domenica 13 settembre 2020

Una società derubata

 

Nel corso del Novecento sono falliti i sistemi che sostenevano d’ispirarsi al comunismo. Un fallimento la cui ragione si può riassumere nell’opposizione posta alle leggi dello sviluppo economico-sociale e nella teorizzazione di un automatismo transitivo tra struttura e sovrastruttura, fino all’implosione dell’Urss e dei regimi dell’Est, alla rinuncia cinese al maoismo per inserirsi nel processo storico mondiale.

 

Quanto al capitalismo, prendiamo atto della sua irreversibile crisi storica, vale a dire di come questo sistema mostri come le sue contraddizioni assumano ogni giorno di più un carattere di ostacolo assoluto, prefigurando una catastrofe sul piano della sostenibilità sociale, di quella ecologica e della contesa tra potenze imperialistiche.

 

Rapporti di proprietà e sviluppo economico sono diventati antitetici al punto che ogni tentativo di riforma si rivela inutile quanto aleatorio. Basti pensare all’impatto dell’innovazione tecnologica sull’occupazione, il parossismo finanziario e il mancato reinvestimento di una parte consistente dei profitti nella produzione e nel lavoro.

 

Tutto ciò se si ha cura di considerare che quali possano essere le forme sociali della produzione, lavoratori e mezzi di produzione restano sempre i suoi fattori imprescindibili.

 

L’organizzazione tecnica nei vari settori produttivi, garantita dai monopoli corporativi locali, ha rivelato nel lungo periodo la sua funzione conservatrice, dimostrando una volta di più che il capitalismo non può esistere senza rivoluzionare continuamente tutti i rapporti, gli strumenti e le forme del suo dominio.

 

L’investimento in capitale variabile è diventato in gran parte dei settori produttivi strategici di proporzioni quasi trascurabili in rapporto ai giganteschi investimenti fissi, con la progressiva caduta del saggio del profitto, la rapida concentrazione del grande capitale in poche mani, una lotta senza quartiere per il primato sui mercati.

 

Alcune scoperte fondamentali costituiscono la base di un’espansione tecnica di cui non si vede limite. Il loro rapido incalzare fa apparire obsoleto tutto ciò che appartiene al passato, tanto che, per esempio, non sono pochi quelli che ritengono i parlamenti surrogabili alle nuove tecnologie in favore della “democrazia diretta”.

 

Tuttavia è la stessa dimensione nazionale, soggetta a spinte regionalistiche da un lato e alle torsioni della globalizzazione dall’altro, a destare le maggiori preoccupazioni. Continua a prevalere l’antica contrapposizione tra potenze, anche di rango secondario, con la differenza sostanziale rispetto al passato, anche tragico, dell’inedita concentrazione di potenza distruttrice e annientatrice delle nuove armi.

 

Sarebbe pertanto necessario il costituirsi di un movimento globale contro le guerre in atto e per fermare la folle spinta dell’imperialismo e del nazionalismo verso il riarmo e la minaccia bellica. Un simile movimento potrebbe nascere solo sul riconoscimento che la guerra ha la sua fonte nel sistema degli Stati nazionali e negli interessi delle potenze imperialiste, ma nulla è oggi più lontano dal comune sentire di una società derubata dell’effettiva libertà di dibattito su questioni cruciali.

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