La stessa domenica in cui il
nostro ufficiale del genio varcava il portone del ministero della guerra, a
Sarajevo venivano sparati due colpi di rivoltella che avrebbero segnato la fin des temps délicieux e, per
converso e come altri ebbero a dire molti decenni dopo, l’inizio del secolo
breve. Ma non era ancora questa notizia a turbare i pensieri del nostro tenente
colonnello, quanto la situazione famigliare, laddove al figlio laureato in
ingegneria era stato diagnosticato un vizio cardiaco, e la figlia più giovane
era andata a vivere con uno zio a causa del clima da caserma che si respirava
nella casa paterna. L’unica consolazione, in vista dell’imminente viaggio a
Torino, era quella di poter riabbracciare, se il tempo a disposizione glielo
avesse permesso, l’altro figlio che era sottotenente alla scuola di
applicazione d’artiglieria e genio.
Il generale Pollio informò
l’ufficiale che la missione non sarebbe terminata a Torino, avendo intenzione
d’ispezionare, partendo da Milano, la frontiera italo-svizzera. Ciò contrariò
non poco il tenente colonnello, il quale aveva contato di poter rientrare a
Roma dopo tre o quattro giorni. Anche il ministro della guerra pro tempore
venne informato da Pollio del suo viaggio solo poche ore prima. Congedato dal
generale, il tenente colonnello tornò a casa approfittando di un passaggio
sull’auto di servizio del colonnello Diaz, il quale, giunto in via dei Delfini,
dispose che l’autista accompagnasse in piazza Galeno l’ufficiale del genio.
Nel pomeriggio l’agenzia Stefani
batteva la prima e confusa notizia dell’eccidio di Sarajevo. Altre notizie
ufficiali arrivarono a Roma solo la sera del 28, quando invece a Vienna si
sapeva già tutto da mezzogiorno. Intanto il tenente colonnello nella sua
abitazione predisponeva la preparazione del bagaglio, con la consueta
meticolosità, riponendovi anche schizzi, calcoli e appunti sui prossimi
esperimenti di tiro. Con una vettura di piazza raggiunse la stazione Termini,
molto diversa da com’è oggi, dove era ad attenderlo su un binario centrale il
direttissimo n. 6 per Torino delle ore 21, con sole vetture di prima e seconda
classe, trattandosi di un treno internazionale che avrebbe poi raggiunto Parigi.
Non sapendo quale sarebbe stata la
sua sistemazione, l’ufficiale provvide subito ad occupare un posto sulla
vettura di prima classe posta subito dietro al vagone-letto. Sistemato il
bagaglio, scese sul marciapiede ad attendere il generale Pollio. Il capo di
stato maggiore dell’esercito arrivò accompagnato dal colonnello Diaz, suo
segretario, da una donna bionda sulla quarantina e dall’aria altera, da due
belle adolescenti e da una bambina, nonché da un signore sulla cinquantina, in
borghese, che dalla faccia si capiva non essere italiano, infatti era
austriaco.
Pollio proveniva dall’arma di
artiglieria, era stato ufficiale d’ordinanza onorario del Re e poi suo aiutante
di campo, poi dal 1893 per quattro anni addetto militare all’ambasciata a
Vienna. Sposò con la ricca baronessa austriaca Eleonora Gormasz, di vent’anni più
giovane, la quale gli impone la coabitazione con un suo fratello, ufficiale
della riserva nella Landwehren e pure con una sua sorella maggiore. È normale
che stando così le cose, Pollio venisse richiamato in Italia, pur con il
seguito famigliare di cui s’è detto. Del resto a Vienna non aveva combinato
nulla di buono, a sentire i suoi critici, anzi, troppo spesso s’era invischiato
in questioni di politica internazionale che non gli competevano e troppo
smaccata era la sua simpatia per la duplice monarchia asburgica, pur se alleata
dell’Italia.
Infatti, Pollio, oltre che
massone, era un triplicista di ferro e non lo nascondeva di certo, considerando
gli accordi Prinetti-Barrère del 1902, ossia tra l’Italia e la Francia, così
come quelli di Racconigi con la Russia, come inesistenti. Insomma, egli non
giocava sulla posizione ondivaga dell’Italia, bensì era ben convinto che se
guerra ci fosse stata, come tutto lasciava presagire, l’esercito e con esso
l’Italia sarebbero stati dalla parte degli Imperi centrali.
Eppure in Italia si stava
delineando un nuovo ordinamento politico e militare, tanto che il triplicista a
ventiquattro carati Alberto Pollio diventava un impiccio. Quella notte del 28
giugno 1914, con il suo fidato tenente colonnello, il capo di stato maggiore
dell’esercito viaggiava verso Torino, la sua ultima meta. Dal rapporto redatto
successivamente dal tenente colonnello, risulterà che il generale non accennò
mai, nemmeno incidentalmente, a ciò che era appena accaduto a Sarajevo, ma
soprattutto ci viene detto ripetutamente che Pollio godeva di una “florida
salute”. Il rapporto, e altre interessanti notizie, si può leggere
integralmente (e farsene un concetto) nel libro di Giovanni d’Angelo, La strana morte del tenente generale Alberto
Pollio, Gino Rossato editore, Novale, Vicenza, 20 euro ben spesi. Un saggio
storico, un’inchiesta con fonti di prima mano che si legge come un giallo.
Ottimo per l’estate e anche per il nostro lungo autunno.
Estate? Quale estate?
RispondiEliminaScherzi a parte questi post sono molto interessanti, grazie!
Una storia affascinante , E' sempre interessante rivedere certi risvolti " passati" specie oggi che siamo tutti resi piu smaliziati dalle ripetute storielle amerikane..
RispondiEliminaE il diaz colonnello e segretario dell" impiccio" nel '14 non era mica " l' armando " poi maresciallismo nel '18 ? :-)
è lo stesso Diaz che servirà sotto Pollio e poi sotto Cadorna, poi sotto altri, infine sotto Mussolini quale ministro
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