domenica 19 maggio 2013

Più che un fiume, uno scolo



Sto leggendo – sono ancora alla prima parte del libro – Intervista sul potere di Luciano Canfora, uno studioso che non abbisogna di presentazioni dato il suo universale prestigio presso la platea borghese di "lettori di libri". Nel tracciare la sua biografia famigliare e intellettuale, Canfora racconta di essersi formato in un ambiente culturale eterogeneo e stimolante, di influsso prevalentemente crociano. È peraltro mia opinione che in Canfora vi si possano rintracciare ampi elementi di quell’idealismo. Insomma, per me Canfora non è un marxista. E non nel senso, equivocato da moltissimi, nel quale Marx diceva di se stesso: Je ne suis pas marxiste.



Per il momento, e per ciò che m’interessa, voglio soffermarmi su una breve brano tratto dal libro di Canfora che riporto per esteso:

Io, per parte mia, ero già arrivato da tempo, tramite lo studio della storia e l’osservazione dei fatti politici, alla convinzione che il grande fiume del movimento operaio consista in ciò che, da Karl Marx in avanti, si chiama socialdemocrazia e che l’esperienza bolscevica sia stata figlia legittima della Prima guerra mondiale e del trauma ferocissimo che allora estremizzò il conflitto tra riformisti e rivoluzionari, mostrando i limiti della Seconda Internazionale.

In questo passo c’è un po’ di tutto, un miscuglio di fatti e d’interpretazioni. La rivoluzione d’Ottobre fu sì figlia della Prima guerra mondiale, come sostiene Canfora, ma quanto il movimento insurrezionale del 1905 lo fu della guerra russo-giapponese. Ovvero, in tali frangenti le contraddizioni sociali che maturavano da tempo nella società russa trovarono l’occasione per erompere sulla scena, ma è pacifico come tali avvenimenti venissero da lontano e non possano essere ricondotti nelle loro dinamiche decisive al mero “conflitto tra riformisti e rivoluzionari” come sostiene Canfora. Bastasse questo, la storia sarebbe di facile lettura sulla base dei conflitti tra fazioni, ceti ed élite, come del resto è tendenza dell’idealismo di ogni epoca e scuola.

Per quanto riguarda la convinzione canforiana “che il grande fiume del movimento operaio consista in ciò che, da Karl Marx in avanti, si chiama socialdemocrazia”, anche qui bisogna distinguere. Cosa s’intende per movimento operaio? All’epoca di Marx il movimento operaio era presente in modo consistente solo in Inghilterra, già meno in Francia. L’Italia era ancora un paese con una struttura economica prevalentemente agraria, e anche la Germania era appena agli inizi del suo sviluppo industriale.

Il grande fiume del movimento operaio è dunque una generalizzazione ma soprattutto un’astrazione di comodo che non spiega nulla e anzi tende a confondere.

“Da Marx in avanti” vuol dire che Marx, per Canfora, fu esso stesso propugnatore della socialdemocrazia. E, anche in tal caso, cosa intende dire? Non posso credere che Canfora voglia dire che Marx fu un socialdemocratico. È vero, per esempio, che Marx ed Engels sostennero la partecipazione alle elezioni tedesche del partito socialdemocratico, ma è altrettanto certo che essi puntavano a realizzare le condizioni minime per costringere il dominio politico delle vecchie classi feudali entro condizioni democratiche (*). Del resto, date proprio quelle stesse condizioni, il partito non poteva che chiamarsi socialdemocratico. Rammento le leggi bismarckiane contro i socialisti.

Sulla lotta condotta indefessamente da Marx e Engels contro le stoltezze socialdemocratiche alla Lassalle e compagni di merende, è testimonianza, tra l’altro, l’imponente corrispondenza tra i due fondatori del comunismo scientifico. Oppure le Glosse marginali al Programma di Gotha. Insomma, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Per il resto Marx è categorico quando scrive, a proposito della Costituzione francese del 1848, quanto segue:

«Il dominio borghese come emanazione e risultato del suffragio universale, come espressione della volontà popolare sovrana, questo è il significato della Costituzione borghese».

Marx ed Engels non si facevano soverchie illusioni sul riformismo d’impronta socialdemocratica, e a tale riguardo basterebbe avere a mente la celebre frase: Il potere politico dello Stato moderno non è che un comitato, il quale amministra gli affari comuni di tutta quanta la classe borghese (MEOC, VI, p. 488).

E dunque il “grande fiume operaio” si sarebbe mosso nell’alveo della socialdemocrazia, sostiene Canfora. E in questo c’è del vero, ma va spiegato cosa c’era nel “grande fiume” oltre alla socialdemocrazia, senza dimenticare la Comune parigina del 1871, ossia la storia del movimento comunista e anarchico, se non vogliamo ridurre la storia del movimento operaio alle sorti della socialdemocrazia della seconda internazionale, alle scorie bernesteiniana e turatiana.

Canfora poche pagine dopo scrive:

“A mio avviso gli stessi partiti comunisti occidentali, nella realtà postbellica, si erano fatti portatori di istanze tipicamente socialdemocratiche”.

E aspettavamo Canfora che lo rivelasse? Lo sappiamo bene da oltre un secolo che la dirigenza dei partiti operai in non pochi casi si dichiarava socialista o comunista a parole, ma si dimostrava socialimperialista nella pratica, come dimostra la fine miserabile della Seconda internazionale e poi molti altri fatti ancora. Canfora in questa prima parte del libro fa la parte del mero ripetitore di questioni assai dibattute e logore, per non dire altro.

Per venire a epoche più prossime, Canfora scrive che il gruppo dirigente del Pci si trovava allora “su posizioni più avanzate rispetto alla base. Lo stesso Togliatti – dice Canfora – decise di contrapporsi al centrosinistra [DC + PSI] solo perché doveva fare i conti con il settarismo della base”.

Chi non ha tradito gli ideali del comunismo e della rivoluzione è così tacciato da Canfora di “settarismo”. In tal modo Canfora tende a sottomettere “l’ideologia” alla “politica”, di travestire il lupo in attesa di Cappuccetto Rosso, negando di fatto il proletariato in quanto classe antagonista, rinviando tutto a una lotta per la primazia tra élite e tra interessi nazionali diversi. Dunque a vincere sarebbe il dato politico e soggettivo, poiché la base oggettiva dei rapporti di produzione non conterebbe più un cazzo.

Ed è così che dal togliattismo al compromesso storico berligueriano, dalla lega delle Cooperative ai grandi appalti pubblici, si arriva infine al partito imprenditore e banchiere che è l’attuale Partito democratico, all’alleanza governativa con i reazionari e i fascisti.


(*) Vedi legge contro i socialisti del 1878. Sui rapporti tra Marx-Engels e il partito socialdemocratico, cfr. anche – tra le tante – la lettera di E. a J.P. Becker del 1° aprile 1880. Ecc..

2 commenti:

  1. Forse Canfora pecca troppo di "storicismo", parlando - com'è ovvio - sempre della storia di chi ha fatto la storia, ovvero delle élite.
    Mi sembra, infatti, che il passaggio finale che tu critichi, quello sul "settarismo" della base, si possa leggere in questo contesto, alla luce delle pagine che immediatamente seguono, ove viene rammentata la "legge ferrea delle oligarchie" di Roberto Michels.

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