mercoledì 8 maggio 2013

Concime



L’anno prossimo sarà giusto un secolo da quando iniziò la prima grande carneficina, ossia il così detto secolo breve. E l’anno successivo non mancheranno le celebrazioni per il “radioso maggio” italiano, nel quale ebbe parte quel pericolosissimo squilibrato di Gabriele Rapagnetta. Sarà dunque, a partire dal 2014, l’occasione per molti discorsi retorici e una gran mole di pubblicazioni, molte del tutto inutili.



In un buon libro, invece, alcuni anni or sono m’imbattei nella conferma di quello che sapevo da sempre, ossia che in alcuni terreni agricoli limitrofi al Piave (e al Sile, nella parte terminale), per decenni si potevano rinvenire, arando, numerose ossa umane appartenute alle decine di migliaia di soldati morti e ai quali non c’era stato modo di dare sepoltura. Il frumento maturava rigoglioso con quel concime naturale. E non era solo un modo di dire.

Mia nonna, veneziana, per motivi maritali trapiantata in terraferma, abitava a un centinaio di metri da un piccolo cimitero di guerra, dove erano sepolti dei soldati, forse italiani poiché il luogo si trova di qua del fiume. Oppure si poteva trattare anche di caduti austro-ungarici, per esempio di quei 100mila che sotto una pioggia battente il 15 giugno 1918 riuscirono a trasferirsi sulla sponda opposta, dopo aver ucciso col gas la linea difensiva italiana. Potrebbe darsi fossero uomini del 3° reggimento bosno-erzegovese che, esaurite le munizioni, continuarono a combattere con le baionette e le vanghe. Oppure artiglieri della batteria comandata da Jan Triska che perse in quei giorni metà degli effettivi. Chissà.

I miei nonni in quei frangenti di giugno non erano lì, come altri 400mila già dal novembre precedente erano sfollati verso Napoli e Caserta. Gli ecclesiastici erano rimasti, “perché molti sacerdoti erano felici di vedere il ritorno degli austriaci”. E con loro anche molti contadini, ma ben presto si dovettero ricredere sulla bontà degli austriaci che razziarono ogni cosa, compresi 95mila lenzuola, 65mila camicie, 39mila capi di biancheria, 47mila asciugamani, 56mila federe e 3400 “oggetti non specificati”. Il rigore burocratico absburgico non tralasciò di annotare nulla.

Nell’ultima estate, i soldati e i civili si nutrirono di tutto ciò su cui riuscivano a mettere le mani: topi, fiori d’acacia, foglie di vite, cicoria selvatica, cani randagi e, naturalmente, gatti. Alla fine del conflitto, quasi 10mila civili erano morti d’inedia.

Ebbene la nonna raccontava, per il terrore e l’incredulità dei propri piccoli nipoti, che a volte, passando di sera vicino a quel cimitero cintato di filo spinato, vedeva delle fiammelle sorgere dal terreno vicino alle croci di legno. Giurava sul fatto, e c’è da credere che si trattasse proprio di fuochi fatui. Oggi su quel terreno sorgono delle villette abitate da gente venuta da fuori. Sarebbe interessante vedere la loro espressione se sapessero che nel proprio orto, dove zappettano e piantano l’insalata e le carote, fino a meno di mezzo secolo fa erano sepolti i resti dei cadaveri di contadini siciliani, pastori sardi, operai lombardi, o magari dei loro omologhi boemi, bosniaci, ungheresi, ecc..

* * *

Il vecchio Hegel diceva che ciò che è reale è razionale, e viceversa. Un concetto questo non di rado travisato tra i banchi di scuola. Che nel 1914 non vi fosse più nulla di razionale nell’assetto geopolitico europeo, noi possiamo dirlo con il senno di poi. E tuttavia anche allora la percezione che qualcosa stesse per maturare era piuttosto diffusa. Engels preconizzò la grande guerra già alla fine del secolo precedente. La carcassa del turco era pronta per essere sparita; la guerra russo-cinese e il soviet di Pietroburgo confermavano la putrescenza del vecchio regime; nel 1918 la diserzione di 200mila soldati ungheresi e di altre decine di migliaia di altre nazionalità balcaniche misurava quanto fosse radicata e matura la sorte absburgica. Forse solo il Reich guglielmino avrebbe potuto tenere ancora per qualche lustro senza la guerra e la sconfitta.

