Il comitato editoriale del New York Times ha pubblicato ieri un articolo dal titolo eloquente: L’America vive di denaro preso in prestito. Quello che non dice l’articolo è che da gennaio 2020, gli Stati Uniti, ossia il Bureau of Engraving and Printing, hanno stampato quasi il 25% di tutti i dollari USA in circolazione oggi (*).
Sentiamo cos’hanno da raccontarci questi cicisbei: «Per i governi che affrontano crisi esistenziali come guerre o pandemie, il prestito ha senso come un modo per mobilitare le risorse nazionali [...]. I prestiti e le spese del governo sono necessari per stimolare l’economia durante le recessioni. E i titoli del Tesoro, sicuri e liquidi, svolgono un ruolo fondamentale nel sistema finanziario globale, tanto che alla fine degli anni ‘90, quando un periodo di crescita economica e la riduzione delle spese militari permisero al governo di ridurre drasticamente i prestiti, economisti e banchieri lanciarono allarmi per le conseguenze di un debito federale troppo basso.
«Gli Stati Uniti – prosegue l’articolo – ora prendono in prestito massicciamente durante i periodi di crescita economica per far fronte agli obblighi di base e le spese correnti. [Il debito pubblico] è sempre più insostenibile. Nel prossimo decennio, il Congressional Budget Office (C.B.O.) prevede che i deficit di bilancio federali annuali raggiungeranno una media di circa 2.000 miliardi l’anno, aggiungendosi ai 25.400 miliardi di debito che il governo deve già agli investitori.»
E veniamo al punto dolente, così bene espresso dai bravi giornalisti dal NYT: «Prendere in prestito è costoso. Una quota crescente delle entrate federali, denaro che potrebbe essere utilizzato a beneficio del popolo americano, torna subito fuori dalla porta sotto forma di pagamenti d’interessi agli investitori che acquistano titoli di stato. Piuttosto che riscuotere le tasse dai ricchi, il governo sta pagando i ricchi per prendere in prestito i loro soldi.»
Come dirlo meglio? Ecco perché economisti e banchieri lanciarono allarmi quando il debito pubblico è troppo basso, ossia quando non rende lucrosi rendimenti a chi detiene e commercia i titoli pubblici.
«Entro il 2029, secondo il Congressional Budget Office, il governo è pronto a spendere di più ogni anno per gli interessi che per la difesa nazionale. Entro il 2033, il pagamento degli interessi consumerà una quantità pari al 3,6% della produzione economica della nazione.»
In Italia, ci siamo presi avanti, spendiamo già il 4% del Pil per interessi. Il NYT avverte: «... l’era dei bassi tassi d’interesse è finita. Il costo della vita con denaro preso in prestito è in aumento. È imperativo per i leader della nazione tracciare un nuovo corso».
E invece cosa ti fanno questi mascalzoni? «I democratici hanno acconsentito a modesti tagli alla spesa; i repubblicani si sono rifiutati di prendere in considerazione qualsiasi misura per aumentare le entrate. Il risultato? Prima dell’accordo [per alzare il tetto del debito], il C.B.O. prevedeva che il debito avrebbe raggiunto circa 46.700 miliardi nel 2033. Dopo l’accordo, prevedeva che il totale sarebbe stato solo marginalmente inferiore, a 45.200 miliardi. Ciò equivarrebbe al 115 percento della produzione economica annuale della nazione, il livello più alto mai registrato».
Beati loro. L’Italia nel 2022 ha raggiunto il 144% e, di questo passo, nel 2033 sarà vicina al 200%, se non lo avrà superato. È evidente che l’elevato debito pubblico e i relativi oneri rappresentano per la maggior parte dei Paesi, e soprattutto per quelli come l’Italia, il vero problema di sostenibilità del sistema.
Che cosa propongono di fare i giornalisti del NYT? «Entrambe le parti dovranno scendere a compromessi: i repubblicani devono accettare la necessità di riscuotere ciò che è dovuto al governo e di imporre tasse ai ricchi. I democratici devono riconoscere che le modifiche alla previdenza sociale e al Medicare [sanità pubblica], i principali motori della prevista crescita della spesa federale, dovrebbero essere ridiscussi. Qualcosa di meno si rivelerà fiscalmente insostenibile.»
Che alla ricca borghesia venga imposto qualche dollaro in più di tasse servirà solo a coprire i tagli alla previdenza sociale e al quel po’ di sanità pubblica esistente negli Usa. Il taglio delle voci della spesa pubblica relative alla riproduzione generale delle classi e il controllo dei salari, sono sempre i primi punti su cui s’incentrano le “riforme”.
