mercoledì 5 luglio 2023

Pablo


Oggi pomeriggio ero in treno per Venezia, a una fermata intermedia, guardando dal finestrino, dopo un po’ feci caso che sul muro esterno della scalinata che conduce al sottopassaggio c’era un graffito raffigurante una sagoma umana, poco più di uno scarabocchio con due scritte laterali, la più grande delle quali riguardava Pablo Picasso e quella più piccola non riuscii a leggerla per la partenza del treno.

Molto strano, a chi vuoi freghi qualcosa di Pablo Picasso, e per quale motivo occuparsene? Poi m’è venuto in mente che Nahel, alla guida di una Mercedes, ucciso da un proiettile sparato a bruciapelo da un poliziotto, abitava nel complesso residenziale Pablo Picasso a Nanterre (Hauts-de-Seine). Se è così, complimenti al graffittaro, pensai tra me e me.


Navigate con Google maps in quei quartieri, ideati da architetti di fama come Émile Aillaud, guardate quelle torri: ciò che una volta doveva incarnare la città del futuro ha più il fascino di una città dopo l’apocalisse. Come sorprendersi che Pablo si sia trasformato nel villaggio di Asterix circondato dai romani? Di quale integrazione stiamo parlando, ma vogliamo scherzare? Alla minima scintilla è ovvio che ci sia la guerra.

Per capire questo scoppio di distruzione, tutti hanno le loro analisi: bancarotta dello stato, violenza della polizia, disinteresse dei genitori, odio dei media, ruolo dei social network e così via. C’è chi interpreta la rivolta come una manifestazione del separatismo che sta crescendo e fratturando la società: la periferia come un iceberg che si stacca e va alla deriva. Per altri, questa è la prova che non c’è nulla da aspettarsi dalle popolazioni di questi quartieri, che sono decisamente straniere e non assimilabili. La verità deve probabilmente trovarsi da qualche parte dentro questa foschia di spiegazioni.

E invece, date le premesse, è tutto normale che in quelle condizioni esploda la rabbia. Semmai c’è da ragionare (ma è ancora possibile ragionare?) sul significato di questa violenza. È violenza gratuita e che non serve a nulla, se non a creare confusione e repressione. Opporsi al sistema usando la violenza organizzata è questione serissima, vorrei dire scientifica se questo termine non fosse abusato, che non si può mettere in piedi con l’improvvisazione o lasciare in mano a delle gang giovanili.

Del resto, chiedo: i genitori che perdono un figlio assassinato sono dunque legittimati a bruciare municipi e negozi di abbigliamento? Come avrebbero dovuto reagire i genitori e i parenti delle persone uccise proditoriamente nel 2015? Potevano ritenersi autorizzate a vendicare le vittime commettendo violenze contro persone di origine immigrata o di fede musulmana?

Un lettore del blog ha commentato l’altro ieri: “Gli assalti ad una banca no, però gli espropri proletari di alimenti, vestiario et similia, non sono male”. Non siamo all’assalto dei forni per fame, non ancora almeno. Ci mettiamo a sfondare le vetrine dei negozi e ne usciamo con le braccia cariche di vestiti griffati, con il pretesto che sfoghiamo la nostra “rabbia”, “odio” e dintorni? Lo so che di questi tempi è sempre più difficile far convivere la propria rabbia e richiesta di giustizia con la condizione politica e sociale in essere, e però è ancor più necessario saper conservare la propria dignità. 

2 commenti:

  1. https://www.sinistrainrete.info/estero/25888-stefano-g-azzara-la-grande-convergenza-e-il-revival-del-colonialismo-occidentale.html

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  2. Rabbia? I teppisti che vengono da questi quartieri non sono arrabbiati, altrimenti sarebbero scesi al fianco dei gilets jaunes o contro la riforma delle pensioni o altre genialate di ispirazione UE. Invece fanno le vittime, si fanatizzano religiosamente e se ne fregano di un lavoro dignitoso, tanto guadagnano di più a fare i dealer.

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