lunedì 13 marzo 2023

La crisi spiegata facile

 

Parecchia gente nelle ultime notti ha perso il sonno. Altri insonni si aggiungeranno.

Tre crolli bancari in meno di una settimana. Mercoledì la Silvergate Bank, venerdì la Silicon Valley Bank, al servizio delle start-up high-tech e dei loro investitori. Meno di 18 mesi fa, SVB aveva un valore di mercato di 44 miliardi di dollari. Ieri, domenica, la Federal Reserve ha comunicato che ha chiuso anche la Signature Bank con sede a New York, con un patrimonio totale di circa 110,36 miliardi di dollari e depositi totali di circa 88,59 miliardi di dollari al 31 dicembre 2022. Ora queste banche sono nelle mani dei curatori fallimentari della Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC).

I depositi fino a 250.000 dollari sono assicurati a livello federale, ma la stragrande maggioranza dei clienti SVB rientra ben oltre quella categoria: su 173 miliardi di depositi nazionali totali 151 miliardi non sono assicurati.

Il fallimento di SVB è un prodotto diretto degli aumenti dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve statunitense, decisi al ritmo più veloce degli ultimi 40 anni, nel tentativo di schiacciare l’inflazione più alta degli ultimi quattro decenni.

Mentre il denaro si riversava nel settore high-tech a seguito delle precedenti politiche monetarie ultra accomodanti della Fed, SVB ha cercato di trovare un rifugio sicuro per le sue riserve di liquidità extra investendo in buoni del Tesoro statunitensi a lunga scadenza (la generale corsa agli asset privi di rischio per mettere tutto al riparo). Un articolo del Wall Street Journal ha posto la domanda su come una banca, che aveva acquistato alcuni degli asset più sicuri al mondo, potesse essere fallita in soli due giorni.

Quando lo scorso anno la Fed ha iniziato ad alzare i tassi di interesse e i rendimenti dei buoni del Tesoro e di altri titoli di debito sono aumentati, il loro valore di mercato è diminuito – i rendimenti e il prezzo delle obbligazioni si muovono in direzioni opposte – e SVB, che aveva investito massicciamente nei titoli di Stato americani, ha subito perdite significative. Pare abbia subito una perdita di 15 miliardi sui 91 miliardi di titoli a lunga scadenza che deteneva.

L’altro fattore importante è stato il cambiamento nei flussi di denaro. Invece di ricevere nuovo denaro dagli investitori, molti dei clienti di SVB hanno iniziato a effettuare prelievi mentre bruciavano contanti.

Il crollo ha provocato un’onda d’urto specialmente in banche locali. Le negoziazioni dei gruppi bancari PacWest, Western Alliance e First Republic sono state sospese per un periodo in quanto le loro azioni hanno subito forti ribassi perché ritenute simili a quelle di SVB. First Republic ha chiuso venerdì con un calo del 15% e il calo delle altre due è stato rispettivamente del 38% e del 21%.

Il segretario al Tesoro, Janet Yellen, ha espresso piena fiducia nelle autorità di regolamentazione bancaria e ha osservato che il sistema bancario “rimane resiliente”. Che non significa un tubo, ma che altro poteva dire? Ha aggiunto: “Vogliamo far in modo che i problemi di una banca non vadano ad affliggerne altre che sono solide”. Una sola banca? Sono già tre e presto è probabile se ne aggiungeranno altre.

Leggo un comunicato congiunto del Tesoro degli Stati Uniti, Fed e FDIC, secondo cui la Banca centrale renderà disponibili finanziamenti alle banche per assicurare che siano in grado di rispondere alle richieste dei clienti, ciò per scongiurare la corsa agli sportelli da parte dei clienti. Decisione ovvia quella di mettere una pezza all’ennesimo sbrego bancario.

Questa supernova che minaccia di esplodere è solo un ulteriore sintomo (non la sua causa) della crisi capitalistica, che ha la sua contraddizione principale nella vocazione storica del capitalismo ad accumulare per accumulare e produrre per produrre.

Mentre nel suo periodo di massimo splendore, negli anni 1960, la crescita economica globale ha sfiorato il 6% annuo, da allora ha subito una continua decelerazione e ora si avvicina al 2%. Tre lustri dopo lo shock dei subprime e il fallimento della Lehman, che ha quasi spazzato via il sistema finanziario globale, il sistema vacilla di nuovo, nonostante l’attivismo senza precedenti delle banche centrali, Fed in testa, anzi proprio a causa di tale parossistico e contraddittorio attivismo.

Le banche centrali continuano ad agire come se l’attività economica dovesse tornare alla crescita moderata della fine del XX secolo e alle sue abituali fluttuazioni cicliche, insomma trattano l’economia come un problema di organizzazione e di incentivi, priva di classi sociali, di leggi tendenziali e traiettorie storiche.

La forte spinta dell’innovazione tecnologica, l’assenza di nuovi territori disponibili (si pensa alla Luna!) per l’espansione del capitale e il crollo demografico sono i fattori che impediscono il dispiegamento di nuovi investimenti nell’economia reale (oggi s’aggiungono in chiave antinflattiva tassi d’interesse troppo alti per stimolare gli investimenti).

C’è inoltre da osservare (per scorno degli imbecilli che irridono) il ruolo delle multinazionali: grazie al loro potere di mercato, cioè la loro capacità di imporre prezzi in forza alla loro posizione oligopolistica, le grandi imprese sono in grado di preservare i propri margini in ogni circostanza e non sono quindi costrette a investire sotto la spinta della concorrenza. Il risultato è una tendenza all’accumulazione eccessiva di utili che non trovano sbocchi, e dunque i profitti si accumulano al di fuori della sfera della produzione.

Dal canto loro gli ideologi hanno seppellito Marx sotto chilometri di menzogne. Fateci caso, in tale universo intellettuale non viene mai usato il termine capitalismo, preferendogli il più neutrale “economia di mercato”.

Un plusvalore di flusso non realizzato è come se non fosse prodotto. I capitalisti sanno produrre profitti in abbondanza, ma sono del tutto incapaci di trovare sbocchi per assorbirli e perseguire la crescita, puntando sulla speculazione finanziaria, ciò che permettere ancora una volta al sistema di ampliare i propri limiti con le conseguenze di un circolo vizioso, ossia dando vita ad operazioni sempre più sofisticate che alimentano l’insostenibile fantasmagoria della perpetuazione dei guadagni al di fuori di ogni legame con la sfera produttiva.

Il Grande Vecchio a questi signori avrebbe detto delle loro strampalate ricette: Hic Rhodus, hic salta!

4 commenti:

  1. La transizione verso un'economia "verde" dovrebbe essere quello sbocco. Ma è anche uno dei moventi dell'aggressiva politica imperiale attuale degli USA. Che è uno dei motivi della crisi economica. E così via di buco in pezza.
    Pietro

    RispondiElimina
  2. https://jacobinitalia.it/il-capitalismo-cannibale/

    RispondiElimina
  3. '' il ruolo delle multinazionali: grazie al loro potere di mercato, cioè la loro capacità di imporre prezzi in forza alla loro posizione oligopolistica, le grandi imprese sono in grado di preservare i propri margini in ogni circostanza''

    Benche' la forza delle corporation sia forte, su questo tua frase avrei qualche dubbio : grandi aziende da piu' di 50 B-eur lavorano già in perdita da alcuni anni in molti plant ...come poi facciano nei libri contabili questo e' un altro discorso.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. https://www.lemonde.fr/paradise-papers/article/2017/11/07/40-des-profits-des-multinationales-sont-delocalises-dans-les-paradis-fiscaux_5211527_5209585.html

      Elimina