Una breve coda a un post recente che aveva ad oggetto i due maggiori vedutisti veneziani del Settecento, Canaletto e Bellotto (il Guardi e Carlevarijs meritano rispetto ma sono altra cosa). Rilevavo in quel post che il contestato utilizzo da parte di Canaletto della “camera obscura” era stato negato anche a margine della recente mostra londinese dedicata allo zio di Bernardo Bellotto. Ora leggo, nel catalogo della mostra milanese Canaletto e Bellotto, lo stupore della luce, presentata alle Gallerie d’Italia nel 2016, quanto scriveva la curatrice Bożena Anna Kowalczyk:
«L’utilizzo di strumenti ottici, professato e anche consigliato nel Settecento dai critici d’arte, porta a creazioni d’arte originali solo se si è capaci di “correggerne i difetti”, come lo era, notoriamente, Canaletto. Gli esperimenti condotti con lo strumento del museo Correr, ad iniziare da Teresio Pignatti, che confrontano gli schizzi dell’album della Galleria dell’Accademia di Venezia con riprese effettuate [dal Pignatti] con questo strumento mettono tuttavia indubbio il suo utilizzo da parte del maestro» (p. 72).
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Una delle più memorabili frasi della storia dell’arte ebbe a pronunciarla Mr. Bean, nel film L’ultima catastrofe, quando a domanda su quale fosse la sua attività presso il museo egli risponde senza indugio: “Guardo i quadri”. Anch’io, si parva licet, come quel genio del Bean mi limito a guardare i quadri. Basta guardarle le opere del Canaletto per rendersi conto quanto ardita sia la tesi che vuole l’utilizzo sistematico della camera oscura da parte dell’artista di Cannaregio (*).
Escluso che l’abbia utilizzata per realizzare i suoi “capricci”, ovviamente, ma anche altre vedute dov’è palese la cosiddetta “prospettiva a cannocchiale”, che non ha alcun rapporto con la realtà effettuale. E ciò vale anche per Bellotto, laddove per esempio in un disegno (presentato alla mostra di cui sopra) il timpano del tempio in primo piano è riportato in una prospettiva per così dire “problematica”. A titolo esemplificativo La Piazza san Marco verso sud-ovest del Cleveland Museum, sembra ripresa con un fish-eye.
La camera ottica del Museo Correr (cm. 38 x 24,2 x 22,5), donata nel 1901 da Luigi Vason (famiglia di mediocri pittori: Francesco, 1819 – 1899, Antonio e poi Carlo) recante la scritta “A. Canal”, potrebbe essere realmente appartenuta a Canaletto, ma anche frutto di una trovata di qualche burlone. Comunque si tratta di una “scatola” talmente piccola, adatta sì ad essere trasportata agevolmente, ma con un vetro smerigliato di dimensioni tali che si può già da questo dettaglio escludere un sistematico impiego per i propri lavori da parte del Canaletto.
(*) La Corte Perina in Cannaregio, otturato il vecchio e basso sottoportico, che la metteva in comunicazione con calle della Malvasia e Calle dell’Oratorio, ora dà accesso alle stesse calli mediante un nuovo passaggio. Presso quella Corte, al 5484, abitava e morì Canaletto.
Le considerazioni che seguono sono frutto di buon senso, e non di studio della specifica materia. E' noto che Turner, autore di numerose tele veneziane, le dipinse a Londra, sfruttando numerosissimi schizzi fatti in loco. Da qui le libertà che il pittore inglese si prese, accostando edifici che nella realtà sono distanti, e così trasformando alcuni dipinti in capricci. Cito Turner perché dipinse Venezia, ma la preferenza dei pittori per il lavoro nel proprio studio è conosciuta e anche ovvia. Darei quindi per scontato che pure Canaletto abbia lavorato prevalentemente in studio, e non al cospetto dei suoi soggetti. Se, per farlo e tenere conto delle proporzioni, avesse anche usato la camera ottica, che ci sarebbe di strano? In fondo, ci poniamo queste domande solo perché a quel tempo la fotografia non era ancora stata inventata. Una volta che è stata disponibile, i pittori ne hanno fatto ampio uso, e da ben prima che Andy Warhol ne desse sfacciata attestazione.
RispondiEliminaPer inciso, la fotografia, oltre a stravolgere la professione stessa del pittore, ha avuto una ulteriore e importante funzione: riprodurre le opere degli altri pittori. Come si racconta nel famoso, e forse sopravvalutato, saggio di Walter Benjamin.
infatti nel precedente post dicevo "Non vi sarebbe nulla da eccepire se Canaletto avesse utilizzato l’espediente tecnico della camera ottica".
EliminaIl dipinto veniva eseguito in studio per una serie di motivi tecnici e pratici, per es. dipingere in en plein air richiede anzitutto i colori in tubetto.