lunedì 18 settembre 2023

La realtà è molto meno "giusta"

 

Una “transizione giusta” verso i veicoli elettronici è diventata una parola d’ordine.

In un comunicato dell’ultimo G7 si parla di “una transizione giusta [...] che raggiunga una crescita sostenibile e posti di lavoro di alta qualità”. Messa così, chi vuoi non sia d’accordo?

La Casa Bianca dichiara che l’amministrazione Biden sta “portando avanti una transizione giusta [...] lavorando fianco a fianco con i leader internazionali, la società civile e le imprese”. Nel sito della Commissione europea si legge che l’UE dispone di un “meccanismo per una transizione giusta per garantire che la transizione verso un'economia climaticamente neutra avvenga in modo equo e non lasci indietro nessuno. Offre un sostegno mirato per contribuire a mobilitare almeno 55 miliardi di euro nel periodo 2021- 2027 nelle regioni più colpite, al fine di attenuare l’impatto socioeconomico della transizione”.

Il termine “transizione giusta” è un riferimento eufemistico al fatto che centinaia di milioni di lavoratori rischiano di perdere il lavoro e dunque la fonte per il loro sostentamento. Non perché l’energia rinnovabile sia un male in sé, ma perché la “transizione energetica” è una transizione gestita da e per le grandi aziende: è una transizione capitalista.

La realtà è che “giusto” è una parola che unita a “equo”, “inclusivo”, “opportunità”, “riqualificazione”, “efficienza”, “lotta alla povertà”, “energia pulita e sicura”, “prezzi abbordabili”, “protezione”, “investimenti”, eccetera, serve a mascherare ciò che sta realmente accadendo.

La transizione energetica, così com’è attualmente prospettata, ha poco a che fare con il tentativo di frenare il riscaldamento globale e la protezione della natura. Ha molto più a che fare con il controllo sulle risorse mondiali, le catene di approvvigionamento e sulle produzioni ed esportazioni commerciali avanzate.

In tutto il mondo i governi mentono spudoratamente sui loro piani “climatici”. Un esempio è dato dal fatto che la prossima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici sarà ospitata negli Emirati Arabi Uniti, il secondo produttore di petrolio (e un assertore dei “diritti umani”, certamente) dopo gli Stati Uniti.

Nel rapporto dell’Agenzia internazionale per l’energia, Emissioni nette pari a zero entro il 2050, sintesi per i decisori politici, si legge: “La quota dell’OPEC nell’offerta globale di petrolio molto ridotta cresce da circa il 37% negli ultimi anni al 52% nel 2050, un livello più alto che mai nella storia dei mercati petroliferi”.

Dunque si prevedono riduzioni nell’offerta mondiale di petrolio, ma con un aumento molto consistente della quota dell’OPEC.

Sempre secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, non solo la domanda mondiale di petrolio – la principale fonte di emissioni di carbonio – “sta raggiungendo livelli record”, ma “gli impegni presi finora dai governi – anche se pienamente rispettati – sono ben al di sotto di quanto necessario per portare le emissioni globali di anidride carbonica legate all’energia a zero entro il 2050”.

Si legge ancora: “Nel 2050, quasi il 50% delle riduzioni saranno realizzate grazie a tecnologie che si trovano attualmente in fase di dimostrazione o di prototipo. Nell’industria pesante e nei trasporti a lunga distanza la quota della riduzione di emissioni ascrivibile a tecnologie ancora oggi in fase di sviluppo è persino più elevata”.

Ovvio che “I cambiamenti influenzeranno numerosi aspetti della vita delle persone, dai trasporti, ai metodi di riscaldamento e cottura, alla pianificazione urbana e all’occupazione”. Tali cambiamenti di comportamento (sotto la voce “comportamento” è inclusa anche disoccupazione e precariato), in particolare nelle economie avanzate, porterà a “prediligere gli spostamenti a piedi, in bicicletta o con i trasporti pubblici rispetto all’automobile o rinunciare a prendere voli di lunga tratta”. E tutto questo sconquasso nella vita di miliardi di persone quanto contribuirà alla riduzione totale di emissioni di CO2? Circa il 4%, dice il rapporto.

