giovedì 13 ottobre 2022

La farsa dei Nobel

 

Post lungo, tempo di lettura 3 giorni, notti e pasti compresi.

A proposito di premi Nobel, ieri cadeva l’anniversario della morte di Anatol France, uno scrittore che rifiutò la legione dell’onore, che fu favorevole alla rivoluzione bolscevica, le cui opere furono poste all’indice dai preti, e già solo questo fatto dovrebbe rendercelo caro.

*

Il presidente degli Stati Uniti Barack Hussein Obama fu insignito del premio Nobel per la pace nel 2009, dopo meno di otto mesi in carica, per i suoi “sforzi straordinari per rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli”. Quando ha lasciato l’incarico, nel 2017, gli Stati Uniti erano stati in guerra per tutti gli otto anni della sua presidenza.

Una storia simile si ripete nell’assegnazione del premio Nobel per l’economia all’ex presidente della Fed Ben Bernanke (ex æquo con altri due). Nel suo mandato alla Fed, Bernanke è stato l’architetto dei salvataggi bancari e aziendali del 2008 e ha avviato il programma di allentamento quantitativo attraverso il quale la Fed e altre banche centrali hanno versato trilioni di dollari sui mercati finanziari, portando gli indici azionari a livelli record, facilitando un’orgia di speculazioni come non si era mai vista.

I premi Nobel per la pace e l’economia sono sempre modellati da considerazioni politiche. In questo caso Bernanke è stato ricompensato per i servizi resi all’oligarchia finanziaria, categoria molto più estesa di quanto si possa comunemente pensare.

Il comitato non può semplicemente assegnare il premio (del valore complessivo di quasi 900.000 zecchini d’oro) con un biglietto di ringraziamento. Deve fornire una giustificazione alla sua decisione citando una ricerca originale condotta e pubblicata dal destinatario del premio.

Nel caso di Bernanke si tratta di un suo articolo scritto 39 anni fa sull’effetto dei crolli bancari negli Stati Uniti in quella crisi che era iniziata come una recessione e sfociò nella Grande Depressione degli anni ‘30. Secondo Bernanke le banche falliscono non in conseguenza della crisi, ma piuttosto perché sono esse stesse una causa di crisi. Questo è lo stato di ciò che passa per essere scienza economica.

L’articolo di Bernanke sul corso della Grande Depressione non aveva per oggetto le contraddizioni di fondo dell’economia che avevano prodotto tale devastazione. Conteneva alcuni dettagli interessanti sul corso della crisi nei primi anni 1930 e sull’impatto dei fallimenti bancari, ma non diceva nulla d’inedito su quel tema. Era un resoconto accademico di ciò che fu evidente a qualsiasi osservatore economico anche a quell’epoca, ossia che il crollo delle banche ebbe l’effetto di restringere il flusso del credito, aggravando la recessione economica.

Del resto è storia nota da secoli che le banche, comunque denominate, svolgono un ruolo cruciale come intermediari tra i cosiddetti risparmiatori e le imprese che vogliono investire, così come la contraddizione tra il prestito a breve e il prestito a lungo e il suo ruolo nelle crisi finanziarie è noto almeno dall’ascesa del sistema bancario moderno a partire dalla metà del XIX secolo.

È ben lungi dalle intenzioni di un Bernanke o di qualsiasi altro economista porsi seriamente la domanda su come fosse stato possibile che l’economia del paese più ricco del mondo, anche di risorse naturali, con una forza-lavoro potente e qualificata, in possesso dei maggiori progressi nella scienza e nella tecnologia industriale, fosse andata in pezzi.

Le opinioni di Bernanke sono state chiaramente espresse in un discorso che pronunciò in occasione del novantesimo compleanno dell’economista Milton Friedman, incentrato su A Monetary History of the United States (1963), un libro di 796 pagine di testo di cui Friedman era coautore con Anna Jacobson Schwartz.

