domenica 5 marzo 2023

Mussolini diplomatico


Nei primi mesi del 1923, poco dopo l’avvento al potere, Mussolini raccoglieva in campo internazionale plausi e consensi da lui stesso forse insperati per quanto perseguiti tenacemente. In febbraio, Lord Curzon, foreign minister, aveva elogiato l’ex muratore di Dovia come “l’uomo di meravigliosa energia e dal pugno di ferro”. Un elogio di dubbia sincerità, come rilevava lo storico della diplomazia Ettore Anchieri. In maggio, Giorgio V aveva consacrato, con la sua visita Roma, la rinnovata amicizia italo-inglese pronunciando in Campidoglio parole che suonavano di esaltazione del fascismo e del suo capo: la crisi italiana era stata superata “sotto la guida sapiente di un forte uomo di Stato”.

Non solo elogi britannici. Il 28 giugno di quello stesso anno l’ambasciatore degli Stati Uniti, Richard Washburn Child, parlando a una pubblica cerimonia, elevava un inno all’opera di Mussolini e giungeva a congratularsi con lui “per aver trovato ottime verghe per i suoi fasci” (sic!). Anche il decano del sacro collegio, cardinale Vannuteli, salutava Mussolini come “il restauratore dei destini della Patria” (perché il Vaticano vedesse con particolare favore Mussolini l’ho già raccontato), parole che si riveleranno profetiche un ventennio dopo.

Tanto favore internazionale per Mussolini era legato ai fatti diplomatici connessi con le riparazioni e i debiti di guerra dovuti dalla Germania in forza del trattato di Versailles. In tale questione gli interessi di Francia e Gran Bretagna non potevano essere più divergenti. Gli obiettivi inconfessati delle due potenze vedevano da parte francese quello di mantenere la Germania nel suo stato di prostrazione e, da parte inglese, quello di affrettare la resurrezione della Germania per le esigenze commerciali britanniche e per impedire la temuta egemonia della Francia sul continente (*).

Dato il temperamento e la mentalità di Mussolini, ben presto il coro internazionale di osanna per il capo del fascismo si interruppe bruscamente. La mattina del 27 agosto 1923, vicino al confine greco-albanese, la delegazione italiana, incaricata dalla Conferenza degli Ambasciatori di tracciare i confini tra Grecia e Albania, venne trucidata. A morire fu il generale Tellini, il maggiore Corti (medico della spedizione), il tenente Bonaccini, aiutante di campo di Tellini, l’autista Farnetti, e l’interprete albanese, Thanassi Gheziri, un epirota di Leskovik (**).

Mussolini, furioso, decise di mandare, scritto di suo pugno, un ultimatum al governo greco, pretendendo il pagamento di una ingente somma di denaro come risarcimento e l’umiliazione di Atene. Il governo greco si rese disponibile ad accogliere alcune delle richieste italiane (relative alle esequie), ma non le altre, anche per il semplice fatto che non si sapeva ancora chi fossero i reali responsabili dell’eccidio (elementi nazionalisti, forse albanesi o greco-epiroti, che non furono mai individuati con certezza).

Per rappresaglia Mussolini diede ordine di occupare militarmente l’isola di Corfù, e ciò scavalcando sia la Conferenza degli Ambasciatori e sia la Società delle Nazioni. Allo scopo furono inviate truppe imbarcate su naviglio e alcune corazzate. Al comando della missione fu posto il vice ammiraglio Emilio Solari, il quale, attraverso il tenente di vascello Foschini, intimò al prefetto Petros Evripaios di consegnare l’isola entro due ore.

I termini della resa stabilivano che la bandiera greca sarebbe stata ammainata e quella italiana issata. L’amministrazione dell’isola sarebbe stata assunta dal contrammiraglio Bellini, al quale sarebbero state consegnate tutte le caserme delle forze armate e della gendarmeria e tutte le armi delle truppe e depositi di materiale bellico. Le comunicazioni telegrafiche, telefoniche e postali sarebbero state interrotte e il trasporto terrestre e marittimo sarebbe passato sotto il controllo italiano.

Il prefetto Evripaios oppose che doveva dapprima informare il governo di Atene e ricevere ordini in tal senso. Il termine posto da parte italiana di due ore fu poi ridotto unilateralmente a mezz’ora. Solari ordinò alla flotta italiana di cannoneggiare Corfù, in particolare la fortezza vecchia, disarmata, che si sapeva essere ricovero di profughi e di orfani greci dell’Anatolia. Si contarono 15 morti e 35 feriti. Il bombardamento cessò non appena il prefetto diede l’ordine di issare bandiera bianca.

