martedì 29 settembre 2020

Differenza tra diamanti e stronzate

 


Nel brano che riporto in esergo vi sono tante falsità quante parole. Ovviamente non vale la pena di occuparsi di tutte le parole, bastano quelle che costituiscono l’humus da cui prendono vita tutte le altre.

Questa perla: “se le risorse fossero illimitate nulla avrebbe valore”. Dunque sarebbe la scarsità a determinare il valore di una merce, ergo i diamanti sono scarsi e perciò hanno un grande valore, mentre le stronzate sono abbondanti ed è per questo che ci sono regalate senza limiti. 

* * *

La natura è la fonte di valori d’uso (di “risorse”), ma non ogni risorsa (valore d’uso) ha un valore. E però ciò non dipende dalla sua abbondanza o dalla sua scarsità (*).

Una cosa può essere valore d’uso senza essere valore. Il caso si verifica quando la sua utilità per l’uomo non è ottenuta mediante il lavoro: aria, terreno vergine, legna di boschi incolti, ecc. Altresì, una cosa può essere utile e può essere prodotto di lavoro umano senza essere merce, ossia senza diventare valore.

Se si prescinde dal valore d’uso dei corpi delle merci, rimane loro soltanto una qualità, quella di essere prodotti del lavoro. È soltanto la quantità di lavoro socialmente necessario, cioè il tempo di lavoro socialmente necessario per fornire un valore d’uso che determina la sua grandezza di valore.

Delle mele sull’albero, il petrolio nel sottosuolo, per quanto abbondanti possano essere, anche in quantità illimitata (come per esempio nel caso dell’Eden), sono potenzialmente un valore d’uso (cibo, carburante), ma fino a quando le mele non sono raccolte e il petrolio estratto, le une avviate alla distribuzione e l’altro distillato, tali risorse non diventano né un valore d’uso effettivo e tantomeno un valore (di scambio).

Pertanto, è il lavoro dell’uomo che diventa fonte di valori d’uso, e quindi fonte di ogni ricchezza, e nella società nessuno si può appropriare di ricchezza se non come prodotto del lavoro. Se dunque un membro della società non lavora egli stesso, vuol dire che egli vive di lavoro altrui e che si appropria anche della propria cultura a spese di lavoro altrui.

È esattamente quello che fanno da sempre tutti quelli che ritengono che “il valore non esisterebbe se la disponibilità di risorse fosse illimitata” e che dunque il valore “discende dalla scarsità delle risorse”.

Di quale cultura poi s’approprino costoro è tutto dire, vista la rozzezza e la mancanza di conoscenza concettuale con cui spacciano ancora di queste trivialità. Ma tant’è.

(*) Scriveva l’economista David Ricardo nei suoi Principi dell’economia politica e della tassazione:

«Vi sono merci, il cui valore è determinato esclusivamente dalla scarsità. Non esiste lavoro che possa accrescere la quantità di tali merci, e perciò il loro valore non può diminuire per un aumento dell’offerta. Rientrano in questa categoria statue e quadri rari, libri e monete scarsi, vini di particolare qualità che si possono ottenere solo da uve maturate in particolari terreni, in cui vi sia una quantità molto limitata. Il loro valore è del tutto indipendente dalla quantità di lavoro originariamente necessaria per produrli e varia con il variare della ricchezza e dei gusti di coloro che desiderano possederli (ISEDI, 1976 p. 8).»

Vediamo cosa dice Marx a proposito di tale questione:

«Una vigna che produce vino di qualità assolutamente straordinaria, vino che in generale può essere prodotto soltanto in quantità relativamente scarsa, frutta un prezzo di monopolio. Il coltivatore della vigna verrebbe a realizzare un plusprofitto considerevole da questo prezzo di monopolio, la cui eccedenza sopra il valore del prodotto sarebbe esclusivamente determinata dalla ricchezza e dalla preferenza dei bevitori altolocati. Questo plusprofitto, che qui sgorga da un prezzo di monopolio, si trasforma in rendita e in questa forma finisce in mano al proprietario fondiario, grazie al suo titolo che gli dà diritto a questa porzione della terra dotata di particolari qualità. In questo caso, quindi, il prezzo di monopolio crea la rendita.»

Questo spiega perché un dipinto di Raffaello non è venduto al suo valore intrinseco, ma al prezzo di milioni di euro, sfruttando il prezzo di monopolio; e spiega anche perché dei grappoli d’uva di una qualità rara, se non fossero vendemmiati e trasformati in vino con il lavoro umano, non solo non potrebbero essere trasformati in vino pregiato da vendersi a prezzi di monopolio, ma resterebbero a rinsecchire nella vigna.


