Visto
il successo, come si dice, di pubblico e di critica ottenuto da cinque post
dedicati alla disinvoltura con la quale il professor Luciano Canfora tratta la
storia moderna in generale e il marxismo in particolare, passo a un genere diverso
di cazzeggio, seguendo dunque i dettami dell’auditel e della vanità bloggistica
della quale non mi dichiaro per nulla immune. E non dico questo perché mi stimi
troppo, come potrebbe legittimamente pensare qualcuno, ma perché mi stimo
almeno il giusto, e ciò serve a dare se non altro un po’ di tono per affrontare
la vita con un passo meno incerto e sopportare la pioggia che anche in questo
momento, inesausta, recita la sua parte nella mia giornata.
L’andar
appresso al libro di Canfora mi ha distratto dal romanzo che stavo per iniziare
e che, confesso quasi con colpa, non ho ancora mai letto: La Cripta dei Cappuccini. In senso relativo ho sempre dato non
troppo spazio alla narrativa e assai poco a quella del Novecento, ad eccezione
di quella francese e sovietica. In anni ahimè troppo lontani, frequentai un
luogo – una calle del sestiere di San Marco, nei pressi della famosa piazza e a
due passi dall’omonimo cinema, quando ancora esisteva e si proiettavano le
pellicole del Festival in contemporanea con la sala del Lido – dove s’insegnava
il russo e si criticava l’Urss nonostante l’affitto dei locali fosse pagato
dalla rispettiva ambasciata.
Che mestizia suscitava vedere ogni tanto dei
piccoli e dimessi funzionari russi in visita alla città. Ricordo un pranzo, in
una trattoria, all’aperto, dove s’ubriacarono tutti (gli altri) ma non troppo
indecentemente. Fecero dono di alcuni distintivi dozzinali (si può immaginare
quali), alcuni libri, e una foto con dedica prestampata che non scrivo di chi
fosse per non rattristare ancor più questo post. Fu una parentesi breve, e
difatti il russo restò per me una lingua difficile e sconosciuta.
A tale proposito ho da raccontare un curioso e minimo aneddoto. Ricevetti in abbonamento, per decenni, un’eccellente rivista bimestrale: Rassegna sovietica, poi mutata in Slavia. Capitò una volta che nel stampare l’indirizzo, chissà come e perché, nella fascetta risultò scritta solo la provincia. Il recapito della stessa avvenne regolarmente. Si vede, non c’è credo altra ricostruzione plausibile, che la rivista viaggiò fino al magazzino postale provinciale, e lì qualcuno si pose la domanda e, data l’insolita pubblicazione, trovò anche la risposta, ricordando evidentemente dei precedenti invii. Stessa cosa dev’essere accaduta alle poste del paese ove abito. Chi vuoi mai riceva Rassegna sovietica in un posto così?! Comunque, grazie per il regolare inoltro.
A tale proposito ho da raccontare un curioso e minimo aneddoto. Ricevetti in abbonamento, per decenni, un’eccellente rivista bimestrale: Rassegna sovietica, poi mutata in Slavia. Capitò una volta che nel stampare l’indirizzo, chissà come e perché, nella fascetta risultò scritta solo la provincia. Il recapito della stessa avvenne regolarmente. Si vede, non c’è credo altra ricostruzione plausibile, che la rivista viaggiò fino al magazzino postale provinciale, e lì qualcuno si pose la domanda e, data l’insolita pubblicazione, trovò anche la risposta, ricordando evidentemente dei precedenti invii. Stessa cosa dev’essere accaduta alle poste del paese ove abito. Chi vuoi mai riceva Rassegna sovietica in un posto così?! Comunque, grazie per il regolare inoltro.
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