Premetto che personalmente non ho alcuna sorpresa nel
considerare la deriva della così detta sinistra radicale, di quei partiti e
movimenti politici che si richiamano almeno nominalmente alla sinistra, alla
libertà, all’ecologia, e finanche ancora al comunismo. Non mi stupisco quindi
se certi personaggi di prestigio sono stati iscritti al Pci e poi candidati
alle elezioni nelle liste dei Comunisti italiani di Cossutta pur esprimendo
posizioni agli antipodi dalla tradizione e dagli ideali della sinistra e del
marxismo.
* * *
Premetto altresì che non ho alcuna sorpresa nel
considerare il successo di pubblico non solo per certa letteratura d’evasione,
ma anche per certa saggistica storica. Più che capire, è diventato importante
leggere, aver commercio con molti libri. Spesso gli autori più celebri e
affaccendati usano avvalersi dei ghost
writer, e ciò non è un male assoluto quando si tratta di narrativa,
succedeva a Dumas, tanto per citare; e pazienza anche se si scrive a numero e
peso, succedeva anche al povero Salgàri. Diverso il mio giudizio quando si
tratta di saggistica, ossia quando la divulgazione diventa non solo un affare
di smercio editoriale, ma un lavoro scientifico di “orientamento” ideologico mascherato.
* * *
Scrive Luciano Canfora a p. 54 della sua Intervista sul potere (Laterza 2013),
rivolto all’intervistatore:
«Pensa di
certo al fallimento dell’occupazione delle fabbriche nel settembre 1920. Il
gruppo comunista torinese dell’Ordine Nuovo sperava che ne sarebbero nati i
soviet italiani. Invece non c’è alcuno sbocco rivoluzionario, gli operai
lasciano le officine e poi s’impone in pochi anni la dittatura fascista: la
dittatura fascista: una terza via che riesce a tendere insieme, con un consenso
innegabile, le forze sociali, proletariato e borghesia, che si erano
violentemente contrapposte dopo la Prima guerra mondiale senza avere la
capacità di prevalere l’una sull’altra».
Un appunto solo per ciò che riguarda la “terza via
che riesce a tendere insieme, con un consenso innegabile, proletariato e
borghesia”. La fine dell’occupazione delle fabbriche, come dice Canfora, è del
settembre 1920, la marcia su Roma di oltre due anni dopo, la dittatura
formalmente del 1925. Come ci si è arrivati al “fallimento” e alla dittatura,
con la semplice fine dello sciopero del settembre 1920?
Il 20 febbraio 1919 si era raggiunto un accordo con
l’Associazione industriali dei metalmeccanici che prevedeva la riduzione di
orario a 8 ore giornaliere e 48 settimanali, il riconoscimento delle commissioni
interne e la loro istituzione in ogni fabbrica; la nomina di una commissione
per il miglioramento della legislazione sociale e di un’altra per studiare la
riforma delle paghe e del carovita.
Ma l’ala più oltranzista del padronato comincia a cercare la
prova di forza contro gli operai e il sindacato. La trova nell’agosto del 1920
quando la trattativa per il miglioramento delle condizioni di vita dei
metallurgici viene interrotta e cominciano le serrate. La risposta operaia è l’occupazione
delle fabbriche che coinvolge più di 400mila metallurgici e altri 100.000 di
altre categorie. Momenti di tensione, alcuni dei quali sfociano in
autentiche battaglie in cui si contano morti e feriti.
Questi fatti precedono l’accordo del 19 settembre 1920. Le fabbriche tornano alla normalità nei
giorni seguenti, avendo ottenuto il riconoscimento del controllo operaio nelle
fabbriche, aumenti salariali, 6 giorni di ferie pagate, miglioramenti per gli
straordinari e il lavoro notturno.
Domando: di
quale fallimento si tratta? Non erano nati i soviet italiani, ma su questo
punto credo fossero in pochi a farsi illusioni. Erano stati ottenuti però dei
miglioramenti significativi. La fase di lotta si chiudeva dunque nel settembre
1920. La marcia su Roma è della fine d’ottobre del 1922. Cos’era avvenuto nel
frattempo? Assalti squadristi alle camere del lavoro, alle sedi del Partito
socialista, alle redazioni dei giornali di opposizione, pestaggi, omicidi, raid
squadristici.