Descrivendo questo lavoro come “impressionante nella sua erudizione e sviluppo di dettagli storici”, Bernanke disse che Friedman e Schwartz “avevano dimostrato che il crollo economico del 1929-1933 fu il prodotto di una cattiva gestione monetaria della nazione” (in part. VII-2), e dall’incapacità con cui la Fed nei primi anni ‘30 non era riuscita a prevenire il panico bancario, compito per il quale era stata creata nel 1913 (VII-3).

Ancora una volta, la teoria economica borghese bypassa le contraddizioni del modo di produzione capitalistico e le trasferisce dal piano della produzione (nel libro non c’è un solo accenno) a quello della circolazione monetaria. In tal modo, il problema della crisi diventa in gran parte dottrinale!

Bernanke ha espresso il suo accordo con la conclusione di Friedman e Schwartz secondo i quali la morte prematura del più potente banchiere centrale, Benjamin Strong, governatore della Federal Reserve di New York dal 1914 al 1928 (equivalente alla posizione di presidente della Fed odierna), fu un fattore che contribuì in misura significativa e profonda nello scatenarsi della Depressione. La crisi da questione oggettiva assume connotati soggettivi.

Nelle parole di Friedman, la cosa migliore che i banchieri centrali possono fare per evitare le crisi è fornire all’economia uno “sfondo monetario stabile”. La politica monetaria, ovvero il controllo costante dell’offerta di moneta, conta profondamente nella gestione dell’economia della nazione, specialmente nel far fronte a gravi fluttuazioni economiche. Infatti, la sua critica è incentrata sulla figura del segretario al Tesoro sotto il presidente Hoover, Andrew Mellon, definito un “liquidazionista”, poiché sosteneva che le banche deboli dovevano essere eliminate come prerequisito per una ripresa.

Il caso di Bernanke è unico perché ha saputo mettere in pratica le conclusioni a cui è giunto sulla base dalla sua ricerca accademica del 1983, portandolo a prescrizioni messe in pratica durante il suo mandato come presidente della Fed in risposta alla crisi del 2008.

Ora viene attribuito a Bernanke il merito di aver evitato una calamità economica escogitando rapidamente nuove politiche monetarie aggressive – tassi d’interesse al minimo, prestiti alle banche e controversi programmi di acquisto di obbligazioni – durante e dopo la crisi finanziaria iniziata nel 2007 e nell’arco di due anni.

La documentazione disponibile racconta una storia diversa. Nonostante tutte le sue presunte intuizioni, Bernanke, al pari di molti altri, non aveva idea che si stesse preparando la crisi del 2008, risultato dell’orgia di speculazioni che si era sviluppata da quando il suo predecessore Alan Greenspan era intervenuto per sostenere Wall Street sulla scia del crollo del 19 ottobre 1987.

Prima di diventare presidente della Fed, Bernanke è stato propugnatore della tesi della “Grande moderazione”, affermando che il drago dell’inflazione era stato ucciso e la banca centrale, attraverso l’adeguamento dei tassi d’interesse, avrebbe potuto portare stabilità ai mercati finanziari.

Nel 2007, quando hanno cominciato a emergere problemi nel mercato immobiliare dei subprime, Bernanke aveva escluso qualsiasi effetto più ampio. “Riteniamo che l'effetto dei problemi nel settore dei subprime sui mercati immobiliari in generale sarà limitato e non prevediamo ricadute significative dal mercato dei subprime al resto dell’economia o al sistema finanziario”, disse nel marzo di quell’anno.

Un anno e mezzo dopo il crack, perché i metodi utilizzati per raccogliere profitti nel mercato dei subprime, sono stati utilizzati in tutti i settori del sistema finanziario. Bernanke, il principale guardiano della stabilità finanziaria, con una vasta gamma di analisi di dati e computer a disposizione, o non ne comprese il significato o scelse di ignorarlo.

Quando è scoppiata la crisi nel 2008, la Fed è entrata in azione per salvare Wall Street poiché quasi 10 milioni di lavoratori hanno perso il lavoro e 3,1 milioni hanno perso la casa. L’attenuazione della crisi ha portato a quello che è stato caratterizzato come il più lungo periodo di crescita nella storia americana, ma è stata una crescita per i mercati azionari e per gli speculatori finanziari, non per gran parte della popolazione che anzi s’è impoverita e le disuguaglianze si sono aggravate.

