martedì 5 settembre 2023

Futuro prossimo

 

Quando Herbert Clark Hoover, da non confondere con l’altro Hoover, John Edgar, boss della CIA, assunse la carica di presidente degli Stati Uniti, nel 1929, disse che si sarebbe dedicato l’abolizione della povertà: “Qui in America siamo ora più vicini al trionfo definitivo sulla povertà di quel che mai lo fossimo stati nella storia del nostro paese”.

A parte l’uso corretto del congiuntivo, questa frase mi ricorda qualcosa di simile pronunciato in un’epoca molto più vicina a noi. Questo tipo di gaglioffi, di ieri, di oggi e di sempre, dimenticano o fingono di non sapere che la povertà è indispensabile per il buon andamento della società borghese. Attualmente non è più il caso della miseria più nera e generalizzata, poiché un certo grado di benessere e capacità di spesa delle classi lavoratrici deve soddisfare i bisogni dell’industria e della finanza (a ciò serve la finanza pubblica e relativo debito, per esempio).

In quell’anno, il 1929, quasi tutti gli indici dell’andamento degli affari mostravano un evidente tendenza all’aumento: l’occupazione delle fabbriche in miglioramento, i trasporti delle merci, i contratti di costruzione, i prestiti bancari, che da 3 miliardi e mezzo di dollari del 1927 erano saliti quell’anno ad 8 miliardi e mezzo. Allora come oggi in troppi vivevano sulle loro risorse future, e la cieca fiducia nel futuro maschera gli errori.

Il valore medio dei titoli di borsa balzava da 117, nel dicembre 1928, a 225 nel settembre 1929, e alcuni titoli, come gli United States Steel e i General Electric, salivano addirittura alle stelle. Si impiantavano centinaia di nuovi trust per gli investimenti e durante il 1929 si registrò una vendita di 1.124.999.000 azioni nella sola borsa di New York.

Che cosa sarebbe mai potuto andare storto in una società così prospera e con la felicità iscritta nella Costituzione? Eppure la situazione economica mondiale non era tale da infondere fiducia. I debiti di guerra erano inesigibili, il commercio con l’estero era in declino precipitoso, gli interessi su miliardi di dollari di investimenti privati non venivano pagati.

Tuttavia la prosperità, anche durante i suoi massimi trionfi, non era stata generale, come accade spesso nel migliore dei mondi possibili. L’agricoltura era depressa, il potere d’acquisto delle classi agricole severamente ridotto. In difficoltà anche l’industria del carbone e quella tessile, molte altre si trovavano in difficoltà a causa dei costosi miglioramenti tecnologici che determinavano, tra l’altro, una disoccupazione che sembrava temporanea.

In effetti, la disoccupazione, tratto caratteristico e indispensabile dell’economia capitalistica, era stata un fatto costante per tutto il decennio; nel 1921 era calcolata a più di 4 milioni di persone, né mai era scesa sotto un milione e mezzo. Chissà perché mai molta della nuova ricchezza era finita in mano di poche persone e il potere d’acquisto dei consumatori non era materialmente cresciuto; tra il 1923 e il 1928 l’indice dei salari era salito da 100 a 112, mentre quello dei profitti di speculazione era balzato da 100 a 410 (avete letto bene).

Nello stesso tempo i debiti, pubblici e privati erano saliti a cifre astronomiche; nel 1930 il totale gravame dei debiti era stimato tra 100 e 150 miliardi di dollari (di allora!), un terzo circa della ricchezza della nazione (sovviene qualcosa?). I debiti, gli acquisti a rate e la speculazione avevano teso il credito fino al punto di rottura. I manipolatori del credito, sia quelli pubblici che quelli privati, non potevano non sapere i gravi pericoli a cui si andava incontro. E infatti i più saggi, o i meno stupidi, consideravano inevitabile una deflazione e anzi un collasso.

Tutti sappiamo che cosa accadde alla fine di ottobre del 1929 e in seguito. Quello che non sappiamo e ciò che potrà accadere il prossimo autunno o in qualsiasi altra stagione del nostro futuro prossimo. Ho solo un’ultima cosa da dire, un ultimo dato: i pagamenti d’interessi e di dividendi raggiunsero, nel 1931, un massimo assoluto di 8 miliardi di dollari; né in alcun momento, durante la depressione, caddero al di sotto del livello del 1928. Il calcolo totale del reddito nazionale dimostra che esso diminuì da 85 miliardi di dollari del 1929 a 37 nel 1932. Risulta chiaro su chi si riversò il carico della depressione.

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