Una singolarità della dottrina della “povertà” è che
nei luoghi laddove essa è stata più predicata sono spesso anche quelli nei quali è
stata meno seguita. Si pensi a Roma, non tanto a quella di Cincinnato che
cuoceva le sue rape, ma a quella che ha dominato dal secolo di Costantino e di Teodosio
fino all’altro giorno. Insomma, la Roma dei papi e dei preti cattolici.
Oggi c’è papa Francesco, il quale fin dal nome
ostenta un’austerità che è solo una manovra di circostanza per far fronte a questi
tempi difficili, uno sforzo di riesumare calcolate affettazioni di virtù che in
definitiva non sono altro che la prova della loro inadeguatezza.
Che gli alti prelati siano da millenni una
consorteria di falsi moralisti che vivono nel lusso, è un fatto storico incontestabile.
La loro morale su questi temi inganna, come solito, grossolanamente, fino al
punto di vantare il fascino della povertà e disistimare, a parole, la
ricchezza. Le giaculatorie morali di quel tipo non hanno altro sostegno,
paradossalmente, che il lusso. Se vivessero in vera povertà e non di una ricca carità,
userebbero parole e toni ben diversi per denunciare le “ingiustizie” del mondo.
E invece si mantengono nel vago, compreso il nuovo Francesco.
È la morale dei Vangeli, ossia quella stessa che i
preti hanno trascritto tra il III e il IV secolo e aggiustato via via. Una tale
morale è evidentemente strumentale, superflua e impotente nel meccanismo
sociale, poiché tutte le competenze che la Chiesa dice e crede di assoggettare al proprio
magistero, a cominciare appunto dal patrocinio sui poveri, servono in realtà a
consolidare l’ordine sociale costituito. Proprio a tale scopo Costantino
sdoganò il cristianesimo definendo se stesso: epìskopos tôn ektòs, ed essere
i clerici della ecclesia catholica funzionari dello Stato (*).
L’abilità dei preti consiste nel far ricadere l’onta
della povertà e della miseria su delle indeterminate cause, riservandosi poi il
vantaggio di approfittare essi stessi di questo sistema. Se avessero veramente
a cuore le sorti dei poveri non dovrebbero avere dubbi su chi disprezzare e
contraddire, su quali palesi verità denunciare.
(*) Salvatore Calderone, Costantino e il cattolicesimo, Le Monnier, 1962, p. 181.
Nessun commento:
Posta un commento