domenica 14 febbraio 2016

Spazio-tempo e dottrine egualitarie


Barnie Sander, il candidato alle primarie del Partito democratico per la corsa alla presidenza degli Stati Uniti, dichiara di essere un socialista democratico. Che cos’è il socialismo democratico? “Il socialismo democratico scrive Sander significa che dobbiamo creare un'economia che funzioni per tutti, non solo per i più ricchi”. L’ideale, sembra di capire, sarebbe far star bene tutti, nell’ambito degli attuali rapporti economici, con 700 grandi corporations che controllano l'80 per cento delle più importanti imprese del mondo. Ed è proprio a queste multinazionali che Sander dice di voler far pagare una “quota equa delle imposte”.

Da chi farà approvare le sue riforme “socialiste” Sander? Quanti operai e salariati vede tra i cosiddetti rappresentanti del popolo, ossia al Congresso? Vengono tutti dalle alte dirigenze, dagli uffici legali e da altri luoghi e categorie del privilegio, legati quindi a grossi interessi economici e professionali. E ciò che vale per Sander e per gli Usa, vale per tutti gli altri.

*



Si assiste ad una redistribuzione delle carte della lotta di classe, certamente non alla sua sparizione né ad una sua esatta continuazione all’interno del vecchio schema otto-novecentesco. Allo stesso modo non si sta assistendo ad un superamento degli Stati-nazione (quando mai vi rinuncerebbe la Merkel o Cameron, i fabbricanti di armi e di altre delizie) ma a una riproposizione del nazionalismo nel dispositivo di soprannazionalità: alcuni blocchi mondiali composti da zone sovrannazionali più o meno centrifughe e le nazioni sotto la loro influenza.

Poi un reticolo di gigantesche transnational corporations che a loro volta ne controllano altre, una convergenza di interessi inedita e spaventosa. Il risultato di tale intreccio è che circa 3/4 della proprietà delle imprese del nucleo principale è nelle mani di imprese dello stesso conglomerato.

Secondo questa realtà si possono considerare proletari coloro che non hanno alcuna possibilità di modificare lo spazio-tempo che il capitale concede loro di consumare ai diversi gradi di relativa abbondanza e di promozioni permesse. Un consumo dello spazio-tempo odioso e disperante che un’infima minoranza “produce” riproducendo un’organizzazione sociale all’interno della quale si radica l’alienazione del consumo e di tutta la vita.

Le élite, invece, organizzano questo spazio-tempo, e hanno un margine di scelta riguardo la sopravvivenza delle vecchie piccole forme di proprietà privata e di welfare, allo scopo di garantirsi un minimo di consenso (*). Ecco dunque che nell’ambito di questi assetti sociali e politici definirsi socialisti, riformisti, di sinistra, eccetera, non ha nulla a che fare con un movimento che cambi radicalmente l’organizzazione di questo-spazio tempo e di decidere la sua riorganizzazione – non solo giuridica – in un senso diverso da quello dominato dalla conservazione e la valorizzazione del capitale, dunque dalla produzione per la produzione (**).

Insisto, ancora una volta, su un altro aspetto, e cioè riguardo all’utilizzo che le classi dirigenti del passato sapevano fare della piccola parte di plusvalore estorto a una produzione sociale statica, sulla base di una penuria generale. Ebbene, possiamo osservare come gli individui di questa minoranza, di questa élite, oggi, in generale, hanno perso essi stessi la loro “padronanza”. Sono solamente dei consumatori di potere, del meschino potere dell’insensata organizzazione della sopravvivenza. Tale potere è la negazione dell’impiego di tutte le forze della società, di tutte le possibilità creatrici di ognuno per se stesso e in dialogo con gli altri. Dove sono allora i padroni? Li vediamo bene, sono all’altra estremità di questo sistema assurdo, nel polo del rifiuto, del negativo. Un anacronismo che verrà spazzato via.

(*) Quanti elettori hanno assistito, direttamente o in tv, a un Consiglio europeo (oppure del Consiglio dell’Unione Europea), un organismo istituzionale (status riconosciuto dal trattato di Lisbona) che prende decisioni d’indirizzo importanti, ma a porte chiuse. Che dire poi del Parlamento europeo? È l’unica istituzione elettiva della UE, e però “non detiene il potere legislativo”. In tal senso vige in Europa la stessa democrazia di una corte rinascimentale.

