mercoledì 9 settembre 2020

Il serenissimo lockdown

 

Nel marzo del  1348, per far fronte all’epidemia di peste, il Maggior Consiglio della Serenissima istituì una sorta di commissione sanitaria composta da tre membri (tre!), la quale si occupò subito di una rapida e ben organizzata rimozione dei cadaveri degli appestati, sia quelli presso le abitazioni che quanti si trovassero all’aperto in città.

 

Si dispose che i cadaveri degli appestati fossero trasportati in due piccole isole della laguna, oggi sommerse: San Leonardo di Fossa Mala (toponimo eloquente) e San Marco in Boccalma. Qui i corpi vennero sepolti sotto 5 metri di terra. A sovraintendere al trasporto e alla sepoltura dei poveretti, dei quali in molti casi non si conosceva l’identità, furono ingaggiati degli addetti nominati dai capi sestiere della città.

 

Il perdurare della pestilenza costrinse i commissari a utilizzare quali luoghi di sepoltura anche le isole di San Martino di Strada (nulla a vedere con comune prov. di Lodi) e di Sant’Erasmo. Il Maggior Consiglio decretò di vietare gli sbarchi dei foresti, ma cercò anche di porre un freno alle fughe di abitanti che, unitamente ai molti decessi, stavano provocando un grave spopolamento della città.

 

Si presentò anche il problema di reperire nuova manodopera, cui si provvide attraverso lo strumento dell’amnistia, liberando i  carcerati e con il rientro delle persone messe al bando. Inoltre fu stimolata una selezionata immigrazione. Anche gli impiegati dei pubblici uffici, in particolare i notai e i medici, deputati alla gestione delle questioni patrimoniali e sanitarie, fu imposto il rientro in città.

 

Un altro provvedimento fu il decreto del Maggior Consiglio (rinnovato poi nel 1358), al fine di ripopolare rapidamente la città, che istituì una “finestra” di due soli anni per ottenere la cittadinanza de intus senza previa residenza, con immatricolazione automatica nelle Arti; fu anche diminuito il periodo di residenza per ottenere la cittadinanza de intus et extra, portandolo da 25 a 10 anni. Tale status dava il diritto aggiuntivo di poter esercitare il commercio all’estero sotto la bandiera della Serenissima.

 

Interessante il fatto che alcune misure furono adottate dal Maggior Consiglio per impedire alla popolazione un tracollo psicologico, tanta era la disperazione dovuta alle gravissime perdite. Le attività commerciali furono agevolate attraverso l’abolizione delle tasse d’iscrizione alle Arti. Purtroppo la chiusura delle osterie, ritenuta necessaria, determinò in breve tempo un consistente danno economico, come ulteriore conseguenza dell’abbandono della città da parte di locandieri e tavernieri. Il Senato fu costretto a revocare parzialmente il provvedimento e a concedere a tredici osterie di riaprire: otto a Rialto e cinque a San Marco.

 

Le processioni e le feste, possibili occasioni di diffusione del contagio, potevano svolgersi solamente sulla base di permessi specifici (tenendo conto della situazione del momento). Nonostante i tentativi di gestire efficacemente l’emergenza, tuttavia l’epidemia continuò per mesi prima di spegnersi. Cosa che invece non avvenne nei focolai del Nord Europa, dove la peste era scoppiata successivamente e dove si sarebbe estinta solo nel 1351.

 

A causa della drastica diminuzione della popolazione, i sopravvissuti poterono spartirsi le ricchezze dei defunti. La disponibilità di un maggiore spazio fisico stimolò inoltre il rinnovamento architettonico e urbano delle città europee. La scarsità di forza lavoro rese i lavoratori più ricercati, aumentarono le loro retribuzioni e la loro posizione sociale migliorò notevolmente.

 

Tutte cose che non accadranno in seguito alla pandemia virale del 2020.

 

*

 

Con la peste del 1348, la popolazione veneziana fu ridotta di circa la metà. Sopperirono in seguito i “foresti”, dalla terraferma, dalla Lombardia, dalla Puglia, poi tedeschi, levantini, e, con il 1492, i sefarditi (il protagonista del 1848-‘49, Daniele Manin, in origine era un Medina, o Fonseca). Venezia è sempre stata un crogiolo di razze, pur mantenendo saldo un suo nucleo originario e le sue tradizioni e feste (che ora sono scomparse, tranne quelle a uso turistico).

 

Sulle origini di Venezia si raccontano ancora fiabe. Fondamentali e monumentali invece i volumi di Wladimiro Dorigo. La Venezia romana, prima ancora che bizantina, è una realtà storica e archeologica, come dimostra anche il lavoro di Ernesto Canal. Più in antico, interessante sulle origini resta ancora l’opera del conte Giacomo Filiasi, nella prima edizione, poiché già nella seconda scompaiono i riferimenti alla ragione della fortuna veneziana, ossia la plurisecolare tratta degli schiavi (altro che le spezie, che pure ebbero ruolo), oltre al monopolio nel commercio del sale, motivo di guerre e accordi (Ungheria). Se si vuol scialare, il Romanin nei suoi numerosi volumi, il Maranini sull’ordinamento costituzionale, sull’arte e l’architettura, le tradizioni e le feste, c’è l’imbarazzo della scelta, ecc. ecc..

Nessun commento:

Posta un commento