domenica 6 settembre 2020

Senza eccezione

 

Sul Domenicale, inserto de Il Sole 24 Ore, organo indebitato di Confindustria e quindi del nequizioso padronato italiano, nessun articolo è dedicato alla scomparsa di Philippe Daverio, salvo un neghittoso p.s. di tre mezze righe in fondo a un corsivo. Forse rimedieranno la prossima settimana. Ad ogni modo c’è qualcosa da leggere nell’inserto, saltando senz’altro la consueta pagina di elevato cazzeggio riservata alla modesta prosa di monsignor Ravasi.

 

In prima, con strascico in XII, una recensione di Salvatore Settis, che presenta un lavoro di Paolo Coen con un articolo dall’eloquente e verdiano titolo: Roma, la capitale sì bella e venduta. Si riferisce, in specie, alla svendita del patrimonio archeologico avvenuta nei primi quarant’anni di capitale del regno d’Italia, ossia in assenza di una legge nazionale di tutela contro il commercio e l’esportazione di beni archeologici.

 

Almeno fino al 1903, quando fu licenziata una debolissima legge di tutela ma solo per le opere di “sommo pregio”, di cui ad appositi elenchi che, indovinate, non furono mai redatti. Un po’ come gli attuali decreti attuativi, che attendono anni. Restarono sostanzialmente in piedi le norme che erano in vigore nei preesistenti ordinamenti dei singoli stati pre-unitari.

 

Infine arrivò una legge di tutela efficace nel 1909 e poi anche nel 1922, cioè quando infine era stata aggiudicata a facoltosi collezionisti esteri quasi tutta la stalla. Sarebbe interessante avere luce sull’intreccio politico affaristico, su chi trasse beneficio da questa latitanza legislativa, e a ciò forse rimedia un poco il libro di Coen: Il recupero del rinascimento. Arte politica e mercati.

 

Salvatore Settis “dimentica” di dire nel suo articolo che, per quanto riguarda Roma e il territorio pontificio, una legislazione di tutela operava già prima del 1870, con vari editti di promulgazione papalina. Ovvio che non se ne tenne conto una volta poste le mani sul bottino, lasciando piena libertà ai proprietari privati di usare a piacimento le cose d’arte. Del resto lo Statuto albertino parlava chiaro: “tutte le proprietà, senza alcuna eccezione, sono inviolabili”.

 

Ricordo ancora a riguardo delle disposizioni relative alle raccolte artistiche ex-fidecommissarie, che l’art. 129, comma 2,  del vigente “Codice dei beni culturali” n. 42, del 2004, mantiene ancora in vigore la legge n. 286 del 1871 e la successiva legge n. 1461 del 1883. A quante linee ammonta oggi la febbre del signor B.?

 

Sull’argomento si trova menzione anche nell’indimenticabile produzione di Antonio Cederna, ma in questo momento non ho voglia di arrampicarmi sugli scaffali. Su quanto fu allora scavato e “scoperto” ha scritto in esteso e in dettaglio il sommo Rodolfo Lanciani, il quale, dato il disinteresse nostrano, pubblicava in inglese, lingua franca per ogni spaccio.

 

Il resto forse domani, ché non vorrei qualche lettore affaticasse la vista e rivendicasse a me il danno oculare. Prevenzione, diamine.

7 commenti:

  1. Ma non le sembra di esagerare attribuendosi il ruolo di prefica delusa per la scomparsa di un personaggio politicamente reazionario, culturalmente narcisista e socialmente repulsivo come Philippe Daverio? O nutre un’insana passione per quel genere di personaggi che Franco Fortini paragonava a “denti cariati ricoperti d’oro”?

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    1. a proposito di carie, da quanto non ti lavi i denti?

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    2. Le prefiche sono deluse se non ci sono morti

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  2. "Il nequizioso padronato italiano": ma non ha un vocabolario di italiano per controllare i termini che adopera o procede per assonanze (in questo caso con "vizioso", "odioso" ecc.)? Il termine corretto è "nequitoso". Può sembrare una pedanteria, ma, cara Olympe, c'è già così tanta sciatteria negli usi linguistici correnti che non è il caso di incrementarla con goffi solecismi.

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    1. Si può scrivere in entrambi i modi. Sei un presuntuoso ignorante.

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