Sono “scelte dolorose”, ammettono e concludono i giornalisti del NYT. È questa una truppa specializzata nel fare propria la visione degli interessi dominanti. Il resto, cioè la traduzione operativa, è delegata al personale tecnico-politico fedele a quegli stessi interessi, presente nei nodi strategici della burocrazia statale, e ai funzionari e tecnici ai più diversi livelli degli apparati economico-finanziari.
Si deve tener presente che gran parte del denaro stampato dalle banche centrali, che chiamano misure di “alleggerimento quantitativo” (quantitative easing), è rimasto nei mercati finanziari gonfiando il prezzo dei vari asset senza mai raggiungere l’economia reale. In pratica le banche centrali acquistavano con un’ampiezza senza precedenti titoli di debito, principalmente titoli di Stato, sui mercati con denaro che fino a quel momento non esisteva. Perciò non c’è da stupirsi che l’inflazione a un certo punto è esplosa e oggi sia fatta pagare ai soliti noti.
L’economia continua ad operare secondo proprie leggi, che sono prive di sentimenti.
(*) Tutti i discorsi sulla la fine dell’egemonia del biglietto verde o la sua sostituzione con il renminbi cinese o una valuta BRICS, sono solo un mito. La maggior parte delle esportazioni globali viene fatturata in dollari USA anche tra paesi che non hanno collegamenti con gli Stati Uniti. Ad aprile scorso sono stati pubblicati gli ultimi dati sulla percentuale di transazioni internazionali effettuate in dollari e risulta che il biglietto verde è stato utilizzato nel 42,7 per cento dei casi, ovvero undici punti percentuali in più rispetto alle transazioni effettuate in euro, la secondo valuta più importante oggi. Alla fine dello scorso anno, quasi il 60% delle riserve internazionali era detenuto in dollari, mentre l’euro rappresentava solo il 20%, la sterlina supera appena il 6 per cento, lo yen il 3 per cento, il renminbi il 2,9 e il dollaro canadese il 2 per cento. Nessuna economia è attualmente in grado di coniugare i tre elementi assolutamente necessari per fare della propria moneta una moneta di riserva: la dimensione, la solvibilità e la libertà finanziaria. La Cina, ammesso che possa soddisfare i primi due requisiti, sarebbe audace prenderla come esempio di libertà economica. Quanto all’euro, potrebbe soddisfare il primo e il terzo requisito, ma la disparità tra le diverse economie che compongono questa unione monetaria e il rischio di frammentazione, soprattutto tra nord e sud (pensiamo a Grecia e Italia), non possono fornire un asset monetario sufficientemente affidabile.
Pertanto a Washington e a Fort Worth (Texas) possono continuare a stampare dollari a volontà e trasferire i loro problemi agli altri. Quanto all’Unione europea, la più importante area economica del pianeta, ha fallito tutti i suoi veri obiettivi. E ciò non deve sorprendere fintanto che i suoi funzionari prima di ricoprire cariche nella UE debbono espletare immancabilmente il loro tirocinio di affidabilità presso istituzioni e banche sotto il controllo americano.
Grazie per questa critica puntuale alla velina del NYT.
RispondiEliminaMi sembra di ricordare che le divise alternative e marginali (reminbi, rublo, rupia, real) stiano procedendo ad un ritorno al Gold standard. È corretto? Se sì, potrebbe ciò avere rilevanza nel lungo periodo?
Grazie
(Peppe)
per quanto può contare il mio parere, ovviamente, non vedo alcuna possibilità di un ritorno al gold standard (a chi conviene?), salvo vi dovesse essere una crisi globale del sistema internazionale dei pagamenti (con sfiducia nel dollaro come moneta di riserva), insomma una crisi finanziaria apocalittica (che non si può escludere a priori, anzi). il sistema attuale sembra inossidabile, ma presenta contraddizioni e criticità che lo rendono allo stesso tempo fragile. da tenere d'occhio è il debito pubblico e privato, gigantesco.
EliminaLa nuova valuta prevista dai BRICS sarà sostenuta dall'oro. L'annuncio ufficiale avverrà ad agosto.
RispondiEliminaIl dominio del dollaro USA è seriamente minacciato, perché se il progetto della moneta sarà realizzato, garantirà il commercio nella
maggior parte del mondo con la maggior parte della popolazione mondiale e almeno la metà di
tutto il PIL globale, che è in rapida crescita.