lunedì 17 luglio 2023

A tavola con i magnaschei

 

Sul Sole 24 ore della domenica, c’è la consueta pagina della rubrica “a tavola con” curata da Paolo Bricco, uno specialista dei pasti gratis. Presso un ristorante del borgo medievale di Perugia, tra un piatto e l’altro, lo specialista ha intervistato tale Francesca Guaraglia.

Costei, per accattivarsi le nostre simpatie parte subito così: «Vedo le migliori menti della mia generazione concentrate e affannate nel tentativo di ridurre di cinque minuti i tempi di consegna della pizza o del sushi. Ma ti sembra il caso?». Sul punto chiedo il permesso a Francesca di essere ancora più radicale: per quale motivo farsi portare a domicilio del cibo precotto?

Francesca prosegue così: «Come mi fa sorridere che tutti gli imprenditori del deep tech siano ossessionati dal fare soldi, per fare soldi, per fare soldi. Pensano giorno e notte ai multipli, alle quotazioni, alle Ipo». La candida Francesca può sorridere quanto vuole, ma la valorizzazione del capitale è lo scopo precipuo ed esclusivo di chiunque investa.

Ovviamente Francesca non vive fuori dal mondo ed è tutt’altro che ingenua: «La regola del capitalismo è la costruzione della ricchezza. Il miraggio del denaro è coinvolgente. Ci mancherebbe. Nessuno è ipocrita. I soldi piacciono a tutti». Soprattutto a chi ne ha già molti, mi permetto di soggiungere.

Tuttavia, precisa Francesca: «Il tema della valorizzazione finanziaria delle start up, con l’approdo in borsa e sui mercati internazionali o con l’ingresso massiccio nel capitale dei fondi di private equity e degli investitori istituzionali, non può cancellare il progetto tecnoindustriale e non deve offuscare la realtà del divertimento di fare cose nuove usando strumenti nuovi e cambiando in meglio la struttura delle cose e l’infrastruttura del pensiero, gli stili di vita e le abitudini.»

Francesca è una rivoluzionaria: va bene il sordido interesse, ma questo deve unirsi al divertimento creativo, al cambiamento in meglio del capitalismo e del modo di porsi di fronte ad esso. Naturalmente si rivolge alla cerchia degli investitori e del management, non certo ai miliardi di lavoratori sfruttati nel circuito della creatività innovativa. Infatti, Bricco la lecca così: «ironica e gentile ma senza il desiderio di compiacere gli altri. È inserita nel circuito più avanzato del capitalismo tecnologico e finanziario internazionale, di cui ha maturato la semantica del sì e del no, e tutto il resto è del diavolo».

Francesca non è adusa al compromesso, alle sfumature, come invece «le élite cosmopolite della buona educazione al consenso delle classi dirigenti italiane, mature se non senescenti, che hanno i loro eloqui avvolgenti, densi di avverbi, mai diretti». Insomma, è una che parla chiaro perché se lo può permettere, con altri due soci in una società che pare abbia una valutazione stimata tra i 250-300 milioni di dollari.

E che soci! Koraward Cheravanont, per esempio, a 14 anni è stato mandato dalla Thailandia a studiare negli Stati Uniti. È il nipote di Danin Cheravanont fondatore della dinastia imprenditoriale della Thailandia che, oggi, conta su un patrimonio stimato da Forbes in 37 miliardi di dollari.

Insomma tutta gente che non deve dire sempre di sì e sorridere al caporeparto o al padrone anche quando ti rompono il cazzo, ti cambiano di turno o ti spostano le ferie all’ultimo momento.

Francesca, con gli altri due soci, è a capo di Amity, una società che ha sede a Bangkok, specializzata nel «rendere le app delle società molto più plastiche, funzionalizzarle, per consentire all’azienda di trattenere il valore aggiunto e di misurarsi meglio con il rischio, intervenendo sulle dinamiche di community che si creano fra i loro clienti e i marchi delle società che, appunto, operano attraverso le loro app». Natalino Balasso tradurrebbe così: magnaschei.

Francesca è una tipa sveglia, «che mangia lentamente, senza voracità, ma mangia tanto». Sottolinea Brico: «A tavola, dà fondo a tutto. Non sembra conoscere il significato della parola “piluccare”». Mentre parlava di progetto tecnoindustriale e di divertimento creativo, Francesca ha sostenuto lo sforzo semantico con un’insalata di spinaci con bacon croccante e scaglie di grana, seguito da tagliatelle al pepe nero e al pecorino. Poi, al momento del valore aggiunto, ha ordinato un branzino con delle verdure. Per finire in gloria, parlando di “tagli di budget “, s’è consolata con “una torta fatta con la cioccolata dei baci Perugina”.

Per finire qualche nota sul suo corso di studi, ovviamente luminosi e precoci. Affidiamoci alle sue parole per non perderci nulla: «Fin da bambina sono stata animata da due pulsioni: imparare in fretta e sfuggire alla noia. A cinque anni insistetti molto con miei genitori perché mi scrivessero alla primina. Sono sempre andata bene. Ma, dopo il ginnasio e liceo pubblico di Perugia, chiesi ai miei genitori di cambiare scuola perché mi sembrava di imparare troppo poco. I compagni e i professori, di fronte le mie spiegazioni, mi guardavano come una marziana».

Di fronte a tale perplessità, forse Francesca qualche domanda se la sarebbe dovuta porre, anche una del tipo: ho trattato i miei compagni come più deboli intellettualmente? Lei è una tipa tosta che tira dritto: «alla fine, mi iscrissi al terzo anno di liceo scientifico. Quando, poi, qui in città aprì un liceo montessoriano, tornai dai miei genitori e chiesi loro di potermi iscrivere di nuovo al classico, perché ci tenevo a prendere il diploma di maturità classica studiando latino e greco, storia e filosofia.»

Forse non si era avveduta che latino, storia e filosofia sono materie curriculari anche al liceo scientifico. Questi salti della quaglia tra un liceo e l’altro per infine approdare al liceo montessoriano, lasciano pensare che al liceo privato, oltre al greco antico, le venisse più “fluente” anche tutto il resto.

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