De Gasperi sganascia (lasciamo poi perdere perché tali difficoltà inedite dovrebbero "rinfrancare"). Il giorno che gli italiani scopriranno che Giorgia è una "poraccia" senza arte né parte, sarà troppo tardi.
C’è una deformazione, forse inevitabile, nella nostra educazione storica: siamo stati tutti inquadrati in uno schema storico ben definito, la Grecia, poi Roma, poi noi: prima, delle vaghe civiltà del vicino Oriente, un po’ curiose, importanti solo per quel poco di contribuzione che possono avere apportata alla civiltà greco-romana: tutto il resto non ha importanza. Siamo abituati, generazione dopo generazione, ad accettare senza discussione che la battaglia di maratona è stata la vittoria della civiltà contro la barbarie.
Tutto questo va benissimo se le circostanze ci consentono di passare tutta la vita nei limiti della nostra vecchia Europa.ma se ne usciamo fuori, allora siamo costretti a subire degli shock violenti. Riflettere sulla battaglia di Maratona presso le rovine di Persepoli vi porta, lo si voglia o non lo si voglia, a chiedervi se la civiltà e la barbarie fossero proprio così nettamente da una parte sola. Schemi anche pericolosi in un’epoca in cui la non-Europa non se ne resta a casa sua, ma bussa, impaziente, alla porta di casa nostra.
A molte cose mi sono serviti i sette anni e mezzo passati in mezzo alle montagne afghane: certamente a farmi comprendere, e toccare con mano, che la storia e la civiltà non si erano arrestate ai confini dell’Impero romano.
È una scoperta un po’ dura, più dura di quanto generalmente si può immaginare: una scoperta che ci porta a dubitare di tanti valori che fino allora avevamo considerato come assoluti; e ci porta anche a delle conclusioni meno ottimista e sul mondo di oggi e di domani. Ma è pure un’esplorazione necessaria se non vogliamo perdere completamente di vista quello che sta accadendo intorno a noi.
Tratto da: Pietro Quaroni, Valigia diplomatica, Garzanti, marzo 1956, pp. 149-50.
La necessità di superare “il complesso di Maratona” fu un tema caro a Pietro Quaroni, ovvero l’idea comune e scolastica che la battaglia di Maratona fosse stata la vittoria della civiltà sulla barbarie. In realtà quella persiana era una civiltà altrettanto raffinata di quella greca e un viaggio fra le rovine di Persepoli, distrutta da Alessandro il Grande, e lo studio delle culture mediorientali fecero capire al diplomatico italiano queste importanti verità.
L’ambasciatore Quaroni (1898-1972), già considerato uno degli astri nascenti della diplomazia italiana, a causa di alcune esternazioni critiche sulla politica etiopica di Benito Mussolini, nell’agosto 1936 fu inviato alla sede punitiva di Kabul, con credenziali di inviato straordinario e ministro plenipotenziario. Per oltre otto anni visse immerso nell’Asia centrale, visitando e dedicando molta attenzione a quanto avveniva in India, Cina, Russia e in Medio Oriente.
La lunga permanenza in Afghanistan permise a Quaroni di superare una prospettiva analitica eurocentrica e di adottarne una globale e mondiale, consapevole dei mutamenti in atto nell’Estremo e Medio Oriente e del crescente ripudio del colonialismo europeo da parte dei popoli asiatici. Grave errore della politica estera dell’Italia fascista era stato il volere fare una politica imperialistica mantenendo un’impostazione eurocentrica e provinciale, non comprendendo che l’Oriente, sia Medio che Estremo, era destinato ad avere una parte sempre più importante nelle relazioni internazionali.
Nel 1944, il nuovo governo italiano lo inviò come ambasciatore a Mosca. La Commissione alleata di controllo anglo-americana boicottò la missione di Quaroni ritenuta in violazione degli impegni armistiziali assunti dall’Italia nel settembre 1943 di non svolgere attività
diplomatica autonoma. Per molti mesi Quaroni fu obbligato a consegnare la sua corrispondenza al vaglio degli anglo-americani.
Ad avviso di Quaroni, la politica estera dell’Unione Sovietica era stata per decenni ispirata dal fatto che fin dall’avvento della Rivoluzione, la Russia era stata minacciata dalle potenze capitaliste, con le quali presto o tardi era inevitabile un conflitto armato. In questo eventuale conflitto la Germania era stata costantemente considerata come “il pugno armato potenziale del mondo capitalistico” contro l’Urss. È il caso di ricordare, ad esempio, come Chamberlain cercasse di deviare le minacce hitleriane verso est, ossia verso la Russia.
In seguito alla comune lotta contro Hitler, l’atteggiamento dell’Unione Sovietica nei riguardi degli Stati Uniti mutò, pur permanendo un fondo di diffidenza verso gli occidentali capitalisti, ma, a parere di Quaroni, come conseguenza della comune collaborazione bellica Mosca desiderava sinceramente la collaborazione con gli Stati Uniti:
«Le relazioni con gli Stati Uniti, in questi ultimi mesi, hanno subito una decisa evoluzione nel senso della crescente mutua fiducia; qui si è convinti della onestà delle intenzioni di Roosevelt e si ha molta fiducia nel suo Ambasciatore. [...] Gli oppositori di Roosevelt, a qualsiasi partito essi appartengono, vengono qui considerati come isolazionisti e – fondamentalmente – favorevoli oggi ad una pace di compromesso con la Germania e, dopo la guerra, ad una politica di riabilitazione della Germania diretta, potenzialmente, contro l'U.R.S.S. socialista [...].
È mia impressione che qui si desidera, sinceramente, la collaborazione con l’America e, pur non intendendo transigere sugli interessi essenziali sovietici, si è decisi a procedere nelle principali questioni col necessario spirito di comprensione, a mettere, in una parola, bene in chiaro che se la collaborazione dovesse, all’atto pratico, mostrarsi irrealizzabile, non sarà stato per colpa dell’Unione Sovietica.
[...] Sarebbe però grave errore esagerare l’importanza del fattore prestiti nei rapporti U.R.S.S.-America. L’U.R.S.S. ritiene che questo aiuto americano le è dovuto come un debito di riconoscenza per i sacrifici di sangue da lei fatti. Ritiene l’apertura del mercato sovietico altrettanto necessaria all’America per superare la crisi del dopo guerra: l’America poi tende a dare qui oggetti di consumo, l’U.R.S.S. invece preferisce avere macchine per la produzione di articoli di consumo. Comunque se gli americani pensano - e ci sono certo molti americani che lo pensano - di poter mettere la politica dell’U.R.S.S., in un certo senso, a rimorchio della politica americana a mezzo dei dollari vanno certamente incontro a serie delusioni.» (Documenti diplomatici italiani, X Serie, vol. I, doc. 331 p. 411-12).
Nella capitale russa Quaroni vi era già stato in servizio negli anni Venti. A Mosca conobbe Larissa Čegodaeva (in seguito il cognome fu italianizzato in Cegodaeff), figlia del nobile Aleksandr Čegodaev. Larissa fu accusata ingiustamente dalla polizia politica di spionaggio a favore dell’ambasciata d’Italia, e fu liberata per le pressioni esercitate dell’ambasciatore Marcello Cerruti. Pietro e Larissa convolarono a nozze a Mosca (prima con una cerimonia in rito ortodosso e, più tardi, con una di rito cattolico celebrata nella cappella dell’Ambasciata di Francia). Poco dopo ebbe fine la prima missione diplomatica di Quaroni in Urss, e con la moglie fece ritorno in Italia.
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