7 commenti:

  1. Il concetto di costo di opportunità è solido e utile. Che il sig.A.F.Giudice non lo sappia spiegare è storia differente. Non c’entra il valore d’uso, né quello di scambio. Il costo di opportunità riguarda l’investitore, ed è il rendimento del migliore investimento alternativo. Rimane difficile da calcolare, ma il concetto è pregevole.

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    1. Le migliori opportunità sono sempre sulla pelle di chi lavora. Oltretutto stiamo ragionando su un mercato in gran parte dominato dal monopolio. E non voglio andare oltre.

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  2. Ho provato a leggere Il Capitale, ma proprio questa parte, che è alla base di tutto, non è mai riuscita a convincermi.
    La frase "il tempo di lavoro socialmente necessario per fornire un valore d’uso che determina la sua grandezza di valore" stabilisce un criterio per determinare il valore delle merci. Tuttavia nel nostro mondo il valore di scambio delle merci è determinato, almeno in genere, dalla legge di mercato, cioè al bilanciamento fra la domanda e l'offerta.
    Non riesco a capire se questi due concetti sono incompatibili o si conciliano in qualche modo. Ai tempi di Marx la legge della domanda e dell'offerta era già conosciuta, ma non ho trovato (probabilmente una mia mancanza) argomenti di Marx indirizzati a spiegare come viene da lui considerata.
    Chiedo comunque scusa in quanto dilettante che scrive in un blog di un evidente esperto/a dell'argomento.

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    1. Ma figurati, siamo tutti alunni.
      Nel merito: sono secoli che le merci non vengono più scambiate ai loro valori, proprio per effetto di certi meccanismi di mercato. Tuttavia ciò non inficia in alcun modo l'esposizione marxiana.

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    2. Scrive Engels nelle “Considerazioni supplementari” al III libro del Capitale: «la legge del valore di Marx ha validità generale, nella misura in cui la possono avere le leggi economiche, per tutto il periodo della produzione semplice delle merci, quindi fino al momento in cui questa subisce una trasformazione con l’apparizione della forma capitalistica di produzione. Fino a questo periodo i prezzi gravitano attorno ai valori determinati secondo la legge di Marx, ed oscillano attorno a questi valori, cosicchè quanto più la produzione semplice delle merci si sviluppa, più i prezzi medi di lunghi periodi non interrotti da violente perturbazioni esterne coincidono, con scarti trascurabili, con i valori. La legge del valore di Marx ha dunque una validità economica generale per un periodo di tempo che va dall’inizio dello scambio che trasforma i prodotti in merce, fino al XV sec. della nostra era. Ma lo scambio delle merci risale ad una epoca anteriore a qualsiasi storia scritta, che rimonta in Egitto ad almeno 3500, forse 5000 anni, in Babilonia a 4000 forse 6000 anni prima della nostra era: la legge del valore ha dunque regnato per un periodo che va da 5 a 7 mila anni».

      Fare molta attenzione e non fraintendere: la determinazione del valore mediante il tempo di lavoro non apparve più visibilmente alla superficie dello scambio delle merci da secoli. Ad un certo punto il denaro divenne praticamente la misura decisiva del valore e in grado tanto maggiore quanto più le merci messe nel commercio si moltiplicarono; da un lato il contadino e l’artigiano non potevano calcolare nemmeno approssimativamente il lavoro che esso rappresentava, d’altro lato la coscienza della proprietà che ha il lavoro di essere misura del valore era già abbastanza oscurata presso di loro per l’abitudine di calcolare con il denaro; il denaro cominciò a rappresentare nella concezione popolare il valore assoluto.

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    3. Grazie mille della risposta articolata.
      Esistono per caso degli studi che provano a verificare queste affermazioni, ovvero calcolare il valore di Marx per un bene (è possibile farlo realmente in modo univoco?) e confrontarlo con il valore di scambio in date epoche e date società?

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  3. Più chiaro di così non si può.
    Ma vallo a dire ai tizi che scrivono su Phastidio.net, che se ne uscirebbero fuori col fatto che Marx è fuffa con esempi tipo la comparazione tra l'ora di lavoro di Leonardo da Vinci per fare "La dama con l'ermellino" e l'ora di lavoro di un tizio casuale che fa stuzzicadenti, non so se mi spiego ^_^
    Saluti,
    Carlo.

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