mercoledì 19 marzo 2014

In filigrana


«Quando vidi che tutti tendevano la mano, misi sotto anche il mio cappello».


Alla convocazione degli Stati generali nel 1789, la questione più importante fu subito quella di decidere se le votazioni dovessero svolgersi per testa o per ceto. Chiaro che i rappresentanti del terzo stato si esprimessero per il primo tipo di votazione, essendo essi il doppio di ognuno degli altri due stati. I nobili invece insistettero perché si votasse per stato, ritenendo che con l’appoggio del clero avrebbe potuto dominare gli Stati generali.

Sennonché il clero, nella sua maggioranza, voltò le spalle alla nobiltà, nonostante esso fosse composto da 48 arcivescovi e vescovi, da 35 abati e decani, ma anche da ben 208 parroci che nella stragrande maggioranza stavano dalla parte del terzo stato, da cui del resto traevano origine e condizione. Nei momenti decisivi è l’imprevisto a fare la storia, non perché imprevedibile, bensì perché sottovalutato o trascurato.



Un quinto della proprietà fondiaria in Francia apparteneva al clero, senza dubbio i terreni più fertili e meglio coltivati, il cui valore superava quello di tutti gli altri insieme, calcolato in circa quattro miliardi di livres, dieci volte le entrate erariali annuali dello Stato. La rendita ammontava a 100 milioni di livres l’anno, cui sommavano 123 milioni portati dalla decima (1).

Le cariche ecclesiastiche più alte e lucrose, così come i seggi vescovili, erano in parte già riservate alla nobiltà, per il resto erano di nomina regia e andavano ugualmente alla nobiltà. I 131 arcivescovi e vescovi di Francia avevano insieme entrate annuali per più di 14 milioni di livres, più di 100mila livres pro capite. Il cardinale Rohan, arcivescovo di Strasburgo, percepiva, come principe della Chiesa, più di un milione di livres l’anno. Questo umile pastore di anime potè permettersi il lusso di acquistare una collana di diamanti per 1,4 milioni di livres nella speranza di conquistare in tal modo i favori della regina Maria Antonietta. Per avere un’idea di questi abnormi redditi, si deve pensare che le numerose famiglie nobili della piccola e bassa nobiltà delle province economicamente arretrate, non ricavavano dai propri possedimenti nemmeno 50 livres l’anno!

I religiosi e il basso clero, quindi anche i parroci, provenivano dal terzo stato, vivevano in povertà – e qui va deluso un luogo comune –, alloggiavano in catapecchie, soffrendo spesso quasi la fame, in mezzo a una popolazione misera, e non c’era nulla nella loro condizione che li facesse sentire in qualche modo dei privilegiati (2). A loro toccava il lavoro sporco, ossia favorire lo sfruttamento di un popolo al quale veniva tolto tutto in cambio di pedate; intimare al gregge di ubbidire ciecamente verso quegli inutili perdigiorno della nobiltà che scialacquavano con le loro puttane la ricchezza prodotta. Insomma, di là dell’apparenza, mutatis mutandis, le cose camminavano come zoppicano oggi.

Ciò è eloquente della scelta del basso clero quando decise di piantare in asso la nobiltà agli Stati generali. A questo punto doveva essere l’esercito a rimediare alla sconfitta della nobiltà. La corte adottò imponenti misure militari a Versailles e a Parigi che preannunciavano un colpo di Stato. Se Parigi fosse stata battuta, allora si poteva sperare di riportare le cose a posto, ossia di liberarsi dell’Assemblea nazionale che nel frattempo s’era costituita. Quando il 12 luglio fu deciso il licenziamento di Necker, ministro delle finanze favorevole alle riforme, fu provocata senza sforzo un’insurrezione. E, contrariamente a quanto preventivato, l’esercito passò dalla parte del popolo e si rifiutò di sparare e gli ufficiali dovettero ritirarlo se non volevano assistere alla defezione di sottufficiali e soldati. Fu allora che il 13 luglio il popolo si armò e il giorno dopo passò alle vie di fatto.

