Come non si può giudicare un uomo
dall'idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare un’epoca di
sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa. Così scriveva con il
consueto penetrante realismo Karl Marx [*].
Se ai primi di luglio del 1789
avessero predetto a Luigi Capeto che di lì a tre anni e mezzo egli sarebbe
stato ghigliottinato e in Francia instaurata la repubblica, si sarebbe fatto
una risata.
Se il mattino del 28 luglio 1914
avessero predetto a Guglielmo II e a Francesco Giuseppe che la guerra che si
apprestavano a dichiarare sarebbe durata oltre quattro anni e l’esito del
conflitto avrebbe comportato le conseguenze che sappiamo, probabilmente
l’avrebbero dichiarata ugualmente, non credendo minimamente a un simile
vaticinio. E, del resto, erano prigionieri essi stessi del loro sistema e
coltivavano le medesime illusioni di tutti gli altri.
Guglielmo II non avrebbe potuto
credere che di lì a pochi anni in Germania sarebbe stata instaurata la
repubblica, e Francesco Giuseppe avrebbe preso come una burla di cattivo gusto
la predizione che l’impero austro-ungarico sarebbe stato ridotto
territorialmente a qualcosa di simile alla Svizzera. Da parte sua, Nicola II,
avrebbe anche potuto ipotizzare nel corso del nuovo secolo la necessità di
varare delle riforme realmente costituzionali in Russia, ma avrebbe considerato
semplicemente irrealistico che nel 1917 certi Ul’janov e Bronstejn instaurassero la repubblica comunista dei soviet.
Ciò prova l’imprevedibilità degli
avvenimenti storici, almeno nei loro “dettagli”, e la rapidità con la quale
essi si manifestano dopo un lungo periodo di gestazione e stabilità in cui
tutto sembra definitivo. E tuttavia, a ben considerare le cose dappresso, non
solo la possibilità, bensì l’inevitabilità di una guerra europea era data all’inizio
del secolo scorso per certa da moltissimi. Anche le modalità dello scontro, a
grandi linee, potevano essere previste. Per esempio, le recenti guerre
balcaniche avevano ben posto in luce le nuove dinamiche strategiche e tattiche
di una guerra che non poteva essere di movimento e combattuta da truppe allo
scoperto stante le nuove armi micidiali come le mitragliatrici e l’artiglieria
a tiro rapido.
Stentiamo a crederlo, oggi, ma gli
stati maggiori degli eserciti, non meno che i responsabili politici, non si
vollero rendere conto di ciò che stava loro sotto il naso. Ed è ciò che succede
anche ai nostri giorni, specie per quanto riguarda l’economia, lo sfruttamento
delle risorse naturali e la tutela dell’ambiente, senza dire dei conflitti
regionali potenzialmente sempre più pericolosi. Ciò avviene non semplicemente
perché le classi dirigenti siano stupide, ma perché le loro decisioni sono
condizionate in definitiva da ragioni di potere e di classe, di scontro tra
interessi e imperialismi. Agire diversamente significherebbe anzitutto
rinunciare alla loro egemonia, procedere a un cambiamento radicale dell’esistente e non lasciarsi guidare dalle leggi e
contraddizioni del capitalismo. Chi di loro, chi di noi tutti, può credere che
in un breve tempo questo ordinamento economico e sociale possa essere sconvolto
dalle fondamenta? Eppure la partita è in corso, il futuro è nelle cose di oggi.
[*] Per esattezza e completezza,
Marx, nella Prefazione di Per la critica
dell’economia politica, così scrive: «Come
non si può giudicare un uomo dall'idea che egli ha di se stesso, così non si
può giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di
se stessa; occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della
vita materiale, con il conflitto esistente fra le forze produttive della
società e i rapporti di produzione. Una formazione sociale non perisce finché
non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e
superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate
in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco
perché l'umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché,
a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo
quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono
in formazione».
Totalmente in accordo con la tua analisi, mi soffermo invece sulla conclusione della citazione marxiana.
RispondiEliminaMarx dice che "l'umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione".
Con immensa modestia (!!) la riformulerei cambiando il soggetto, ovvero: "LA STORIA non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione".
Il motivo di questa modifica nasce da una considerazione molto pessimistica, ovvero che a ben vedere oggi la "soluzione" potrebbe essere estremamente distruttiva per la società umana, al punto da non lasciare più spazio alla vita come la conosciamo oggi. L'esaurimento delle risorse, la distruzione del pianeta e l'eventuale uso delle armi nucleari potrebbero non lasciare spazio per l'umanità, dopo