giovedì 16 marzo 2023

“Gandhi senza mutandine”

 

Cercavo notizie sul console italiano a Calcutta Gino Scarpa, che pubblicò con lo pseudonimo di Aleks Viator, L’india dove va?, Libreria del Littorio, 1930 (a Roma si può ancora apprezzare, in via del Corso al civico 323, l’insegna in marmo della libreria). Wikipedia mi ha offerto, come da immagine, un’ampia gamma di scelta (tutte maschili).

Gino Scarpa, un superbo conoscitore dell’India, fu l’organizzatore del viaggio di Gandhi in Italia. L’Autobiografia di Gandhi venne tradotta in Italia con una prefazione di Giovanni Gentile. Il giudizio di Augusto Turati, direttore de La Stampa nel biennio 1931-32, su Gandhi fu lapidario: non era altro che un perfetto demagogo e un «pazzo» agitatore «senza mutandine».

Per il mancato ritrovamento del fascicolo “Gandhi” nel Carteggio Riservato della Segreteria particolare del duce, non sappiamo nulla di quell’incontro tra l’indiano e il romagnolo, così come non sappiamo con certezza se gli incontri furono due o uno solo.

Dopo la migrazione al Nord degli archivi centrali, la fase del recupero fu molto travagliata. In quel periodo vi fu la creazione – per iniziativa del dipartimento di stato americano e del ministero degli affari esteri britannico – di uno speciale ufficio ricerche (poi chiamato agenzia alleata per le ricerche diplomatiche), cui spettava il compito di esaminare e riprodurre gli atti degli archivi italiani, soprattutto la documentazione più recente del ministero dell’interno, degli affari esteri, della cultura popolare, della segreteria di Mussolini. Renzo De Felice sostenne che la restituzione all’Italia dei suoi archivi centrali da parte degli anglo-americani non fu integrale.

Scarpa è probabilmente l’autore di un Appunto anonimo ora pubblicato come doc. n. 44 nell’XI vol. della VII Serie dei Documenti Diplomatici Italiani, edita dall’Istituto Poligrafico dello Stato.

La visita di Gandhi, informa Scarpa, fu sponsorizzata da «due rappresentanti della Federazione delle Camere di Commercio indiane, desiderosi di visitare l’Italia e di entrare in contatto con i dirigenti del nostro mondo economico. Uno di questi è il signor Dirla, la cui Ditta controlla il mercato della juta in Calcutta. (Due anni fa in onore della figlia del Duce, di passaggio a Calcutta, diede nella sua villa un thè di 300 invitati)».

Continua l’estensore dell’Appunto: «Potrebbe [La visita di Gandhi] sotto un certo aspetto essere conveniente, dato che è stato invitato dall’Accademia un leader musulmano, che venga anche invitato un leader hind, per non urtare la suscettibilità di questa comunità che è costituita da 280 milioni di persone. Gli hinde in particolare i nazionalisti rifiutano ogni appoggio alla recente campagna di calunnie e di boicottaggio contro l’Italia per la quale e per il Duce hanno generale simpatia».

Resta da scoprire chi fu quel “leader musulmano” invitato dall’Accademia d’Italia. Prima di rivelarne il nome, dunque tenendo il lettore in spasmodica attesa, riporto un altro brano dell’Appunto:

«Per la conoscenza che ho di Gandhi [dunque l’Appunto non può essere che di Scarpa stesso] posso dire che è uomo di una stoffa molto diversa dal Tagore e che si è sempre rifiutato di dare giudizi su persone e regimi di altri Paesi né credo si dipartirebbe da questa norma nel caso presente. Qualora però si ritenesse opportuna la sua visita, crederei indispensabile che egli fosse convenientemente avvicinato prima e che gli fosse spiegato quanto poco vantaggioso sarebbe agli interessi dei due paesi se egli dovesse poi esprimere qualche giudizio sul regime, e si accertassero le sue idee al riguardo. Qualora egli condividesse questo punto di vista si può fare completo affidamento sulla sua discrezione».

Il misterioso “leader musulmano” altri non era che Mohammed Iqbal, nome che a molti non dirà nulla, ma che agli indiani e specie ai pachistani dice molto. Per loro Iqbal è stato come i nostri Dante, Tommaso d’Acquino e Guicciardini messi insieme.

Iqbal era giunto in Italia il 25 novembre del 1931 (Gandhi seguirà in dicembre), gli furono usate tutte le possibili cortesie, e ripartì da Brindisi il 29, per partecipare a un Congresso a Gerusalemme fissato per il 7 dicembre. La stampa ebbe direttive di commentare simpaticamente il viaggio in Italia dell’ospite, ma di non occuparsi del suo atteggiamento nei riguardi del problema indiano.

Mohammed Iqbal dedicò, in una sua raccolta, una poesia a Mussolini, in lingua urdu. Un diplomatico italiano, in visita a Calcutta nel 1936, ebbe a osservare a tale riguardo: “mi domando se qualcuno ne avesse mai mandato a Mussolini la traduzione integrale”. Certamente no.

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