In un’epoca in cui l’antagonismo tra borghesia e
proletariato, tra capitale e lavoro, non si era ancora pienamente sviluppato,
e, anzi, in un’America Latina nella quale tale moderno antagonismo era ancora
sconosciuto, si sperimentò un modello di socialismo sui generis, uno strano
tipo di società contadina e artigiana nelle missioni dei preti gesuiti, note
anche come reducciones, piccole
comunità indipendenti sia a livello economico che politico abitate da “indiani”
convertiti.
In tali comunità la proprietà della terra e dei mezzi
di produzione era collettiva, laddove i gesuiti godevano un’autonomia quasi
totale nei confronti delle autorità locali civili ed ecclesiastiche, e
detenevano il potere più importante della colonia. È questo il caso per esempio
delle reducciones con sede
nell’odierno Paraguay.
All’immaturità delle condizioni economiche e della
posizione delle classi sociali, corrispondeva un tentativo, come detto, di
socialismo su base teocratica. In tal modo la soluzione delle questioni
sociali, che restava ancora celata nelle condizioni economiche poco sviluppate,
veniva impostata sulla scorta di idee di uguaglianza mutuate dal Vangelo
cristiano. Questo modello di ordinamento sociale era condannato al fallimento non
appena si fossero sviluppate le forze produttive e le forme di scambio, oppure,
come avvenne, non appena tale autonomia si fosse scontrata con gli
interessi dei colonizzatori iberici.
Del resto, l’approccio di tipo comunistico non può
essere altro che utopico, almeno fino a quando la produzione capitalistica è
così poco sviluppata come in quei secoli. Gli elementi della nuova società,
così come idealizzata da quei gesuiti, oppure in seguito da Saint Simon,
Fourier o Owen, non sorgevano dallo sviluppo della stessa società, ma erano
tratti da idee che, nello scorgere l’ingiustizia, l’irrazionalità e
l’inadeguatezza degli ordinamenti vigenti, alimentavano quella stessa utopia.
Gli utopisti ignoravano ancora il nesso storico che
lega il mutamento effettivo degli ordinamenti e lo sviluppo delle condizioni
oggettive che presiedono la trasformazione sociale. Solo con la concezione
materialistica della storia, ossia partendo dal principio che la base di ogni
ordinamento sociale è la produzione e lo scambio dei suoi prodotti, tale nesso
sarebbe stato posto in chiaro; e, conseguentemente, che le cause – per dirla
con Engels – di “ogni mutamento sociale e ogni rivolgimento politico vanno
ricercate non nella testa degli uomini, nella loro crescente conoscenza della verità
eterna e dell’eterna giustizia, ma nei mutamenti del modo di produzione e di
scambio” (*).
* * *
Lo spunto per queste considerazioni mi è stato dato
da un documento televisivo di qualche giorno fa (Rai storia) relativo alla
condizione degli Ayoreo, una popolazione di cacciatori e raccoglitori che una
cultura di semi nomadismo porta a spostarsi in un’estesa zona del Chaco (una regione che interessa parecchi stati dell’America Meridionale e della
quale ho già avuto modo di dire in altro post).
Nel loro habitat originario, protetto dal bosco
spinoso impenetrabile del Chaco, dove per nove mesi l’anno non cade la pioggia,
sono riusciti per molti secoli a restare immuni dalla penetrazione di
colonizzazione, almeno fino a quando, nel 1947, sono stati raggiunti dalla
“civiltà”, ossia per iniziativa di alcuni missionari evangelici (sono come le
piattole), i quali hanno loro imposto di dimenticare tutto ciò che concerne la
loro antica sapienza e religiosità. Ad oggi, diceva il documentario, solo il 3%
del territorio è rimasto disponibile per queste popolazioni, il rimanente,
ossia la quasi totalità, è stata recintata diventando proprietà privata.
Ed è così, intrecciando dati relativi agli indios
sudamericani, all’utopia socialista, alla Storia del Paraguay, che rilevo come
su Wikipedia, per quanto riguarda la storia del Paraguay, il nome di José
Gaspar Rodríguez de Francia, compare, non nel paragrafo relativo alla storia
del paese, ma in quello sulle “etnie”, e solo per dire di una sua legge sul
matrimonio, peraltro senza dire in quale veste egli la promulgò. Un po’ come se
Cavour nella storia moderna d’Italia fosse ricordato meramente per una legge
sull’importazione del carbone. Oppure, si citasse Mussolini per l’imposta sui
celibi, o ancora De Gasperi per una norma sui dazi doganali. Un motivo forse
c’è per questo silenzio su un personaggio politico così controverso e a suo
modo straordinario come de Francia.
Quando crollò l'impero coloniale spagnolo nel 1811,
il Paraguay dichiarò la sua indipendenza. Il paese venne diretto da un
avvocato, José de Francia per l’appunto, il quale restò al potere fino alla
morte, nel 1840. Proclamò una politica di autarchia (con risorse proprie al
fine di ridurre al minimo la dipendenza da fattori esterni), di confisca delle
terre ecclesiastiche che divennero di proprietà pubblica e distribuita ai
contadini. Francia rilanciò parzialmente l'idea dei gesuiti, ma senza sfumature
religiose. Al centro dell'economia fu posta la proprietà pubblica e di piccole
imprese private. Il risultato fu la creazione di un settore industriale statale
forte, realizzando l'unione delle classi lavoratrici e della piccola borghesia,
fatto impensabile per i primi anni del XIX secolo. La povertà fu eliminata e la
criminalità praticamente eliminata. L'istruzione fu gratuita, così come
l’assistenza medica, le tasse basse e furono istituiti banchi alimentari
sociali. Il Paraguay divenne il paese più dinamico e sicuro del Sud America.
Chiaro che questo stato di cose non poteva durare
dopo la scomparsa di de Francia. Le borghesie delle nazioni limitrofe non
potevano tollerarlo, preferiscono la carne india al sangue, perciò si unirono per
distruggere l'incarnazione materiale di queste pur blande idee socialiste.
(*) MEOC, XXV, p. 256.
molto interessanti queste rivisitazioni storiche perche' ci servono a capire la complessita' ( e forse anche l' irrisovibilita') delle questioni sociali che nascono dall' organizzazione dell' economia.
RispondiEliminaIn merito io ho il sospetto che la soluzione " socialista", un sogno sempre rilanciato dalla costatazione dell' ineliminabile ingiustizia sociale dell' organizzazione capitalistica , sia sempre destinato a soccombere proprio per le stesse ragioni con cui ebbero la peggio gli " esperimenti" paraguayani; cioe' l' incapacita' di un sistema socialista a mobilitare le proprie risorse umane , che sul sul lungo periodo finiscono troppo depresse dallo staticismo e dal verticalismo di ogni organizzazione "socialista".
La questione purtroppo rimane sempre aperta , e comunque dalla storia mi pare che efficacia migliore abbia sempre avuto una soluzione capitalistica sottoposta ad uno stato basato su principi socialisti ; grossomodo la "strada svedese" perseguita anche dall' ultimo (sedicente :-) ) comunismo cinese.
Di questi esperimenti non c' e' certezza che essi poi non tralignino ( come in parte appunto in svezia) ma di sicuro essi conseguono stabili modifiche "socialiste " su di un lungo periodo,in ogni caso ben piu lungo di quelli " paguaiani" e " sovietici".
ws