Vorrei chiedere a Ugo Tramballi, autore della recensione sull’inserto domenicale del Sole 24ore: l’Ucraina non era libera?
Il processo d’integrazione dell’Ucraina con l’Occidente è stato intrapreso già dal governo Yushchenko nel 2004? Ma non verso l’integrazione europea, passo che verrà dopo, ma subito in direzione della Nato, organizzazione militare avversa alla Russia sotto la supervisione e la forte dipendenza americana.
Se per alcuni Paesi dell’Europa orientale l’adesione alla UE e alla Nato poteva significare il loro ritorno nell’alveo occidentale, ciò non poteva valere per l’Ucraina, che paese dell’Europa occidentale non è mai stato, senza considerare che una parte non trascurabile della sua popolazione è russa (in alcune regioni è maggioranza). Di chi è dunque la responsabilità dell’emergere di un nuovo schema bipolare in questa parte del pianeta?
Un esempio analogo è dato dalla Giorgia. La Nato nel 1999 lanciò il MAP (Membership Action Plan), che puntava a giocare un ruolo significativo nell’umiliazione simbolica dell’ex superpotenza. L’aperta ostilità di Washington verso Mosca, che allora si dimostrava conciliante e cooperativa, si tradusse nel 2003 in un’ampia cooperazione, quasi esclusivamente militare, tra gli Stati Uniti e la Georgia di Mikhail Saakashvili, che ha fatto di questo Stato il terzo destinatario di aiuti americani (pubblici e privati) dopo Israele ed Egitto. La Georgia aderirà al MAP nel 2006.
Gli ucraini che tirano la carretta da mane a sera e i cui figli sono oggi a morire al fronte non erano liberi allora e non lo sono più oggi. L’Ucraina era una nazione libera, molto di più di quanto lo sia oggi e di quanto sarà domani, quale che possa essere l’esito della guerra in corso. Molto più di quanto sia effettivamente libera l’Italia e il cosiddetto “mondo libero” in generale. Qualsiasi PdC italiano provasse a dire a Washington che l’Italia non vuole più le basi americane nel territorio nazionale. Ah, si tratta di una limitazione volontaria della propria sovranità per ragioni di sicurezza ...
Tramballi, in apertura del suo articolo, ricorda il rapporto complesso e contraddittorio che la Russia ha storicamente intrattenuto con l’Occidente da Pietro il Grande a Vladimir Putin, un rapporto fatto di fascinazione e fiero risentimento, ma dimentica di citare, tra gli altri, dei fatti non proprio secondari, ovvero le tre invasioni subite dalla Russia da parte dei paesi occidentali, l’ultima delle quali è costata decine di milioni di morti e un territorio letteralmente devastato.
Deve forse stupire che la nazione più vasta del pianeta, ripresasi dopo la catastrofe postsovietica, manifesti la volontà di ristabilire ai propri confini delle zone di sicurezza e delle aree d’influenza? Quale altra grande o media potenza non vi aspira nei riguardi dei propri confini?
Pensiamo a che cosa succede in Ungheria, Polonia, Repubblica ceca e nelle Repubbliche baltiche, quindi i movimenti politici antiliberali, nazionalisti, xenofobi e in molti casi pregiudizialmente antirussi. Forse, chiedo, va meglio per quanto riguarda il livello di democrazia interna negli altri sei Stati entrati nella NATO (Albania, Montenegro, Macedonia del Nord, Croazia, Bulgaria e Romania)?
La guerra in Ucraina serve, tra l’altro, alla Nato per legittimare la propria esistenza e per ricompattare l’alleanza e rafforzare il proprio ruolo dopo un periodo di crisi, tanto che il presidente francese dichiarava ciò che tutti pensavano, ovvero che il patto atlantico era in uno stato di “morte cerebrale”. Privata del consenso tra i membri occidentali, gli unici alleati fedeli sembravano essere i nuovi membri e futuri candidati dell'Est.
Per ultimo, ma ci sarebbe tanto da dire ancora, vale la pena considerare che Washington ha una concezione molto elastica della propria “sicurezza”. Le sue truppe, quando non minacciano direttamente, stazionano nei pressi degli snodi strategici della mappa del pianeta, mentre nessuna forza militare è presente ai confini o nei pressi degli Stati Uniti. Dunque, sono ottant’anni che il bue dice cornuto all’asino.