Il bombardamento avvenne nonostante fosse stato raccomandato al vice ammiraglio di non impiegare la forza e di evitare incidenti con la popolazione. Il ministro della Marina, Paolo Thaon di Revel (uomo di fiducia di V.E. III, riteneva irrinunciabile un rapporto di amicizia, se non di alleanza, tra Italia e Gran Bretagna), ebbe modo di rilevare per iscritto al vice ammiraglio Solari le numerose “manchevolezze e inconvenienti” della spedizione (**). Tuttavia, Solari fu promosso ammiraglio ed ebbe affidati incarichi di prestigio fino al termine della sua carriera (***).

Merita sottolineare, a tale riguardo, il comportamento tenuto da Vittorio Emanuele III. Scrive Anchieri (Il sistema diplomatico europeo: 1814-1939, p. 221) che il Re fu informato il giorno stesso dell’ultimatum inviato da Mussolini alla Grecia, il monarca “dette la sua laconica approvazione”. Si premurò solo, all’apice della crisi, di scrivere a Mussolini chiedendogli quanto segue:

Vittorio Emanuele III al presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, Mussolini. T. s. n. Racconigi, 1 settembre 1923, ore 16,50 (perv. ore 17,40).

Il 4 corrente cade il genetliaco della Regina Olga di Grecia nonna del Re alla quale ho consuetudine di telegrafare le felicitazioni d’occasione. Le sarò molto grato di farmi conoscere con cortese sollecitudine se Ella non vede inconvenienti nelle circostanze attuali, che io invii il telegramma d’uso (Documenti Diplomatici Italiani, Settima Serie, vol. II, doc. 238, p. 155).

Risposta: Il presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, Mussolini, a Vittorio Emanuele III, a Racconigi.
T. 8362. Roma, 2 settembre 1923, ore 4.

Non solo non vedo alcun inconveniente a che V. M. non interrompa quest’anno la cortese consuetudine verso S. M. la Regina Olga di Grecia che nessuna affinità può legare agli attuali capi del Governo di Atene, ma considero anzi opportuno perseverarvi per marcare così anche meglio la distanza che separa l’Augusta Signora dai responsabili morali dell’eccidio (DDI, ibidem, doc. 251, p. 163).

Con la fine della crisi, Mussolini emerse vincitore indiscusso. Il non riconosciuto e isolato governo rivoluzionario di Stylianos Gonatas non era riuscito a sollevare la questione presso la Società delle Nazioni, ma fu costretto ad accettare il giudizio della Conferenza degli Ambasciatori, amica di Francia e Italia, e ne subirà le umilianti condizioni. La Francia si schierò con l’Italia, avendone un estremo bisogno sulla difficile questione della Ruhr. L’Inghilterra, contraria alla presa di Corfù come tutti gli altri Stati, riconosceva che la Grecia, pur non avendo nulla a che fare con l’omicidio, era comunque responsabile perché l’episodio era accaduto in terra greca. È caratteristico che durante la crisi la flotta inglese del Mediterraneo non si sia avvicinata a Corfù, mentre, secondo fonti diplomatiche italiane, gli alti ranghi dell’ammiragliato britannico non interruppe le loro vacanze.

En passant: non va trascurato il fatto che a latere di questa vicenda se ne stava svolgendo un’altra, relativa alla questione delle isole del Dodecaneso, che l’Italia aveva occupato a danno della Turchia nel 1911-1912, e che il governo ellenico, appoggiato dalla Gran Bretagna, chiedeva a Roma di esserle assegnate, in quanto abitate da popolazione di lingua greca.

Il 27 settembre 1923, dopo che la Grecia fu nuovamente umiliata e le richieste del governo di Roma (fascisti, liberali e cattolici popolari) furono soddisfatte, le truppe italiane si ritirarono da Corfù. L’Italia uscì da questa vicenda con una perdita finanziaria: aveva ricevuto un risarcimento di 50 milioni di lire (corrispondenti a 500.000 sterline), una cifra non trascurabile, ma l’operazione militare pare fosse costata anche di più.

(*) Mussolini si era destreggiato dapprima prendendo posizione a favore della Francia, contraria all’alleggerimento del debito tedesco, perché ciò consentiva all’Italia di recuperare ingenti risorse. Poi, con un brusco e imbarazzante volta faccia, per altri motivi, anche d’ordine psicologico, prendeva posizione a favore della Gran Bretagna e contro la Francia, la quale nel frattempo aveva inopinatamente deciso di occupare militarmente la Ruhr, in modo da costringere i tedeschi all’esecuzione degli impegni finanziari.