Wall Street è aumentata vertiginosamente e i profitti delle aziende sono aumentati, mentre la disuguaglianza si è aggravata, la spesa per l'istruzione e altri servizi sociali è stata ridotta, i salari reali sono rimasti stagnanti e i lavoratori hanno lottato per rimettersi in piedi, a volte impiegando anni, dopo essere rimasti disoccupati all'indomani della crisi.

Restano le domande: perché il sistema finanziario è fragile, perché è soggetto al panico?

La Fed, sotto la presidenza di Jerome Powell, ha ulteriormente sviluppato i metodi di Bernanke, espandendo il bilancio della Fed da circa 4 trilioni a poco meno di 9 trilioni, praticamente dall’oggi al domani, portando la speculazione a livelli parossistici.

Il risultato è che, mentre la Fed e altre banche centrali alzano i tassi d’interesse, cercando di indurre una recessione per fermare l’impennata dell’inflazione, il sistema finanziario globale è sull’orlo di un altro tracollo finanziario.

La situazione è potenzialmente peggiore di allora. Il mondo sta entrando in recessione, l’inflazione è ai massimi da 40 anni, i tassi d’interesse sono in costante aumento e il sistema finanziario, come chiarisce l’ultimo rapporto del Fondo Monetario Internazionale, è colmo di vulnerabilità. Tutto ciò non è solo il risultato delle politiche messe in atto da Bernanke e dai suoi odierni imitatori, ma si tratta pur sempre di benzina sul fuoco.

Obama ha ricevuto il premio per la pace mentre guidava gli Stati Uniti sempre più direttamente sulla strada della guerra. Bernanke ha ricevuto il premio per l’economia nonostante le misure da lui avviate abbiano posto le condizioni per un crollo che va anche oltre quello del 2008.

3 commenti:

  1. Sono sostanzialmente d'accordo con il post (dico sostanzialmente perché ci sono due o tre cose cui obietterei, ma sono minori). Sopra tutto, deve gridarsi ai quattro venti che la politica monetaria è una truffa. Prendiamo gli ultimi 10 anni, tanto per non essere accusati di menarla con cose inattuali. Per la gran parte di questi, la BCE ha cercato di aumentare l'inflazione, in base alla rilevazione statistica che quando c'è sviluppo c'è anche una moderata inflazione. Si tratta di una penosa inversione di causa e effetto: non è l'inflazione a causare lo sviluppo, ma l'opposto. Notare, tra l'altro, che lo statuto della BCE obbliga a combattere l'inflazione, non a fomentarla. Comunque nessun problema: sono stati incapaci di generare inflazione come sono adesso incapaci di arginarla. Oltre all'ovvia inadeguatezza delle persone (Mme Lagarde in testa) c'è l'impossibilità pratica della politica monetaria di incidere sull'economia reale. I soldi del QE sono rimasti nelle mani delle istituzioni finanziarie, che li hanno usati, e tuttora li usano, per speculazioni finanziarie. Ma questo non è l'unico esempio: caso di scuola il Giappone, che per trent'anni ha cercato, applicando ricette di economia monetaria, di uscire dalla stagnazione, senza riuscirci. Memorabili i consigli al Sol Levante di un altro Nobel del cazzo, lo spandimerda Paul Krugman. Se si fa vedere dalle parti di Tokio gli offrono una sciabola da harakiri, e lo obbligano a usarla.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. si chiama katana, come saprai
      ne possiedo, ereditate
      proprio pochi giorni or sono, per la precisione lunedì scorso, nello spostarle causa pulizie, mi stavo infilzando
      avrei potuto morire, prima ancora di ricevere il Nobel per la pace

      Elimina
    2. Lo so, non perché sia esperto di samurai, ma perché avevamo un motorino giapponese con quel nome.

      Elimina