Oggi ricorre il 140° anniversario della morte di uno dei più grandi pensatori moderni e di ogni tempo.
Già negli anni 1980 stava emergendo una nuova era in cui Marx sembrava non avere più posto. Significava che la critica di Marx aveva perso ogni validità e che il postulato di una necessità storica, il superamento del capitalismo, era diventato una chimera. Ciò trovava conferma con la fine della centralità della classe operaia nei conflitti sociali, vale a dire del proletariato quale nuovo soggetto della storia.
Quando, giorno dopo giorno, per decenni, si ripete l’annuncio della morte di Marx, è perché qualcosa sta accadendo, perché il morto non è poi così morto e se ne teme lo spettro, per citare una celebre metafora marxiana. C’è da anni una nuova fioritura di studi dedicati all’opera di Marx, o che, in modo molto variabile e apprezzabile, fanno riferimento al suo pensiero. La questione essenziale è questa: il suo pensiero è ancora rilevante per cogliere la crisi? Si tratta di rispondere a questa domanda in modo non ideologico, dunque di leggere (studiare!), discutere e usare Marx, autore problematico, andando oltre il marxismo, dopo la fine del marxismo novecentesco (*).
Ho cercato, per quanto mi è possibile ovviamente, di dimostrare, da ultimo in un post di ieri, che non c’è crisi finanziaria senza crisi generale della produzione capitalistica. Già questo la dice lunga su quanto sia importante ancora oggi la critica marxiana dell’economia politica, posto che le leggi alla base dell’accumulazione capitalistica non cambiano e a mutare sono solo i fenomeni attraverso i quali esse si esplicano.
Infatti, il cambio d’epoca ha lasciato pressoché intatte tutte le aporie di base del capitalismo. Marx non è da adulare, né ovviamente da odiare (tipico degli ignoranti, di chi non s’è mai preso la briga di conoscerlo di prima mano e a fondo), e però è indispensabile e ancora attuale perché la fecondità dei suoi concetti ci aiuta ad afferrare il mondo di oggi. Ha un effetto sovversivo su ogni terreno su cui si è espresso: filosofico, politico, scientifico.
Ed è proprio sul piano scientifico, nella sua critica dell’economia politica, che Marx mette in luce il movimento contraddittorio del capitale (“La produzione del capitalismo genera, con l’inesorabilità di una legge di natura, la propria negazione”), le tendenze verso un modo di produzione superiore le cui condizioni si formano giorno dopo giorno nell’ambito dello stesso sviluppo del capitalismo.
Marx, contrariamente a quanto comunemente si pensa, si rendeva ben conto delle difficoltà nel racchiudere il progresso delle società nello schema di una naturale evoluzione oppure come semplice prodotto di scontri tra forze sociali (la lotta di classe non è una sua “invenzione”). La crisi storica del modo di produzione capitalistico non implica un passaggio automatico; l’esito delle lotte e degli scontri, come ebbe a sperimentare in prima persona lo stesso Marx, è ben lungi dall’essere meccanicamente assicurato.
Marx si rendeva conto che la classe dominante, attraverso i suoi molteplici dispositivi ideologici, mira a produrre una soggettività che funzioni secondo il regime del capitale. Sapeva bene che: “Man mano che la produzione capitalistica procede, si sviluppa una classe operaia che per educazione, tradizione, abitudine, riconosce come leggi naturali ovvie le esigenze di quel modo di produzione” (Il Capitale, I, VII, 3).
Spetta alle nuove generazioni di sudditi il farsi ribelli. Costituirsi, nella crisi del sistema che ci promette nuove catastrofi locali e mondiali, come soggetto rivoluzionario cosciente, rinnovando sul piano teorico/pratico/strategico la propria opposizione alla società borghese e ai suoi meccanismi. In tal senso Marx resta imprescindibile fonte critica per comprendere il mondo del capitale e immaginare la costruzione di forme alternative di vita e di attività.
(*) Non è il comunismo che è fallito nel XX secolo, poiché s’è trattato di qualcosa di completamente diverso e lontano dalla concezione marxiana (è sufficiente conoscere la vicenda delle lettere di risposta a Vera Zasulič). Si è trattato, nella realtà storica, della confisca del potere statale da parte di una minoranza, il costituirsi in società arretrate di quella che Marx chiamò l’”accumulazione originaria”, nelle forme del dispotismo locale.
Io non so la tua professione o il tuo mestiere. Ma sono convinto che se tu fossi titolare di un corso universitario di qualunque materia (dalla meccanica quantistica alla vita dei trilobiti nel Mesozoico, daresti la laurea gratis Honoris Causa a chiunque sapesse a memoria i Grundrisse (in lingua oriiginale ovviamente. Ti amo M
RispondiEliminaMa come Martino, lei ci invita a studiare Marx e tu vuoi la laurea gratis e H.C. per giunta!
RispondiEliminaPietro