Salvemini, nel suo Mussolini diplomatico, Laterza, p. 49), ebbe ad esprimere il dubbio che Mussolini avesse mai letto o compreso il piano preparato dagli esperti italiani per dare una soluzione ragionevole al problema delle riparazioni. È noto che il piano adottato dalla conferenza interalleata di Londra e presentato al governo tedesco il 5 maggio 1921, fissava in 132 miliardi di marchi oro l’ammontare delle riparazioni degli Stati ex nemici (per i quali la Germania era ritenuta responsabile). Una somma alla quale la Germania non poteva far fronte (infine, dopo anni, pagò solo in minima parte).

(**) Lo Stato albanese fu istituito dopo intense pressioni della diplomazia austriaca e italiana dopo la fine delle guerre balcaniche (1912-13). I suoi confini, però, non erano stati definiti con precisione a causa delle forti reazioni provocate dagli stati vicini ma anche dalla Russia (in primis) e dalla Francia (in secondo luogo). Nel 1921 le grandi potenze, attraverso la Conferenza Diplomatica, istituirono una nuova commissione per la delimitazione in loco

del confine albanese. Il generale italiano Enrico Tellini fu nominato capo delle operazioni al confine greco-albanese. La demarcazione avvenne fin dall’inizio in un clima di forti contrasti, soprattutto tra i rappresentanti greci e il generale italiano. La causa principale della tensione furono le decisioni di quest’ultimo, considerate di parte e a favore degli albanesi.

(***) Il ministro della Marina, Thaon di Revel, al comandante in capo della squadra navale, Solari.
L. RR. S. P. 21. Roma, 30 settembre 1923.
Ultimate le operazioni navali derivate dalla vertenza Italo-Greca, testé definita con la piena soddisfazione del nostro Paese, esprimo a E. V. il mio compiacimento per il modo col quale le unità dipendenti hanno assolto i compiti loro affidati e di tale compiacimento prego V. E. rendersi interprete presso tutti i suoi dipendenti.

Questo risultato merita speciale rilievo anche per il rapido succedersi degli ordini, per le frequenti varianti alle disposizioni già date, inevitabile conseguenza questa del rapido succedersi delle varie fasi politiche che caratterizzarono lo svolgersi della vertenza diplomatica.

Dal particolareggiato esame delle operazioni svoltesi risaltano però alcuni inconvenienti e manchevolezze sui quali richiamo l’attenzione di V. E.
a) alle 16,35 del 30 agosto venne comunicato a V. E. l’ordine di partire, con la Forza Navale alla sua dipendenza, per Gallipoli ed alle 23,25 venne trasmesso l’ordine di immediata esecuzione dell’operazione relativa all'occupazione di Corfù.

Questo telegramma risulta subito trasmesso a V. E. e non riesce quindi spiegabile il ritardo della partenza da Gallipoli che risulterebbe avvenuta alle 1,45 del 31 agosto. Poiché la distanza da Gallipoli a Corfù è di miglia 123, passando per l’imboccatura nord, è di 143 miglia, raggiungendo l’ancoraggio da mezzogiorno, ne deriva che le navi se avessero navigato alla velocità di miglia 15 sarebbero giunte a destino alle 10 passando da Nord ed alle 11,30 passando da Sud. Giunsero invece alle 15,30.

Non si comprende la necessità del passaggio delle navi da Sud e si giudicano anche non giustificate le misure precauzionali prese contro l’eventuale collocamento di torpedini da parte dei Greci, tenuto conto che l’azione, essendo stata improvvisa, sarebbe mancato il tempo materiale per la posa di sbarramenti, anche se tutto fosse stato già predisposto per l’esecuzione.

Se il ritardo della partenza per Corfù fu causato dall’attesa dell’arrivo di alcune unità minori, che ancora non erano giunte a Gallipoli, quando venne dato l’ordine di partenza, si giudica che questa circostanza non poteva in alcun modo consigliare il ritardo della partenza di tutte le unità.

Dall’insieme delle disposizioni preliminari, relative all’operazione da compiere, dalle direttive contenute nel programma di V. E. per lo svolgimento della stessa, appare evidente la convenienza che vi era di occupare l’isola al più presto nelle ore antimeridiane.

Il ritardo della partenza da Gallipoli, il passaggio per il canale Sud di Corfù, l’inevitabile rallentamento per il sistema protettivo di dragaggio impiegato, fecero invece sì che l’arrivo a Corfù ebbe luogo con un ritardo di più di cinque ore e mezzo sull’ora in cui avrebbe potuto aver luogo.

b) Per il prolungarsi della discussione, da escludersi, fra il Comandante Foschini e le autorità politiche e militari locali, il preavviso stabilito di due ore ai Consoli esteri venne ridotto a trenta minuti. Evidentemente questo limite di tempo, che figura in un documento scritto comunicato ai Consoli, si presta a giudizi sfavorevoli essendo insufficiente per i fini che si proponeva.

c) Dal tenore del proclama per l’occupazione, confermato dalle parole che figurano nel foglio 321 del 31 agosto, diretto da V. E. ai Consoli, in cui chiaramente si parla di occupazione pacifica, doveva apparire evidente l’opportunità di non ricorrere alla violenza per l’occupazione dell’Isola, a meno di eventuali offese, che avrebbero dovuto essere represse, potendosi allora giustificare chiaramente l’uso delle nostre armi.

