Il presidente della Repubblica,
Giorgio Napolitano, ha indirizzato una lettera al direttore del quotidiano la
Repubblica in occasione del concerto tenutosi ieri presso il sacrario di
Redipuglia, laddove sono sepolti i resti di circa centomila italiani, in prevalenza
contadini e salariati, mandati al massacro nel primo conflitto mondiale. Il
presidente scrive che tali occasioni concertistiche, come quella precedente del
2010 a Trieste, costituiscono importanti tappe “del processo di riconciliazione
tra le nazioni e i popoli dell'Adriatico, dandovi decisivo impulso e
cancellando i residui di una tragica contrapposizione bellica”.
Che quei concerti servano a
cancellare i residui di una tragica contrapposizione bellica, può essere, ma
non i motivi di una contrapposizione etnica e nazionale ben visibili. Non a
caso Napolitano scrive di vigenti contrapposizioni causa delle quali si
“rischia addirittura, impantanandosi fin dall'inizio in polemiche
recriminatorie sulla responsabilità dello scoppio della guerra [1914-18], di
veder resuscitare le opposte fazioni del passato, com'è sembrato accadere
qualche giorno fa a Sarajevo”. Il presidente Napolitano omette però di citare
la recente dilacerante guerra che ha portato alla dissoluzione di quella che fu
la Yugoslavia, non certo senza che le potenze europee prendessero posizione per
una delle parti in causa.
Il presidente Napolitano è reticente anche in riferimento alle motivazioni per le quali
l’Italia ruppe l’alleanza con gli imperi centrali e decise di entrare in guerra
a fianco dell’Intesa. Laddove egli afferma che “Si può considerare ormai
acquisita un'obiettiva ricostruzione storica della lotta politica tra forze
favorevoli e contrarie all'intervento del nostro paese”, egli tace nel
precisare che di vero e proprio mercanteggiamento si trattò, sulla pelle di chi
era destinato a combatterla quella guerra. E che dunque a essere chiamate in
causa quali responsabili dirette di quella strage, non inutile, bensì
utilissima dal punto di vista di certi interessi non tanto patriottici, sono le classi dirigenti europee sostenute
dai tanti traditori che si annidavano nei partiti socialisti e che votarono a
favore dei crediti di guerra.
Rileva retorico il presidente che
“L'Italia ne uscì non solo riunita – con il ricongiungimento di Trento e
Trieste – entro i confini sognati dai patrioti del Risorgimento, ma cambiata
moralmente perché forte di una nuova e più vasta consapevolezza del proprio
essere nazione”. Omette, anche in questo caso, di specificare che la più forte e
vasta consapevolezza acquisita dall’Italia con la guerra, non impedì il
fascismo. Anzi, il conflitto bellico, nell’esasperare i movimenti
nazionalistici e reazionari come poi la spedizione di Fiume dimostrò, incubò e
nutrì l’ideologia che porterà alla dittatura.
C’è un’altra frase di Napolitano,
non contenuta nella lettera ma pronunciata in occasione della sua visita in
Friuli Venzia-Giulia, laddove egli afferma che «Se i giovani non trovano lavoro
l'Italia è finita». Ecco qui il punto vero della questione: non solo “l’Italia
è finita” perché la disoccupazione giovanile viaggia attorno al 40-50 per
cento, ma perché è l’Europa a essere finita in un cul de sac, e non solo a causa delle sue maniacali
politiche monetaristiche e recessive, ma perché ciò che non si vuole comprendere è che siamo a un cambio d’epoca,
laddove non è più possibile considerare
la proprietà, il lavoro e l’economia con gli stessi parametri del passato.
E su questo sono d’accordo anche
molti borghesi, ma essi prospettano come cura le “riforme”, ossia dei
pannicelli caldi.
nel cul de sac ci sono finiti, in europa, i paesi concorrenti della germania, ma appunto non la germania stessa e si vede dalla politica di potenza che essa sta attuando. ultima notizia filtrata in germania proprio avantieri: la germania ha aumentato di brutto i finanziamenti per la ricerca sulle armi. se non ci svegliamo, il POTERE TEDESCO ci metterà tutti col culetto per terra, prima noi europei poi con calma gli altri. i vecchi piani degli anni 30-40 del secolo scorso vivono e si stanno realizzando.
RispondiEliminafranco valdes piccolo proletario di provincia
Personalmente penso che più che volontà di potenza si tratti del preciso disegno (più che comprensibile, egoisticamente parlando) di essere l'unico paese europeo a mantenere un discreto status di benessere e ricchezza a fronte del crollo dell'economia europea in generale. Come giustamente rileva Olympe, siamo a un cambio s'epoca e l'Europa è sicuramente un vaso di coccio...
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