venerdì 4 settembre 2020

Neanche la Merkel si sente al sicuro

 

Eccolo qui il vero motivo del caso Alexei Navalny. Qualunque cosa purché quel gasdotto non venga ultimato. Liberissimi di non crederci.

 

Il russo Alexei Navalny, gravemente ammalato ed entrato in coma il 20 agosto, è ancora in cura presso la clinica universitaria tedesca Charité. Mentre le circostanze del suo avvelenamento sono ancora da accertare, il suo caso è diventato un punto focale per la propaganda antirussa.

 

La tempistica del caso Navalny, chiunque e qualunque cosa ci sia dietro, è chiaramente un’operazione politica. Non è escluso che l’una o l’altra agenzia delle potenze occidentali ne sia responsabile (o una fazione dei servizi russi). In ogni caso, è assolutamente chiaro che questi poteri sono determinati a utilizzare il caso per massimizzare ulteriormente la pressione sul Cremlino.

 

Una delle caratteristiche più sorprendenti della campagna mediatica su Navalny è che nessun giornale ha esaminato criticamente o discusso onestamente il caso, dando subito per scontato che si tratti di un’azione dei servizi russi, né ha esaminato chi sia in realtà Navalny. Nessuno, tranne Putin, potrebbe avere avuto interesse ad avvelenare Navalny, il quale rappresenterebbe una sorta di oppositore democratico al regime di Putin stesso.

 

La presentazione di Navalny come leader di una sorta di movimento popolare democratico è una frode consapevole.

 

Navalny non è un leader popolare, ma un rappresentante di alcuni degli elementi più di destra all’interno dell’oligarchia russa. Solo il due percento della popolazione russa ha dichiarato Navalny come il politico di cui si fidano di più in un sondaggio Levada della fine di luglio (dà in calo Putin del 23%). Basti pensare che Sergej Furgal, l’ex governatore del Territorio di Khabarovsk, arrestato con l’accusa di aver organizzato omicidi, si trova in classifica davanti a Navalny!

 

Per oltre un decennio, Navalny e la sua squadra sono stati preparati e addestrati sistematicamente dalle agenzie statunitensi. Sia Navalny che il suo capo di stato maggiore, Leonid Volkov, hanno partecipato al programma World Fellowship  dell’Università di Yale, nel 2010 e nel 2019, riservato alla formazione di una certa élite, come le figure di spicco delle “rivoluzioni colorate”.

 

Navalny si è distinto da tempo da altre figure dell’“opposizione liberale” russa per la sua determinazione a integrare l’estrema destra nell’opposizione anti-Putin. Era un membro del consiglio organizzativo della marcia russa, un evento annuale organizzato dalle forze fasciste e di estrema destra del paese. Nel 2007, il partito filoamericano Yabloko lo aveva cacciato a causa delle sue simpatie con l’estrema destra. Il che è tutto dire.

 

Ha definito le popolazioni del Caucaso come “scarafaggi” e sugli immigrati ha affermato: “Tutto ciò che ci infastidisce deve essere rimosso con cura attraverso la deportazione”. Alla marcia russa del 2011, ha assunto una posizione antisemita davanti a un pubblico neofascista ed è stato visto conversare amichevolmente con Dmitry Diomushkin, un noto neonazista e organizzatore della marcia. In altre parole, se Navalny operasse nel contesto della politica tedesca o americana, le sue posizioni lo metterebbero in linea con quelle di Donald Trump o della neofascista Alternative für Deutschland.

 

Inoltre, Navalny ha stretti legami con esponenti delle élite russe e dell’apparato statale. Tra i suoi sostenitori c’erano Vladimir Ashurkov e Mikhail Fridman, due degli uomini più ricchi della Russia, così come l’economista Sergei Guriev, ex alleato dell'ex presidente Dmitri Medvedev. È proprio questo orientamento che lo ha reso attraente a Washington. Nelle loro operazioni nell’Europa orientale, i servizi occidentali e segnatamente quelli americani hanno tradizionalmente fatto molto affidamento su una combinazione di fazioni dissidenti dell’oligarchia e dell’apparato statale, da un lato, ed elementi di estrema destra e neonazisti, dall’altro.

