We can’t solve problems by using the same
kind of thinking we used when we created them.
Albert Einstein
È ben noto come le funzioni sociali più utili non
siano anche tra le più desiderate, tanto più poiché esse non portano né
prestigio e nemmeno elevate remunerazioni.
Se si dovesse poi stilare una classifica dei lavori e
professioni secondo la loro utilità sociale effettiva, il banchiere, per
esempio, dovrebbe trovarsi agli ultimi posti. E invece sembra che i banchieri siano
il sale del mondo. Una stranezza solo apparente.
Il banchiere gode, a ben vedere, di una fiducia quasi
generalizzata, stante il fatto che gli vengono affidate in gestione sia ingenti
ricchezze sia i nostri sudati risparmi. Scopo degli istituti di credito,
proprio per il nome che portano, dovrebbe essere appunto quello di concedere
dei prestiti a chi li chiede, a chi ne ha bisogno. Sappiamo invece come vanno
le cose, le banche presterebbero ben volentieri a chi non ne ha alcun bisogno e
per contro non fanno credito a chi si presenta col cappello in mano.
Scopo delle banche e dei banchieri è di farci pagare le
più alte spese sui nostri conti e per ogni minuta transazione. E a tal fine si
servono di uno stuolo di fantasiosi commessi esperti nell’estorsione, ben
remunerati ovviamente. E nonostante queste e altro genere di rapine, queste
stesse banche riescono ad accumulare debiti giganteschi con le loro monotone
manovre speculative che anche un bambino giudicherebbe avventate e di altissimo
rischio. Debiti, come sappiamo, che poi vengono scaricati sulla fiscalità
generale.
Questo genere di frodi è ben conosciuto in tutte le
sue pieghe e piaghe, e per questo motivo a vigilare le banche sono preposte delle
autorità pubbliche, i cui membri però appartengono per nascita, formazione e
carriera a quella stessa cerchia di malandrini che dovrebbero sorvegliare. Una
specie di guardia e ladri dove le parti sono intercambiabili, proprio come nel
gioco fanciullesco.
E difatti non c’è epoca nella quale non si lamentino
scandali bancari e finanziari colossali, furfanterie di ogni genere che spesso
godono delle complicità di cui ho appena detto, e a cui abboccano in molti con
la promessa di elevati interessi.
A parlare, nei conclavi mondiali finanziari ed
economici, sono sempre gli stessi personaggi: economisti e politici che
spiegano la crisi e le contraddizioni del sistema ma non le sanno studiare (ovviamente
non perché non ne siano incapaci, ma per altri motivi che non dovrebbe essere
difficile immaginare); e i grandi banchieri, ossia quelli che governano la
moneta e gestiscono la ricchezza finanziaria. Sono costoro che poi in
definitiva fanno e disfano le regole del gioco.
Recentemente Ben Bernanke, il presidente della Federal Reserve, riferendosi ai colossi
bancari ha ammesso che il problema del too-big-to-fail
– troppo grandi per fallire – è "ancora qui". Perciò si valuteranno
nuove misure (non ha detto quali). Simon Johnson, ex capo economista del Fondo
monetario internazionale, professore di management presso il MIT Sloan
School of Management, scrive sul New
York Times che bisogna ripensare il sistema finanziario rendendolo più
trasparente e meno rischioso. Buoni propositi anche da qui.
Richard Fisher, presidente della Federal Reserve Bank di Dallas, vi ha scritto perfino un libro che
richiama fin dal titolo la stessa faccenda. Egli propone di ristrutturare le
grandi corporation finanziarie in piccole banche in modo da renderle più
maneggevoli in caso di fallimento, per poterle chiudere, scrive, il venerdì e
riaprirle il lunedì successivo. Anche in questo caso non s’è capito come si
formino e a cosa servano il monopolio e i cartelli. Ma è molto più probabile che ci vogliano solo prendere in giro.
Non c'è modo che la Fed possa affettare per esempio una
banca come JPMorgan Chase con 260.000
dipendenti che operano in sessanta paesi in una moltitudine di settori
finanziari e speculativi, industriali e delle materie prime, eccetera; oppure
una banca come Citigroup, con 200
milioni di conti in 160 paesi e un traffico giornaliero di 3.000 miliardi
dollari. Il mondo di Fisher esiste solo nella sua testa e in quella dei lettori
che gli danno retta.