Perché, al pari del basso clero, anche i soldati e i sottufficiali non appoggiarono la monarchia e la nobiltà? Anche nell'esercito, così come nel clero, l’alta gerarchia era costituita dalla nobiltà, specie in tempo di pace la categoria degli ufficiali era appannaggio dell’aristocrazia (fino a Luigi XIV anche i borghesi potevano accedere alla carriera per merito, poi l’editto del 1781 riservò i posti alla nobiltà che doveva dimostrare di non avere meno di quattro avi nobili nella linea di discendenza maschile). Gli ufficiali costavano 46 milioni di livres l’anno, tutti i soldati e i sottufficiali dovevano accontentarsi di 44 milioni.

Il terzo stato forniva la truppa (la “canaglia”) e i sottufficiali, i quali costituivano l’ossatura vera delle guardie e dell’esercito, erano loro, cinghia di trasmissione tra gli ufficiali e la truppa, che avevano il compito di addestrare all’obbedienza i loro sottoposti. Con un salario sempre malsicuro e scarso, senza alcuna prospettiva di carriera, maltrattati da sbarbatelli e bellimbusti aristocratici che non capivano nulla del servizio militare e non se ne curavano, dovevano farsi carico del lavoro più faticoso e ingrato. Tanto più aumentava l’arroganza e la cupidigia dei nobili, tanto più i sottufficiali venivano spinti dalla parte del terzo stato. E quando l’aristocrazia, nel momento decisivo, ebbe bisogno più che mai delle truppe ausiliarie, queste gli si rivoltarono contro.

La defezione dei parroci e delle guardie – eccetto i soliti mercenari svizzeri che vivevano ben altra condizione – sono due momenti decisivi della rivoluzione francese. Eppure, almeno sulla carta, questa massa reazionaria costituita da nobiltà, clero ed esercito doveva sembrare unita. Invece era disunita, spaccata, e anche una parte della nobiltà era assolutamente inaffidabile, quella paradossalmente più ultrareazionaria, ossia la piccola e media nobiltà di provincia, quella che viveva ancora probamente e in termini feudali nei propri possedimenti, contrarissima allo sfarzo e allo spreco della corte e dell’alta nobiltà, a dir poco infastidita da corruzione e meretricio dilaganti.

La nobiltà nel suo complesso era composta, secondo il Taine, da 25-30mila famiglie con 140mila membri. A corte erano presenti circa 15.000 persone, la stragrande maggioranza solo per riscuotere stipendio legato a qualsivoglia titolo. Erano i più retribuiti nonostante gli impieghi ai quali erano adibiti richiedessero minime conoscenze ma conducevano direttamente alla fonte di tutte le agevolazioni e di tutti i divertimenti (così come oggi lo stipendio e i privilegi di casta sono legati a qualsivoglia carica politico-amministrativa).

Un decimo delle entrate fiscale dello Stato, più di 40 milioni di livres (una somma con un potere d’acquisto enorme), serviva per mantenere questa massa di esseri inutili, anzi dannosi alla società. La nobiltà che non era impiegata negli ozi dissipativi della corte, puntava a ricoprire incarichi nello Stato con l'unico fine di svolgere un “lavoro” di rappresentanza che garantiva inoltre a chi lo svolgeva il compito di divertirsi con i suoi consimili. Inutile dire che questi posti erano lautamente remunerati (3).

La famiglia del monarca spese in un breve arco di anni circa 80 milioni di livres, e altri 150 milioni furono spesi in regalie e rendite. Ognuno dei due fratelli del re aveva intascato in questo modo 14 milioni. Il ministro delle finanze Calonne, pochi anni prima del patatrac, a fronte dell’enorme debito del bilancio statale, acquistò tuttavia il castello di campagna di St. Cloud per la regina, per la modica somma di 15 milioni e per il re la famosa residenza di Rambouillet per un’inezia, 14 milioni. Re e regina sollazzavano e si accoppiavano in residenze diverse e distanti. Questi cani spesero bene i giorni che restavano loro da vivere.

La famiglia Polignac, che godeva del particolare favore di Maria Antonietta (povera martire), percepiva da sola pensioni per un ammontare di 700mila livres. Il duca di Polignac riceveva inoltre una rendita vitalizia i 120mila livres e un dono straordinario di 1,2 milioni per acquistare una tenuta. Un saccheggio organizzato dalla classe dominante sul popolo. Chiaro quindi che l’alto clero, l’aristocrazia di corte e l’alta burocrazia e gli ufficiali dell’esercito avevano tutto l’interesse di rafforzare il potere assoluto della monarchia, alla quale, per far fronte a tutte le richieste e dissipazioni, non restava altro che aumentare la pressione fiscale, un po’ come succede oggi in Italia con la famosa “casta” (4).

