Oggi ai più giovani non dice molto il nome di Salvador Allende (ci stiamo occupando se B. ha qualche linea di febbre!), ma dal 1970 e per diversi anni, la sua vicenda come presidente del Cile (1970-1973), e quella del golpe che lo rovesciò, fu al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica e del dibattito politico in tutto il mondo. Una lontana parente del presidente, Isabel Allende, scrisse un romanzo di successo, La casa degli spiriti, che illumina un lungo tratto della storia della società cilena.
Il leader del Partito socialista Salvador Allende Gossens ottenne il maggior numero di voti alle elezioni presidenziali del Cile tenutesi il 3-4 settembre 1970, rispetto al candidato di destra Jorge Alessandri Rodríguez, che era stato presidente dal 1958 al 1964 (dopo il golpe scriverà la costituzione che istituzionalizzerà il regime militare), e Radomiro Tomic, del Partito Democratico Cristiano, più volte senatore e Ambasciatore del Cile negli Stati Uniti dal 1965 al 1968.
Dopo che i voti erano stati scrutinati, Allende, che si era presentato alle elezioni per la coalizione di unità popolare di sinistra, contava sul 36,62% dei voti. Alessandri prese il 35,27%, seguito da Tomic con il 28,11%. Senza che nessun candidato avesse più del 50% dei voti, l’elezione fu decisa dal Congresso nazionale cileno, che avrebbe scelto tra i due candidati con più voti, Allende e Alessandri.
Il voto del Congresso (82,38%) fu assicurato ad Allende solo dopo che Unità Popolare, che comprendeva il Partito Socialista e il Partito Comunista, fece importanti concessioni alla Democrazia Cristiana. Allende accettò di firmare uno Statuto di garanzie costituzionali, promettendo che non avrebbe adottato alcuna misura che potesse minare la costituzione cilena.
Allende promosse una vasta nazionalizzazione di importanti settori economici, non ultima la nazionalizzazione delle miniere di rame controllate da multinazionali americane. La destra cilena, sostenuta dagli Stati Uniti attraverso la CIA, iniziò i preparativi per rovesciare la sua amministrazione. La CIA finanziava, secondo un collaudato cliché, la propaganda anti-Allende anche prima delle elezioni, come poi emerse in una commissione del Senato americano.
Pochi giorni prima del giuramento di Allende come presidente, il comandante in capo dell’esercito, il generale René Schneider, che si era opposto a un colpo di stato militare per estromettere il nuovo governo, fu assassinato da elementi di destra delle forze armate sostenuti dalla CIA (che ne aveva previsto quantomeno il rapimento). La destra politica e la CIA iniziarono i preparativi per il colpo di stato del 1973 che avrebbe rovesciato il governo, eliminato Allende, imponendo la brutale dittatura del generale Augusto Pinochet.
A quel tempo la politica estera statunitense, sotto Nixon, era diretta dal segretario di Stato William Pierce Rogers, ma solo formalmente, poiché Pierce era stato totalmente soppiantato da Henry Kissinger, consigliere per la sicurezza nazionale. Quest’ultimo, fine intellettuale, storico della diplomazia, abile stratega, fu il burattinaio del colpo di Stato dell’11 settembre 1973 e di molte altre operazioni.
Per la vittoria di Allende nelle elezioni fu essenziale il sostegno del Partito comunista cileno, filosovietico ma in buona sostanza riformista. Non solo i comunisti sostenevano Allende e la sua “via cilena al socialismo”, ma promuovevano anche illusioni circa il ruolo e la natura dell’esercito, definendolo come il “popolo in uniforme”, in realtà dominato dalla destra e da fascisti come Pinochet (la vicenda del gen. Carlos Prats, fedele alla costituzione e ad Allende, fu in tal senso un caso isolato).
Aver voluto “costruire il socialismo” in un piccolo e povero paese, dominato da una classe di proprietari ferocemente reazionaria, in un’America Latina dominata dall’imperialismo americano, in un contesto storico di guerra fredda e contrapposizione assoluta, fu pura velleità.
Le dinamiche storiche delle società umane si sviluppano secondo leggi non dissimili a quelle che governano i processi naturali. Con una differenza fondamentale, non essendo tali società delle mere colonie di topi: il nostro intervento sulla natura consiste nella capacità, che ci eleva sopra le altre specie, di conoscere le sue leggi e di adoprarle nel modo più opportuno. Questo però richiede una completa rivoluzione del nostro intero ordine sociale contemporaneo.
Oggi noi prendiamo atto, nonostante ci si ostini a volerlo riformare, dell’impossibilità della continuazione del capitalismo, però dobbiamo tener conto che solo il possibile, in una data situazione storica concreta, può diventare realtà. Altrimenti si va incontro a sicuri disastri. Il solo prendere atto di un proprio limite è il modo per superarlo, è un primo passo verso il pensiero dialettico.
Ho sentito filosofo della scienza Telmo Pievani osservare che l'avvento dell'agricoltura dimezzò le specie viventi nelle aree coltivate; nel frattempo l'uomo del neolitico aveva già fatto scomparire decine di specie animali, ad esempio la megafauna delle Americhe (il cavallo, ad es. fu "riportato" lì, addomesticato). Temo che il destino della nostra specie sia la catastrofe, non ci servirà la conoscenza delle leggi che governano le società umane perché la tecnica ci ha separati dai vincoli della natura e non può rimediare ai propri effetti su di essa. Il comunismo positivista, tardo ottocentesco ed operaista, s'illudeva che bastasse cambiare la classe al potere ma rimaneva di fondo in esso il principio sviluppista, teso ad un consumo crescente delle risorse (il fattore "terra", o sarebbe meglio dire "Terra") che la crescente efficienza (che, mi pare, per Marx è il motore nella successione dialettica e darwiniana dei sistemi di produzione) serve solo ad accelerare. Conciliare Progresso Umano ed evoluzione biologica naturale sembra utopistico (Peppe)
RispondiEliminami pare di capire che lei avrebbe preferito vivere nelle caverne?
EliminaI decrescitisti hanno l’armadio pieno di medicine, e al primo mal di testa corrono a fare la TAC. Senza dimenticare la mascherina.
EliminaNon sono un nostalgico, le chiedo solo di trarre qualche riflessione dalle mie osservazioni. Indubbiamente non sono un ottimista, mi sento spiritualmente più vicino a Majorana che a Fermi; ottimismo e pessimismo sono solo dei catalizzatori della Storia, che però per me non è teleologica. Le ripeto dunque, date le mie osservazioni, che fare? Può un animale prepotente e senza ecosistema come l'uomo sopravvivere su questo pianeta nel lungo periodo? In genere chi promette il paradiso, su questa terra (Marx, i millenaristi razzisti o F. Fukuyama) o nell'aldilà, preparano un nuovo inferno.
Elimina(Spero non liquiderà anche questa controdomanda; Peppe)
non per liquidare la sua domanda in poche parole, ma la mia risposta è già nel penultimo paragrafo
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