Il 26 agosto il Bureau of Industry and Security (BIS) del Dipartimento del Commercio Usa aveva aggiunto 24 aziende cinesi alla lista nera (Entity List). L’elenco è uno strumento utilizzato dal BIS per limitare l’esportazione, la riesportazione e il trasferimento (all’interno del paese) di articoli soggetti ai regolamenti sull’amministrazione delle esportazioni a persone, organizzazioni e società ritenute coinvolte, o che potrebbero comportare un rischio di essere coinvolte (!), in attività contrarie alla sicurezza nazionale o agli interessi di politica estera degli Stati Uniti.
Venerdì scorso il Dipartimento del Commercio Usa ha fatto sapere che le esportazioni destinate alla Semiconductor Manufacturing International Company (SMIC), il più grande produttore di semiconduttori della Cina continentale, rappresenterebbero un “rischio inaccettabile” perché potrebbero essere dirottate a uso militare, per cui e l’esportazione doveva ottenere il nulla osta del BIS del Dipartimento.
La decisione del Dipartimento del Commercio è stata sollecitata dal Pentagono che all’inizio di questo mese dichiarò che stava lavorando con altre agenzie per accertare se la società cinese dovesse essere inserita nella lista nera (Entity List) a causa di presunti legami con l’esercito cinese. Non risulta, al momento in cui scrivo e contrariamente a quanto affermano numerosi siti d’informazione, che il BIS abbia finora inserito nella lista nera lo SMIC, ma la decisione di richiedere speciali nulla osta di esportazione è un passo in tale direzione.
Sempre venerdì la SMIC ha dichiarato che produce semiconduttori e fornisce servizi esclusivamente per utenti usi finali civili e commerciali, e di non avere rapporti con l’esercito cinese e di non produrre per utenti finali e usi finali militari.
Al momento ci sono almeno 275 aziende con sede in Cina effettivamente bandite o sottoposte a restrizioni dagli Stati Uniti. L’obiettivo di fondo è quello di impedire alla Cina di sviluppare industrie ad alta tecnologia che gli Stati Uniti considerano una minaccia al proprio dominio economico e militare. Nei due anni e mezzo da quando è stata lanciata la guerra economica, tale obiettivo è diventato sempre più palese.
Fondata nel 2000, SMIC in luglio ha raccolto 6,8 miliardi di dollari nella sua offerta pubblica iniziale (IPO), più del doppio del suo obiettivo e la più grande IPO in Cina da 10 anni. L’importanza di SMIC, sul piano delle forniture (l’azienda importa il 50% dei suoi semiconduttori dagli Usa) e della complessa divisione internazionale del lavoro caratteristica dell’industria high-tech (è a sua volta fornitrice d’importanti aziende Usa), va ben oltre la vicenda di TikTok.
Da qui alle elezioni di novembre, anche su questo fronte ne vedremo di nuove. Il fatto che tali misure contro la Cina siano dettate dal Pentagono e dall’intelligence militare, piuttosto che dal Dipartimento del Commercio o dall’ufficio del Rappresentante per il Commercio, significa che comunque vada l’esito delle elezioni, l’atteggiamento degli Usa verso la Cina non è destinato a modificarsi.
Gli Stati Uniti stanno cercando di isolare la Cina dalla rete dell’economia globale, soprattutto nel settore dell’alta tecnologia. La situazione ricorda quella del periodo precedente la guerra tra Stati Uniti e Giappone nel 1941. Alla fine degli anni 1930, gli Stati Uniti imposero una serie di sanzioni contro il Giappone sulle forniture di petrolio e altre materie prima, rendendo indisponibili i beni dei giapponesi negli Stati Uniti, ciò che portò i giapponesi, dopo le loro proposte “A e B” e l’ultimatum “Cordell Hull note” di Washington, col quale si chiedeva tra l’altro al Giappone di uscire dal Patto tripartito, a cadere nella trappola di Pearl Harbor e del conflitto bellico.
Paradossalmente il caso vuole che l’attuale sottosegretario ad interim per l’industria e la sicurezza, a capo del BSI, si chiami Cordell Hull.
Possedere qualche vaga nozione storica a volte torna utile.
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