martedì 6 giugno 2023

Il paradigma dell'imperialismo americano

 

Il NYT pubblicava ieri un editoriale di Paul Krugman, economista e premio Nobel 2008.

Inizia così: «Settantanove anni fa i paracadutisti alleati iniziarono ad atterrare dietro le spiagge della Normandia. La seconda guerra mondiale è stata molto tempo fa, ma vive ancora nella memoria dell’America. E l’anniversario del D-Day, martedì, sembra particolarmente evocativo quest’anno, in attesa dell’equivalente morale del D-Day, che arriverà da un momento all’altro quando l’Ucraina inizierà il suo tanto atteso contrattacco contro gli invasori russi (che potrebbe essere già iniziato)».

È bene ricordare, a tale riguardo, che 79 anni fa decine di milioni di “alleati” erano impegnati a cacciare i tedeschi dalla Russia (compresa l’Ucraina), dalla Polonia e dal resto dell’Europa dell’Est. Senza quello sforzo bellico russo e decine di milioni di caduti contro centinaia di divisioni tedesche, per i “paracadutisti alleati” non ci sarebbe stata partita né in Francia né altrove.

La seconda guerra mondiale vive ancora nella memoria della Russia, più ancora che nella labile memoria dei padroni dell’America, che da quella guerra hanno tratto il vantaggio di diventare la prima potenza mondiale imponendo, tra l’altro, al mondo la loro moneta per gli scambi internazionali, cosa che permette loro di spendere e spandere senza riguardo.

Scrive Krugman: «Uso consapevolmente il termine “equivalente morale”. La seconda guerra mondiale è stata una delle poche guerre che è stata chiaramente una lotta del bene contro il male. Ora, i bravi ragazzi non erano affatto del tutto bravi. Agli americani venivano ancora negati i diritti fondamentali e occasionalmente massacrati a causa del colore della loro pelle. La Gran Bretagna governava ancora, a volte brutalmente, su un vasto impero coloniale».

Krugman sorvola sul fatto che a molti americani furono negati ancora per molto tempo i diritti fondamentali, e tutt’ora di fatto quei diritti sono negati, e che, allora come oggi, i cittadini americani sono massacrati a causa del colore della loro pelle. Sorvola sul fatto che gli Stati Uniti, in rapporto alla propria popolazione, sono di gran lunga al primo posto nella classifica delle persone carcerate e in libertà condizionata. Che gli oppositori del regime americano sono spiati ed eliminati fisicamente, perseguitati e sottoposti ad ostracismo. L’elenco che si può citare in proposito è lunghissimo.

Krugman se la cava così: «Ma se le grandi democrazie troppo spesso non sono riuscite a essere all’altezza dei loro ideali, avevano comunque gli ideali giusti; si battevano, per quanto imperfettamente, per la libertà contro le forze della tirannia, della supremazia razziale e dell’omicidio di massa».

Sarebbe assurdo sostenere che il regime hitleriano, oppure quello sovietico e altri regimi sedicenti comunisti fossero da preferire al sistema statunitense; tuttavia Krugman anche in questo caso sorvola sul fatto che il primo grande genocidio della storia moderna è da iscriversi nella storia americana. Che pur con tutte le libertà riconosciute formalmente, gli Stati Uniti rappresentano un sistema fortemente classista e dove la questione razziale, nonostante tutti i melensi maquillage, resta un problema sociale grave e aperto. Dunque, sarebbe necessario un po’ di pudore prima di ergersi a paladini dei diritti umani e delle libertà civili. L’Europa, per dire, può oggi vantare in tal senso molti più crediti che non gli Usa.

Scrive l’economista: «Se l’Ucraina vince questa guerra, alcuni dei suoi sostenitori all’estero saranno senza dubbio delusi nello scoprire il lato oscuro della nazione. Prima della guerra, l’Ucraina era in cima alle classifiche di corruzione percepita, più della Russia, ma questo non dice molto. La vittoria non farà sparire la corruzione.

«E l’Ucraina ha un movimento di estrema destra, inclusi gruppi paramilitari che hanno avuto un ruolo nella sua guerra. Il paese ha sofferto terribilmente sotto Stalin, con milioni di morti in una carestia deliberatamente progettata; di conseguenza, alcuni ucraini inizialmente accolsero i tedeschi durante la seconda guerra mondiale (fino a quando non si resero conto che anche loro erano considerati subumani) e l’iconografia nazista è ancora diffusa in modo inquietante.

«Eppure, come i difetti degli alleati nella seconda guerra mondiale, queste ombre non creano alcuna equivalenza tra le due parti in questa guerra. L’Ucraina è una democrazia imperfetta ma reale, che spera di entrare a far parte della più ampia comunità democratica. La Russia di Vladimir Putin è un attore malevolo e gli amici della libertà di tutto il mondo devono sperare che venga completamente sconfitta».

Nel suo editoriale, che è molto lungo ed è un invito a sostenere Kiev così come fu fatto nella II GM, Krugman adotta il paradigma classico dell’imperialismo statunitense, che decide le regole per il mondo intero, assegna i nomi agli altri – tu buono, tu mostro – e coopta secondo gli interessi del momento chi gli è utile, fa diventare chi si oppone agli interessi di Washington geneticamente o culturalmente predisposto per la violenza e il totalitarismo, trasforma in rivoluzioni i colpi di Stato, in patrioti i terroristi, in autodifesa gli attentati, insomma il mondo diventa un caso particolare della politica estera e interna americana.

Sanno benissimo che l’Ucraina nella Nato ci porta “verso il conflitto globale”, ma non fanno nulla per fermare questa tendenza, e anzi desiderano il conflitto globale, tanto sono assetati di sangue e di supremazia.

4 commenti:

  1. Paul Krugman ha una enne sola, e una testa di cazzo. Butto lì alla rinfusa: negli anni '90 fu ingaggiato dal governo giapponese per far finire la stagnazione. Gli disse di fare più debiti. Così il debito andò alle stelle, e la stagnazione rimase.
    Poi nel 2008, appena eletto Obama, scelse la rivista Rolling Stone per la sua ricetta economica per il neopresidente. Se si cerca quel numero in archivio, non lo si trova più. Io che l'ho memorizzato penso di venderlo a un'asta di Sotheby's.
    Il problema di Paul è che lui è un neokeynesiano, con una spruzzata aggiuntiva di arroganza per via di quella stronzata che hanno fatto a Stoccolma. Io non disprezzo Keynes, che era uno intelligente. Disprezzo i keynesiani, e provo istinti omicidi nei confronti dei neokeynesiani. Se poi penso che Savonarola e Giordano Bruno... vabbe', non farmi parlare.

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