Fine della pandemia. Non è cambiato e cambierà nulla dopo il virus poiché questo è sempre e solo uno dei nomi, una delle forme inventate dal dispositivo per regnare sul mondo attraverso la minaccia, la paura, l’angoscia. Eravamo già schiavi del dispositivo, che ha inventato un altro modo per costringerci ulteriormente, tanto che non abbiamo nulla da sperare se non in un aggravamento delle nostre condizioni di vita e del nostro servilismo.
Salveremo le imprese e le banche, riporteremo l’ottimismo sui mercati finanziari, eccetera. E ognuno di noi continuerà a vivere e morire schiavo. Non ce ne rendiamo ben conto perché ognuno di noi non è mai stato realmente libero. Non si tratta solo di un confinamento fisico, ma di un confinamento mentale e politico, entro le forme democratiche di una dittatura. Possibile non ce ne rendiamo conto?
È spaventoso quanto siamo intrappolati; il nostro servilismo non sarà premiato, ma punito ancora. I governi hanno in mente solo una cosa: non l’interesse di tutti, quello non l’hanno mai avuto, ma la volontà di mantenere a tutti i costi il sistema all’interno del quale una minoranza gode di ricchezza e potere straordinari. Le vittime del capitalismo integrato si contano a migliaia, dunque, che cos’è cambiato essenzialmente rispetto al passato? Penso sia questo il sintomo di una motivazione, spesso inconscia ma per questo non meno vera, per cui in Francia milioni di persone scendono in piazza, incidentalmente contro la riforma delle pensioni.
Ciò accade mentre da noi il ridicolo diventa più osceno ogni giorno che passa. Un’immensa solitudine, individuale, collettiva. Li vedo questi giovani, intossicati dagli idoli di un becero consumismo, ammassati nelle discoteche, annoiati davanti ai bar, la loro solitudine è ciò che li unisce. Non sembrano avere coscienza che il nostro modo di vivere è assurdo, funzionale all’insensata corsa di un capitalismo sempre sull’orlo della rottura e della distruzione, che uccide una parte dell’umanità perché l’altra possa illudersi di vivere bene.
La planetarizzazione del lavoro, l’orrore economico, la precarietà, l’inquinamento dell’aria, del cibo, dei rapporti sociali e di quelli più intimi. Hanno creato le condizioni dell’epidemia e altre ne verranno, comprese le guerre, a sconvolgere le nostre vite. Perché è il sistema stesso un’epidemia, che ci costringe al suo squilibrio e continua a soffocarci, a devastare, a revocare la nostra libertà, privandoci del tempo, uccidendo le nostre aspirazioni più autentiche.
Certo, apparentemente nulla ci impedisce di volere la nostra emancipazione, di proclamare che sarà assolutamente necessario cambiare questo mondo, prima che a governarci siano in tutto e per tutto dei robot, ossia il dispositivo del capitalismo mascherato di neutrale tecnologia. Ci vorrà una vera e propria svolta antropologica, una rivoluzione non solo ecologica, ma di tutti i nostri modi di essere e pensare. Ma per essere e pensare in modo diverso quanti inferni si devono aprire ancora?
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