Oggi, nel suo post quotidiano, il
blog Phastidio dedica il suo divertito e divertente commento alle proposte di
uno dei tanti sociologi borghesi che propugnano, a fronte dell’aumento della
disoccupazione causata dall’automazione, di lavorare meno e di dedicare più
tempo alla “cultura”. Più in generale Phastidio ha di mira questo tipo di
sociologia da bar e invita, piuttosto, a leggersi le posizione del professor
Robert Skidelsky sul tema.
Sui sociologi da bar cui si
riferisce il pezzo non ho tema di avere la coda di paglia, per due motivi
essenziali: 1) nemmeno per accidente chi scrive in Phastidio si prenderebbe la
briga di leggere ciò che scrivo correndo il rischio di cospicuo esantema; 2) è
vero che anch’io propugno una riduzione drastica dell’orario di lavoro, ma
pongo la questione in modo del tutto diverso da come può porla un sociologo
borghese o finanche un blogger acuto e sferzante come Phastidio.
Anche recentemente (vedi) ho posto la
stessa questione (e credo che la riprenderò tra qualche giorno, visto l’interesse
che in qualche modo sta maturando, sia pure in termini meno colloquiali).
Robert Skidelsky, da buon keynesiano, propone a sua volta una riduzione
dell’orario di lavoro, e tuttavia sostiene con avvedutezza che ciò non sarà
possibile senza “una rivoluzione del pensiero sociale”. Come in ogni buon
idealista, anche in tal caso, tutto partirebbe dall’essere l’uomo il prodotto
della propria coscienza e non la coscienza un prodotto del suo essere sociale.
Ad ogni buon conto, sia Skidelsky
che l’autore del pezzo su Phastidio, non si pongono una questione davvero
dirimente. Posto che si potesse raggiungere con “una rivoluzione del pensiero
sociale” un accordo a livello internazionale (o almeno delle più importanti
economie mondiali) sulla riduzione generalizzata della giornata lavorativa, e
dunque poi una diversa considerazione e distribuzione della ricchezza sociale
prodotta, resterebbe in sospeso un problemino, una faccenda di dettaglio.
La quale faccenda di dettaglio
riguarda la legge stessa che sovrintende l’accumulazione capitalistica,
laddove, come scrivevo nel post di qualche giorno fa e così come in molti altri
precedenti, la riduzione del rapporto tra capitale costante e capitale
variabile (salario) provoca già di per sé la caduta tendenziale del saggio del
profitto, pertanto un’ulteriore riduzione del capitale variabile comporterebbe
una riduzione del saggio del profitto ancor più marcata. Ed è questo, sul lato
pratico prima ancora che dal lato teorico, il motivo per il quale il capitale
non accetterebbe e respingerebbe al mittente.
In altre parole, come già
osservava quel mattacchione di Marx, il limite del capitale è il capitale
stesso. Anche dal punto di vista del suo sviluppo storico! Ma chi si prende la
briga di leggere (magari per confutarlo!) il barbuto di Treviri? L’unica cosa
che sono capaci di fare i borghesi – vedi da ultimo il Domenicale del Sole 24
ore di ieri – è quella d’infamarlo con delle meschine falsità.
Pertanto, cari amici vicini e
lontani, non basta una rivoluzione del pensiero, per quanto questo cavolo di “pensiero”
si sforzi di voler migliorare la condizione sociale in vista della conservazione
di questo sistema giunto al suo capolinea.
Senza la scomparsa della proprietà privata borghese dei mezzi di produzione economica (lo specifico è per quegli imbecilli che confondono la proprietà privata borghese, con la proprietà privata in generale), non vedo come si possa ridurre il tempo di lavoro, a favore del proprio tempo libero, del proprio tempo di vita.
RispondiEliminaCordialità.
Succederà mai che un ladro si arresti da solo?
RispondiEliminaRinucerà mai il padrone ad una aletta del suo pollo per sfamare la servitù?
"Il popolo ha fame?"
"Dategli le brioches"
accadrà mai che la forfora voti per lo shampo?
RispondiEliminaDe Masi è sicuramente un sociologo da bar, ma Seminerio - l'ennesimo fustigatore bocconiano da talk show e da convegno di ruffiani di finanzieri, i calvinisti col culo degli altri - è abominevole. Seminerio è uno di quelli che il sistema (sì, proprio questo sistema qua, quello che triplica il numero dei poveri in Italia nel giro di qualche anno) andrebbe a meraviglia se non ci fossero gli italiani, i comunisti e i sindacati. No, per dire la natura e la levatura del personaggio.
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