L’opportunità dell’occupazione pacifica era anche consigliata dalle precise notizie circa la scarsa guarnigione di Corfù, contenute nella relazione del Tenente di Vascello Daretti e da quelle comunicate a V. E. provenienti dall’Addetto Militare di Atene, che confermavano l’inesistenza di artiglierie nell’Isola. Ma, pur ammettendo che la resistenza verbale del Comandante militare dell’Isola alle condizioni imposte dal Comandante Foschini possa in qualche modo giustificare l’intimidazione, prima dello sbarco delle truppe, con qualche colpo in bianco dei pezzi di piccolo calibro (od al massimo con qualche colpo con proietto da esercizio contro le scarpate dei forti, in guisa da non produrre vittime e danni), non è giustificabile il notevole numero dei colpi sparati da varie unità e tanto meno si comprende l’impiego fatto dei pezzi da 149 del "Premuda", che nella prima comunicazione di V. E. non compariva.

La presenza di profughi nella fortezza vecchia di Corfù doveva esser nota a V. E. per quanto è chiaramente detto nella relazione in data 13 agosto del Tenente di Vascello Daretti e deve quindi maggiormente rilevarsi la inopportunità di aver scelto come bersaglio l’interno del recinto di questa fortezza, impiegando per giunta artiglierie di medio calibro.

Manchevole fu anche il servizio R. T.: né le successive avarie valgono a scusare il mancato annunzio della presa di Corfù, che giunse al R. Governo soltanto dopo la mezzanotte.

d) Nei riguardi della ritardata partenza da Porto Laki della Divisione «Doria», si è preso atto di quanto V. E. ha riferito col foglio 481 e, pur approvando la decisione ultima presa dal Contrammiraglio Comandante la Divisione da Battaglia, di rimandare la partenza delle sue navi all’alba dell’8 settembre, date le speciali condizioni di tempo e le difficoltà per l’uscita dal porto (segnalate dal Comandante predetto soltanto nel suo rapporto n. 36 del 12 corrente diretto a V. E.), devesi rilevare che il Comandante della Divisione doveva prendere, o per lo meno provocare, provvedimenti tali e con qualunque tempo, e ciò gli sarebbe riuscito assai facile essendo egli presente alla messa in opera delle ostruzioni stesse, che venne ultimata, salvo qualche particolare, la sera del 7 settembre.

Tali provvedimenti avrebbero poi dovuto adottarsi senza indugio, in seguito al telegramma preventivo di questo Ministero (trasmessogli 24 ore prima dell’ordine di partenza) col quale si disponeva che le navi dislocate a Leros si tenessero pronte a partire, in assetto di guerra, per la delicata situazione politica del momento, nel tempo strettamente necessario per l’accensione.

Dal rapporto di V. E. n. 481 del 14 corrente non appare che di ciò sia stato mosso appunto al Contrammiraglio [Angelo] Frank [Franck], ma che soltanto a titolo di obbiezione gli sia stata prospettata tale manchevolezza; si prega in conseguenza di voler far conoscere se altri elementi di giudizio, non noti a questo Ministero, abbiano indotto V. E. a non far rilevare al Comandante della Divisione di Battaglia la sua imprevidenza.

(DDI, ibidem, doc. 414, pp. 270-72).

Il presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, Mussolini, al ministro della Marina, Thaon di Revel.
T. 2984. Homa, 2 settembre 1923, ore 4.

Prego V. E. voler comunicare S. E. Vice Ammiraglio Solari quanto segue: Mi compiaccio operazione compiuta da forze italiane agli ordini di V.E.. È spiacevole che colpevole imprevidenza Comando greco abbia causato sacrificio alcuni civili malgrado dichiarati carattere e scopi pacifici nostra occupazione isola. V. E. voglia provvedere generosamente a feriti, a famiglie morti ed a conveniente seppellimento degli stessi.

[...]
(DDI, Ibidem, doc. 250, p. 163). 

3 commenti:

  1. le prove generali per: e io vi dico con certezza assoluta, dico Assoluta, che spezzeremo le reni alla Grecia.
    Gracia che, senza proclami, violò le nostre, di reni.

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  2. A me risulta che la Germania non abbia pagato debiti di guerra sia per la I che per la IIGM, quanto agli Inglesi, quando mai sono sinceri.......bell'articolo, ottimamente documentato.

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