Più precisamente, se tutte le aspettative dovessero essere soddisfatte in pieno, cosa che lo stesso rapporto mette in forte dubbio, e dunque “secondo la strategia per la neutralità carbonica, la domanda energetica mondiale nel 2050 sarà inferiore dell’8% rispetto a quella attuale”. Stiamo parlando della più rosea delle previsioni!

Le energie rinnovabili non solo devono sostituire le vecchie forme di energia ma provvedere alla crescita della domanda energetica globale, soprattutto man mano che le attività e le cose diventano più elettrificate. Tutto ciò è auspicabile se avvenisse nell’ambito delle coordinate di un sistema economico e sociale diverso dal capitalismo e dal monopolio delle multinazionali, e diverso anche dall’attuale assetto politico di Stati-nazione tra loro rivali.

La realtà è ben diversa: la Cina domina completamente la produzione di veicoli elettrici e i minerali critici necessari per produrli: litio, nichel, cobalto, manganese e grafite.

All’inizio degli anni 2000 la Cina, comprendendo la propria limitata capacità di controllare la produzione globale di petrolio, ha deciso di fare una scommessa aggressiva sulla tecnologia dei veicoli elettrici. Il governo cinese ha sovvenzionato la crescita dei veicoli elettrici e, in misura minore, la produzione di minerali fondamentali.

Tutto ciò, paradossalmente, si sposa perfettamente con l’avvertita esigenza di ridurre le emissioni antropiche di CO2 e altri gas. Se non fosse che il dominio della Cina su questi nuovi aspetti critici della produzione globale – veicoli elettrici, energie rinnovabili e minerali critici – minaccia la supremazia degli Stati Uniti (*).

Pertanto c’è una questione centrale alla luce del sole: gli Stati Uniti devono sviluppare le proprie catene di approvvigionamento e di produzione per far fronte a questi processi di cambiamento, quindi adoperarsi per garantire che i loro alleati rimangano legati all’ordine economico e militare che essi guidano (“partenariati sulla sicurezza minerale” con Australia, Canada, Finlandia, Francia, Germania, India, Italia, Giappone, Corea del Sud, Svezia, Regno Unito e Unione Europea nel suo insieme.).

Più in ombra ma non meno realistico c’è il fatto che si sta usando il pretesto di una transizione energetica “giusta” per preparare la guerra contro la Cina. I pianificatori del Pentagono e delle agenzie di intelligence statunitensi, vedono la sconfitta della Cina militarmente ed economicamente come la questione strategica decisiva del nostro secolo.

(*) Dal 2018, le vendite di veicoli elettrici sono quintuplicate a livello globale e la Cina ha guidato tale espansione. Nel 2016 la Cina ha esportato meno di mezzo milione di automobili a livello globale, molto indietro rispetto a Giappone e Germania, che ne hanno esportate ciascuna più di 4 milioni all’anno. Dall’inizio del 2021, tuttavia, le esportazioni di automobili cinesi sono aumentate. È stimato che la Cina sostituirà il Giappone come principale esportatore di automobili già entro la fine del 2023. La maggior parte di queste auto sono veicoli elettrici, guidati dalle tre principali società SAIC, BAIC e BYD. In Cina, circa il 60% delle nuove vendite sono veicoli elettrici, un tasso di gran lunga superiore a quello di qualsiasi altro paese popoloso.

1 commento:

  1. Le tue osservazioni sul rapporto dell'agenzia dell'energia mi sembrano ineccepibili. Penso si debba aggiungere una cosa: questo lavoro, frutto a quanto pare del contributo di millanta esperti, ci spiega come ridurre le emissioni nette, ma si dimentica di spiegare in che misura la riduzione impatterà sul riscaldamento globale. Non è omissione di poco conto, e purtroppo questa dimenticanza riguarda tutti gli studi di cui ho notizia.

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