E tuttavia, come detto più sopra, una parte della nobiltà, non soltanto non prendeva parte a questo saccheggio (se non nei termini dell’economia feudale), ma ne era estremamente indignata, come nel caso della piccola nobiltà della Bretagna e della Vandea che viveva come nei secoli addietro nei suoi castelli in mezzo ai suoi contadini, condividendone la rozzezza e l’incultura (nel senso della refrattarietà  alla cultura “alta”), ma anche il vigore e la sicurezza di sé, con un contenuto tenore di vita, limitandosi a mangiare e bere ciò che riceveva in natura dai suoi valvassori. Questi nobili provinciali non si sentivano dei cortigiani servili, non vivevano grazie alla magnanimità del monarca dal quale non ricevevano nulla e non ne avevano bisogno. Non contraevano debiti e non facevano spese elevate, per cui non dovevano strangolare i contadini con esagerate pretese, come facevano invece gli inutili sfruttatori e parassiti delle regioni progredite.

Per quanto riguarda l’amministrazione statale, gli organismi della vecchia amministrazione feudale si erano conservati, ma privi in genere di effettive funzioni. Accanto a questi organi inutili ne furono creati degli altri, alle cui cariche si accedeva per nomina reale, comprandole. Si arrivò a togliere autonomia alle città per rendere statali gli incarichi nell’amministrazione locale, finché esse non pagavano un riscatto per riaverla! Alla fine si arrivò a un vero e proprio commercio delle cariche più assurde: come quella di sorvegliante delle parrucche, controllori di suini, e pure quelli del fieno, conseiller du roi contrôleurs aux empilements des bois (controllori dell’accatastamento della legna), non meno che conseiller du roi rouleur et courtier de vin, e via delirando.

All’inizio questi funzionari erano quasi privi di stipendio, per cui il loro trattamento era assicurato da tasse e gabelle, o da sportule con cui la popolazione pagava gli adempimenti burocratici, che ovviamente andavano proliferando. Per quanto riguarda i funzionari della giustizia e della polizia che esercitavano nelle tenute agricole, anche essi si erano nel tempo sostituiti ai feudatari, non ricevevano uno stipendio e al contrario dovevano pagare per ricevere i loro posti, perciò va da sé che compravano in tal modo il permesso di spennare chi sudava per campare.

Le cariche amministrative e giudiziarie, godendo dell’esenzione delle tasse e di altri privilegi, potevano anche diventare ereditarie in cambio di un determinato tributo, e si arrivò così alla nobiltà di toga (noblesse de robe), rispetto alla vecchia nobiltà feudale (noblesse de l’épée). La nuova nobiltà, una volta acquisita la carica e il rango non aveva più bisogno del re, perciò diventò alquanto indisciplinata pur essa.

Non dirò qui, perché le loro vicende sono ben note fin dai banchi di scuola, della folta schiera di avvocati e intellettuali a vario titolo che ebbero un ruolo davvero di primo piano nello sviluppo delle vicende rivoluzionarie come già lo ebbero nelle premesse. Perciò per ultimo, in questa panoramica necessariamente schematica, dirò solo qualche parola su una frazione particolare della classe borghese: quella dei signori dell’alta finanza.

A questi signori dell’alta borghesia, veniva riservato un riguardo del tutto diverso rispetto ai padroncini dell’artigianato e del commercio, tanto che il superbo Luigi XIV una volta accolse il finanziere Samuel Bernard, al cospetto della corte, come un principe. Il perché è intuibile: questi scialacquatori, dal re all’ultimo dei suoi paggi, vivevano a debito e avevano sempre un bisogno famelico di contante. Dipendeva perciò da questi personaggi dell’alta finanza se essi non finivano in bancarotta, dipendeva da loro il prolungarsi della inutile esistenza di questi cortigiani (prima che sopraggiungesse madame la guillotine, ovviamente).