Dopo un secolo, la situazione europea, sia pure molto mutata sotto tutti gli aspetti, conserva pure innumerevoli elementi di forte contraddizione che la moneta unica invece di dissipare ha rafforzato. Naturalmente la causa non è l’euro in sé, ma l’uso che ne è stato fatto. La Germania ovviamente ha le sue responsabilità, non meno che le iniziali illusioni di altri paesi. Dunque, sulla base di ciò che diceva il vecchio Hegel, anche questa irrazionalità troverà alla fine una sua soluzione.

Fare pronostici è azzardato, tutto avverrà secondo necessità e, per quanto riguarda i singoli episodi, secondo il caso. Come già Marx ebbe ad osservare: "Al determinismo ci si sottrae elevando a legge il caso, alla necessità ci si sottrae elevando a legge l'arbitrio". E tuttavia se da Draghi all’ultimo marchettaro sindacale si lanciano allarmi per la “tenuta sociale”, ciò vuol dire che la situazione è matura e non promette nulla di buono.

3 commenti:

  1. Mia nonna, veneta di Rovigo nata nel 1909,parlava spesso della "Fame del Piave". La sua famiglia faceva parte di quei contadini rimasti nel Polesine. Raccontava anche lei che si arrivava a mangiare i topi.
    Ho sempre pensato fossero esagerazioni, ma mi sa che non lo erano.

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  2. Mia nonna, nata nel 1907 a Fossalta di Piave, mi raccontava della grande quantità di topi e scarafaggi che giravano tra gli sfollati a Somma Vesuviana. Erano ricordi molto vividi malgrado fossero passati molti anni.
    Mi parlava delle difficoltà nel lavarsi poiché non c'erano ne acqua pulita ne sapone. Era una narrazione continua della vita quotidiana: la fame patita, la pellagra, il colera, la miseria generalizzata, l’arrabattarsi per un pasto e la furbizia dei bambini napoletani più scaltri dei nuovi arrivati.
    Ripeteva spesso che la guerra è brutta, ma credo di non averla mai compresa.
    La fobia per gli scarafaggi le rimase per tutta la vita e dopo la sua morte scoprimmo un cassettone zeppo di saponette accumulate negli anni, probabilmente per il timore istintivo di nuove ristrettezze.
    Lavorava come sarta, figlia di contadini aveva sette fratelli, ha tirato su due figli, ha passato due guerre, ha visto il re, il duce e la repubblica. Era una donna molto forte, ha determinato buona parte della mia coscienza.
    Grazie ancora per aver smosso dei ricordi e rinvigorito il mio disfattismo rivoluzionario.

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    1. grazie per la bella testimonianza.
      con buona probabilità i miei nonni e sua nonna si conoscevano
      una curiosità: sua nonna fece ritorno a fossalta?
      conosco molto bene quei luoghi, laddove fossalta, caposile, cavazuccherina (poi iesolo), cortellazzo, erano delle teste di ponte. nella zona di caposile (passerella di sotto e di sopra, toponimi che alludono alle passerelle gittate nel fiume Sile) si combatterono le battaglie più sanguinose. a caposile, vicino al vecchio ponte (ancora esistente) c'è una lapide che ricorda le decine di migliaia di caduti, molti dei quali, fino alle foci del piave (cortellazzo) rimasero insepolti, o vennero sepolti numerosi in ogni fossa nei cimiteri di cui ho detto.

      segnalo alcuni post che forse possono interessare:

      http://diciottobrumaio.blogspot.it/2010/11/cadorna-il-napoleone-de-noantri-1.html


      http://diciottobrumaio.blogspot.it/2010/01/il-tempo-necessario.html


      http://diciottobrumaio.blogspot.it/2012/12/leoni-e-cacciatori.html

      buona lettura!

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