale.

Non mi serve l’Istat, quell’istituto statistico che trucca i metodi di conteggio per calcolare il numero dei lavoratori poveri. Il contatto con le situazioni reali, qui nel “ricco Veneto”, è sufficiente per una rappresentazione veritiera della situazione sociale. Ed è un fatto che nel supermercato davanti a casa vedo sempre meno clienti. Preferiscono i discount.

Sono tempi in cui ognuno confronta la realtà del proprio portafoglio con ciò che può o non può comprare. E di che cosa, in fondo, può davvero fare a meno. Ti senti povero e finora non ti eri mai considerata così? In un’epoca in cui i prezzi, già alti, ora stanno esplodendo, è sempre più complesso definire chi è povero e chi no.

Se la soglia di povertà è fissata al 60% del reddito medio della popolazione, significa che sei povero con un po’ meno di mille euro il mese. Che ci fai con quella somma se devi mangiare, scaldarti, vestirti e curarti. Situazione che riguarda, dicono, qualcosa come una dozzina di milioni di persone, soprattutto i molto giovani e gli anziani.

Non va meglio in Francia, a dar retta alla società di sondaggi Ipsos: un francese su tre non può permettersi tre pasti il giorno. Deduco che la Francia di Macron, potenza nucleare, non è un paese dove tutti hanno abbastanza da mangiare. Quanto agli altri, molti di quelli che consumano i loro tre pasti, fanno esattamente come gli italiani: selezionano e stringono la cinghia.

Si entra come in un enorme frigorifero congelato nel silenzio. Benvenuti nell’obitorio del potere d’acquisto. Grandi manifesti fluorescenti: l’offerta del giorno, quella della settimana, del mese e l’urgenza di acquistare qui e ora. Un insieme di linee sature conferiscono al luogo un’estetica artificiale, un abbozzo del consumo americano.

Secondo il principio del discount, i costi sono ridotti al minimo. Molti prodotti vengono riposti nelle loro scatole su pallet. Pochissimi dipendenti e niente musica. Risuona solo la vibrazione dei congelatori, interrotta di tanto in tanto dal motore elettrico del transpallet per mettere la merce sugli scaffali.

Una società di opulenza e privazione. C’è la mamma che ha ceduto ai coni gelato di primo prezzo per la merenda dei figli, ma ha rinunciato alla carne di manzo. Ha infilato nel carrello molta pasta, latte UHT, fettine di pollo e di maiale, scatolette di tonno, qualche verdura, pochissima frutta, per un totale di 125 euro, un paniere che dovrebbe permettere a lei e ai suoi due figli di tenere il passo della settimana.

Sono pochissimi i marchi della pubblicità televisiva. È passato molto tempo da quando erano comune appannaggio delle classi lavoratrici. Lidl e Aldi sono gli ultimi bastioni dove confrontiamo il nostro portafoglio con la realtà, con i limiti delle nostre “scelte” di vita. Che cosa posso acquistare, cosa posso davvero ottenere di ciò che desidero o di cui ho bisogno? Ho lo stile di vita sano che ho sempre sognato? Se siamo quello che mangiamo, Lidl e Aldi sono un grande specchio dove ognuno contempla la realtà del proprio posto nella società.

Nessun commento:

Posta un commento