Ristrutturare le banche troppo grandi in una miriade
di banchette, è una soluzione rischiosa e che può avere l'effetto opposto, per
una serie di motivi. In primo luogo, non vi è consenso sul fatto che la
dimensione sia il problema. Anche un critico liberale come Paul Krugman ha
sostenuto che la dimensione non è il problema. In secondo luogo, anche tra
coloro che pensano che la dimensione è il problema, non vi è consenso su quando
la dimensione di una banca diventa un problema. In terzo luogo, gli studi
suggeriscono che le banche più grandi sono più robuste per far fronte a
situazioni di crisi. Infine, quasi tutti i crash finanziari sono stati
innescati da problemi nelle istituzioni finanziarie più piccole.
In definitiva, però, il problema non è semplicemente,
come invece si dibatte a vuoto, se le banche siano troppo grandi, ma anzitutto la
funzione data al denaro nel modo di produzione capitalistico, come forma
antitetica agli interessi generali della società. Se consideriamo, oltretutto,
i principi contabili seguiti dalle banche americane, scopriamo che esse
nascondono circa la metà degli attivi, in quanto le banche statunitensi non sono
tenuti ad adottare gli International
Financial Reporting Standards, ossia le regole che impongono la divulgazione
del loro patrimonio in strumenti derivati, per esempio le obbligazioni
collaterali del debito (CDO). Gran parte del resto del mondo lo fa, non gli
Stati Uniti.
Kevin Warsh, un ex membro del Federal Reserve Board nominato da George W. Bush, sostiene come il
problema della contabilità trasparente sia centrale. Egli afferma che, sulla
base delle informazioni fornite dalle banche, “gli investitori non possono
capire veramente la natura e la qualità delle attività e delle passività delle
banche stesse”. Non possono facilmente valutare l'affidabilità del capitale disponibile
per compensare le perdite reali così come non possono valutare i fattori
all'origine dei loro utili. “La divulgazione dei dati così come avviene oggi –
afferma – offusca più di quanto non informi, e il governo non solo lo permette
ma sembra favorire questo stato di cose”.
Scrive Karl Marx nel 33 capitolo del III Libro de Il
Capitale:
Il sistema creditizio che ha come centro le pretese banche
nazionali e i potenti prestatori di denaro, e gli usurai che pullulano attorno
ad essi, rappresenta un accentramento enorme e assicura a questa classe di
parassiti una forza favolosa, tale non solo da decimare periodicamente i
capitalisti industriali, ma anche da intervenire nel modo più pericoloso nella
produzione effettiva — e questa banda non sa nulla della produzione e non ha
nulla a che fare con essa. Le leggi del 1844 e del 1845 costituiscono una prova
della forza crescente di questi banditi ai quali si uniscono i finanzieri e gli
stock - jobbers (Speculatori di Borsa).
Chiunque ancora mettesse in dubbio che questi rispettabili
banditi sfruttano la produzione nazionale e internazionale soltanto
nell’interesse della produzione e degli sfruttati stessi, costui sarà
certamente un po’ meglio istruito dal seguente sermone sull’alta dignità morale
del banchiere: «Gli istituti bancari sono istituzioni religiose e morali.
Quante volte la paura di essere visti dall’occhio attento e ammonitore del suo
banchiere non ha distolto il giovane commerciante dalla compagnia di amici
agitati e dissoluti? Quanto si preoccupa di godere buona reputazione presso il
banchiere, di apparirgli sempre ineccepibile? Un aggrottamento di ciglia del
banchiere ha su di lui un effetto maggiore delle prediche morali dei suoi amici;
non trema egli al pensiero di poter essere sospettato colpevole di un inganno o
della più piccola affermazione inesatta, per timore che ciò possa provocare
diffidenza e quindi una restrizione o una sospensione del suo credito bancario?
Il consiglio del banchiere è per lui più importante di quello del sacerdote». (G. M. BELL,
direttore di banca scozzese: The Philosophy of Joint Stock Banking, Londra,
1840, pp. 46, 47).
bonjour Olympe bonjour
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