Questi parvenu dell’economia monetaria finivano per comprarsi pure i titoli nobiliari, e per condividere con i nobili le stesse puttane e permettersi le stesse dimore. In tal modo le due frazioni di classe, l’alta nobiltà e la finanza borghese, finirono per trovarsi nello stesso fango. Succedeva pure che qualche riccastro sposasse una nobile ma spiantata vedova acquisendone il titolo. Del resto la nobiltà di sangue, schiava del denaro dei banchieri, doveva consolarsi col fatto che anche i migliori campi ogni tanto devono essere concimati; ma da allora essa sprofondò anche in questo nel letame.

Per chiudere, un’annotazione sul ministro delle finanze Calonne, la cui vicenda, letta oggi in filigrana, mi sembra molto istruttiva, almeno dal mio punto di vista. Questi era un imbroglione superficiale, ma scaltro e sfacciato e che piaceva alla regina. Sacrificava alla nobiltà e ai suoi sperperi non solo le entrate attuali ma anche quelle future. Con un prestito dopo l’altro nei tre anni nei quali fu ministro, arrivò a farsi prestare dal Tesoro 650 milioni, una somma enorme per le condizioni di allora. Quasi tutto questo denaro fu intascato dal re, dalla regina e dai favoriti. Il Colonne si fece pagare i suoi debiti privati, 230.000 livres, dal re. Tutti a corte si meravigliavano della facilità e della rapidità con cui aveva risolto la questione sociale!

Sennonché dopo tre anni di artifici finanziari, Calonne non sapeva più che pesci pigliare, essendo ormai il deficit annuo salito a 140 milioni di livres. Si vide perciò costretto a confessare che nessun prestito poteva più essere contratto, e che l’unica soluzione era aumentare le entrate e diminuire le uscite, e tutte e due le cose erano impossibili a spese della solita classe sociale perché non c’era più nulla da depredare. Non restava che tagliare le spese ai privilegiati. Quando lo comunicò ai notabili da lui convocati il 27 febbraio 1787, successe il finimondo. Rimosso il ministro, la questione rimase e anzi s’aggravò.

Attenzione: fu allora che la nobiltà s’accorse che la monarchia non era più in grado di assicurare il loro futuro sfruttando la Francia nelle proporzioni fino ad allora garantite. Loro malgrado i privilegiati non avevano ben chiaro, anzi non lo avevano affatto, di come fossero cambiati i rapporti di forza sociali. Furono essi, per primi, a passare sul terreno rivoluzionario. Il resto, anche il resto, è storia.



(1) Nel 1791 si valutarono i beni della Chiesa venduti o in vendita, senza i boschi, a 3,7 miliardi di livres. 24 livres equivalevano a un Luigi d’oro, pari a grammi 8,16.

(2) Secondo H. Taine (Les origines del la France contemporaine, Laffont, coll. Bouquins, I, i preti e i vicari erano 60.000, 23.000 i monaci e 37.000 le suore. Cfr. l'ediz. italiana del Taine, Le origini della Francia contemporanea. L'antico regime, Adelphi, 1986, cap. II. 

(3) L’ordonnance de 1776 avait réduit ainsi ces diverses places: 18 gouvernements généraux à 60.000 livres, 21 à 30.000, 114 gouvernements particuliers, dont 25 à 12.000 livres, 25 à 10.000, 64 à 8 000, 176 lieutenants et commandants de villes, places, etc., dont 35 de 6.000 à 16.000, et 141 de 2.000 à 6.000. L’ordonnance de 1788 établit en outre 17 commandants en chef ayant de 20.000 à 30.000 livres de fixe, et de 4.000 à 6.000 par mois de résidence [sussidio per l’alloggio], et des commandants en second (Taine, cit., p. 110, in nota; cfr. ed. Adelphi, nota 109 a p. 153).

(4) In rete si può scaricare il lavoro di Luis Blanc, Histoire del la révolution française, con dati particolareggiati sulle pensioni che venivano concesse ai nobili (a prescindere dall’età, ovviamente). Mi è stato molto utile per questo post il lavoro di sintesi di K. Kautsky, Die Klassengegensätze von 1789: Zum hundertjährigen Gedenktag der großen Revolution, 1889.


1 commento:

  1. Tutto vero, anche se i privilegiati di allora non facevano ribrezzo tanto quanto le mezze calzette calvinisti col culo degli altri di oggi (almeno commissionavano grandi opere d'arte). E anche se si trattò di una rivoluzione borghese, per cui i miserabili rimasero in buona parte tali. E per molto tempo.

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