I padroni,
industriali e agrari, non ci stavano, volevano imporre il loro ordine. Infine
fu la neonata Confindustria e i grandi proprietari agrari a finanziare il
fascismo e segnatamente la marcia su Roma. Ben vista, come ho mostrato in un recente post, dal Vaticano per motivi prevalentemente finanziari. Furono queste forze
che indussero il Re a non firmare lo stato d’assedio.
Quanto
all’innegabile consenso, è bene chiarire con dei numeri eloquenti. I fascisti alle elezioni del 1919 non
avevano preso nemmeno un seggio, perfino Mussolini era stato trombato a Milano.
E nel 1921, cioè l’anno dopo i fatti narrati da Canfora, i fascisti ne avevano
ottenuti pochi di seggi e solo nelle liste dei liberali di Giolitti (blocchi
nazionali): 35 su 530.
Di quale innegabile consenso parla dunque Canfora? Il
consenso, quello di massa almeno, arrivò molti anni dopo, con la dittatura, la propaganda e la
manipolazione. Dopo la legge elettorale Acerbo (1924), dopo l’omicidio
Matteotti, dopo il 18 brumaio 1926 quando fu approvato dalla Camera l’ordine
del giorno di Augusto Turati, che decretava la decadenza dei deputati
aventinisti e comunisti, in seguito alle
leggi fascistissime e ai tribunali speciali, ecc.. Non per nulla Renzo De
Felice colloca la fase del consenso un quindicennio dopo i fatti narrati da
Canfora.
Conto di ritornare nei prossimi post sul modo disinvolto
del professor Luciano Canfora di raccontarci la storia. Ad alcuni lettori forse
non interesserà l’argomento, ma non è questo genere di lettori ai quali mi
rivolgo.
Letto con interesse le tue controargomentazioni, indiscutibili, solo che mi domando che interessa abbia uno studioso come Canfora a proporre una lettura di quegli eventi in quei termini. Necessità di far confluire dei fatti e dati storici a delle letture contestuali dell'epoca molto soggettivistiche per operare dei parallelismi politici con l'oggi? Non ho letto il libro, limite enorme, tuttavia questa domanda, come si suol dire, mi sorge spontanea.
RispondiEliminasi tratta di un'ottima domanda e non solo perché è la domanda chiave che anche io mi pongo. cercherò di rispondere in un prossimo post. al momento, con il libro ancora in mano, posso porre altre domande che alludono a delle risposte: perché Canfora non menziona la crisi economica degli anni trenta, perché non tratta della crisi attuale (la cita, la cita semplicemente e incidentalmente a p. 240)?
EliminaOvviamente ho un'idea del perché. perciò al prossimo post sull'argomento.
ps. il libro è interessante e stimolante, Canfora non è un rappresentante del pensiero borghese qualsiasi. ed è un abile mistificatore. abilissimo.
Argomento interessantissimo, altroché!
RispondiEliminaHans
oh Hans, volevo chieder notizie di te alla Sciarelli
EliminaNon perdo neanche un post! :-)
RispondiElimina(Ma in questo periodo li ho letti con qualche giorno di ritardo, concentrandoli per lo più la domenica)
Hans
:)
EliminaSì, c'è una volonta ben precisa di rappresentare la storia del comunismo come fallimentare. Anche per la storia dell'Urss, un paese che in 30 anni, nonostante due guerre mondiali, milioni di morti, una sciagurata dittatura diventa un paese pienamente industrializzato e alfabetizzato. Se il capitalismo avesse raggiunto in America latina e in Africa ciò che il criticabilissimo e sciaguratissimo sistema sovietico ha fatto a parità di condizioni...
RispondiEliminaPs ti si legge sempre anche se non sempre si ha tempo per lasciare un commento anche breve.
di notte bisogna scrivere i commenti se necessario!!!!!
Eliminaciao