 

Un altro elemento chiave dell'agenda di Navalny è la promozione delle tendenze regionaliste e separatiste che hanno imperversato all’interno dell’oligarchia russa sin dalla dissoluzione dellUnione Sovietica. Negli anni 1990, i violenti conflitti tra i diversi elementi della crescente oligarchia mafiosa per controllo delle risorse di materie prime prese spesso la forma di un conflitto tra le élite regionali e gli oligarchi a Mosca.

 

All'inizio degli anni 1990, sia i circoli governativi statunitensi che quelli russi discutevano apertamente della possibile secessione dell’estremo oriente russo dalla parte europea della Russia. Un movimento separatista in piena regola, che godeva del sostegno dell’imperialismo statunitense, si sviluppò in Cecenia, repubblica del Caucaso settentrionale. Il Cremlino ha risposto con due guerre brutali che hanno causato la morte di un decimo della popolazione locale per garantire che il Caucaso settentrionale rimanesse parte della Federazione Russa.

 

Una delle politiche centrali della presidenza Putin è stata quella di subordinare fortemente le élite regionali al governo federale e all’apparato statale. Queste tensioni si stanno aggravando a causa dalla pandemia di coronavirus, anche se alle autorità regionali è stato concesso un ampio margine di manovra nella gestione della crisi. Tuttavia con i recenti emendamenti costituzionali, il Cremlino ha cercato di restringere ulteriormente l’autonomia delle strutture governative regionali e municipali.

 

Gli Stati Uniti hanno da tempo riconosciuto nella promozione delle tendenze regionaliste e separatiste un mezzo potente per favorire la frattura della Russia, indebolire e destabilizzare Putin, e quindi promuovere i propri interessi. L’obiettivo finale è un'operazione di cambio di regime per la quale Navalny, grazie ai suoi legami con le élite e lo Stato, è considerato una figura utile e affidabile. Allo stesso tempo, soprattutto per i suoi legami con le forze fasciste, è visto come capace di affrontare, se necessario con violenza, una possibile opposizione sociale.

 

Jürgen Trittin, uno dei principali leader dei Verdi tedesco, partito che si oppone al Nord Stream 2, ha suggerito in un’intervista a Der Spiegel che l’attacco a Navalny potrebbe essere stato ordinato da qualcuno nell’apparato statale russo addirittura contrario a Putin, il che significherebbe che Putin non ha più il controllo della situazione nel Paese. In entrambi i casi, ha insistito Trittin, il caso di Navalny significa che la Russia non può più essere un “partner strategico” della Germania.

 

Il significato dell’escalation della campagna anti-Putin in Germania e lo sforzo intensificato di Berlino di intervenire nella politica russa sul caso Navalny possono essere compresi solo nel più ampio contesto della lotta geopolitica. È molto probabile che la Merkel si trovi costretta tra opzioni inconciliabili. Quando si muovono certe forze e apparati, neanche lei può sentirsi al sicuro.

5 commenti:

  1. Quindi..

    Navalnj come un Pedro Carmona qualunque,filmini porno-democratici già visti,in tutti i casi la Russia non è il Venezuela,figurarsi la Cina...

    caino

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  2. Quando si muovono certe forze e apparati, neanche lei può sentirsi al sicuro.

    Al sicuro non v'è nessuno nelle porno-democrazie.
    Pure il Pope nostro, anche se lui con l'appello agli "economisti"spera nei miracoli,e pertanto è più innocuo di altri..

    caino

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    1. bisogna credere che Putin sia totalmente stupido per aver fatto una cosa del genere in questo momento, oppure sono stupidi quelli che lo credono. tertium non datur

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  3. Non comprendo in verità. Il gas russo servirebbe soprattutto per rifornire la Germania stessa. Quindi, perché bloccare il Nord Stream 2?

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  4. Indubbiamente, ma le cose non sono così lineari come sembra, sia in Germania che in Europa. Vedi cosa combina sempre la Francia ai danni nostri

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