Quella di morire, piuttosto che soffrire, è già una soluzione alternativa, che aspetta una legge ad hoc. Si apra la possibilità di liberarsi almeno dei più deboli, che si offra loro gentilmente di liberarsi di sé stessi, innanzitutto agli anziani, che potrebbero essere ammessi alla procedura. Una soluzione pratica ed economica.
Diversi anni fa, su questo “blog di nicchia” (“purtroppo”, dice quello), scrissi che l’eutanasia non solo sarebbe diventata un diritto previsto dalla legge, ma sarebbe stata infine anche incoraggiata. Non già chiamandola eutanasia o suicidio assistito (siamo pur sempre un paese largamente esposto al cattolicesimo e dunque all’ipocrisia), ma con una più neutra definizione: “assistenza attiva”. Tempo al tempo e in questo decennio ci arriveremo anche in Italia. Anzi, ci siamo già per altre vie, ossia con l’accelerata dismissione della sanità pubblica.
L’80% delle persone che muoiono ha più di 80 anni. Un’affezione grave e cronica con prognosi infausta a medio termine è la caratteristica frequente della vecchiaia. Le menomazioni fisiche irreversibili si accompagnano a patologie plurime per le quali spesso non si offre possibilità di cura, per cui l’anziano spesso è considerato “troppo vecchio” per meritare di essere curato, un po’ come il mio smartphone in stato di obsolescenza programmata. Del resto, anche l’offerta di cure palliative rimane inaccessibile per larga parte di coloro che ne hanno bisogno.
E qui sorge un problema a riguardo delle capacità di discernimento. Vanno escluse, in linea di principio, le persone affette da malattie neurodegenerative, come l’Alzeihmer? Oppure si potrà procedere, per così dire, d’ufficio? Se poi coinvolgiamo i parenti, corriamo anche il rischio di trovarci di fronte a rappresentazioni molto ciniche, del tipo: “è vecchio, meglio che crepi”. Senza contare che i parenti figurano anche (soprattutto) come eredi. La condizione di libera volontà, spesso invocata a difesa del soggetto, non potrebbe essere garantita.
Rimane il tema delle disposizioni anticipate, che solleva altri interrogativi. Posso assicurare che non sono rari i casi in cui le persone che hanno sempre desiderato l’eutanasia nel caso si presentassero determinate condizioni, il giorno in cui si riesce a gestire il dolore e l’ansia non manifestano più la volontà di morire.
Avere un dibattito costruttivo sulla morte e sull’eutanasia implica un dibattito approfondito sulla società in cui viviamo. Impossibile il dibattito in una società come la nostra, tanto più in un Paese come il nostro, dove già ogni nonnulla scade in netta contrapposizione ideologica. Si arriverebbe all’idea che certe vite non valgono la pena di essere vissute, concretizzando la forma più acuta di ageismo. Poi toccherebbe ai più deboli, ai disabili, ai più dipendenti e, perché no, ai meno meritevoli.
Pensate che stia esagerando? Leggo dall’inserto del Sole 24ore odierno: «Nel 2020 il governo inglese discuteva della possibilità di incrementare la qualità della popolazione incentivando la riproduzione di persone con elevati quozienti l’intelligenza».
Gli inglesi sono pragmatici non meno dei tedeschi. Fu il cugino di Charles Darwin, Francis Galton, ha inventare la parola eugenetica, il cui prefisso, eu-, indica che si intende operare a fin di bene, e il suffisso definisce il terreno su cui agire. Le buone intenzioni, com’è noto, furono tradite. Galton sostenne che la «Razza più ricca di talento che la storia ricordi è senza dubbio quella degli antichi greci». È partendo da questo suprematismo che si arriva allo sterminio e al genocidio.
La socialdemocrazia scandinava l'ha fatto per decenni. Poi ha smesso e perciò s'è data la possibilità a Greta di nascere, per fortuna.
RispondiEliminaPietro
Ps credo che sia quozienti d'intelligenza e non possidenti. Anche se per il capitalismo le due cose coincidono.
ahahah la digitalizzazione vocale (l'IA farà peggio!). grazie
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