Dice bene Luciano Canfora: si tratta di “un’oligarchia dinamica incentrata sulle grandi ricchezze ma capace di costruire il consenso e farsi legittimare elettoralmente tenendo sotto controllo i meccanismi elettorali” (La democrazia, p. 331). Per quanto riguarda poi i media, o sono direttamente controllati dal potere politico e dall’esecutivo, oppure dal capitale privato e dagli inserzionisti, con una forte convergenza tra il contenuto editoriale, i valori e gli interessi del padronato e delle classi medio alte, e ciò può essere semplicemente rilevato dalla scelta delle notizie e dal modo in cui sono date e interpretate. In tal modo è ben chiaro chi decide l’ordine del giorno del dibattito pubblico, e come sia facile plasmare il modo in cui tutta la società percepisce la realtà politica e sociale.

(**) Il socialismo è stato anzitutto una dottrina egualitaria, e volendo se ne potrebbero rintracciare le radici in epoca ellenistica e romana, e finanche in Platone e in tutti i modelli mitici dell’età dell’oro, poi in Tommaso Moro, nei Livellatori, nelle reducciones del Paraguay, nella curiosa e celebre Histoire des Sévarambes, e chi più ne ha più ne metta, fino agli scritti molto noti di Rousseau e Morelly. Insomma, todos socialistas, forse nessuna etichetta politica è stata più flessibile di questa. Perfino i fascisti tedeschi si definirono socialisti (nazionalsocialisti). E in Italia sappiamo a quali derive ideologiche portò il “socialismo”.

Claude Willard disse che “il socialismo non è mai stato altro che la coda – una coda irrequieta – della democrazia borghese”. L’economista e politico Louis Reybaud, nel 1854, ebbe a dire che “il socialismo è morto; parlare di socialismo non può voler dire altro che fare la sua orazione funebre”. Negli Usa pare lo stiano apprezzando solo ora.

Marx nel Diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte e nelle Lotte di classe in Francia dal 1848 al 1859, ed Engels in Rivoluzione e controrivoluzione in Germania, seppero trarre i dovuti insegnamenti dagli avvenimenti del 1848-‘49. Se i socialdemocratici tedeschi e russi si chiamarono socialdemocratici è perché non potevano definirsi ufficialmente comunisti. La stessa Internazionale dovette accogliere un po’ di tutto per vedersi poi dilaniata al suo interno da dissensi ideologici e tattici.

Marx nella sua lettera a Friedrich Bolte, del 23 novembre 1871, scrive a tale riguardo: «L’Internazionale fu fondata per mettere al posto delle sètte socialiste o semisocialiste, la vera organizzazione di lotta della classe operaia. I primi statuti come l’Indirizzo inaugurale lo mostrano al primo sguardo. D’altro lato l’Internazionale non avrebbe potuto affermarsi, se il corso della storia non avesse già dimostrato il fallimento delle sètte. Finché le sette sono (storicamente) legittime, la classe operaia è ancora immatura per un autonomo movimento storico. Appena raggiunge questa maturità, tutte le sètte diventano reazionarie. Nella storia dell’Internazionale si è ripetuto ciò che la storia mette in evidenza ovunque. Il vecchio cerca di riprodursi ed affermarsi all’interno della forma finalmente acquisita» (MEOC, vol. XLIV, p. 337).

Questo progresso dalle sètte al programma del Partito comunista e all’organizzazione dell’Internazionale è dunque l’elemento di novità che nella trasformazione delle vecchie tendenze comincia a qualificare un nuovo tipo d’approccio politico, attribuendo importanza primaria “al punto di vista teorico”, in polemica soprattutto con Bakunin. Il programma del quale «era un guazzabuglio d’idee affastellate in fretta a destra e a manca: uguaglianza delle classi (!), abolizione del diritto di successione come punto di partenza del movimento (una stupidaggine sansimoniana) ateismo imposto ai membri come dogma ecc. e, come assioma principale, astensione dal movimento politico (in senso proudhoniano)».

A tale proposito va detto che nell’Europa occidentale restava dominante per buona parte della seconda metà dell’Ottocento l’influenza di Proudhon, un socialista il cui ideale è quello di una repubblica di piccoli proprietari, di produttori uniti dal mutualismo e legati da crediti concessi senza interesse da una Banca del popolo. Il suo socialismo antistatalista vieta agli operai qualsiasi azione sovversiva, e finanche il ricorso allo sciopero. Quello stesso Proudhon che secondo la lettura craxiana avrebbe fatto la barba nientemeno che a Marx!

L’insistenza di Marx sulla necessità degli operai di fare una politica autonoma e di classe solo in parte si realizzerà, almeno secondo i suoi principi teorici, nei nuclei di quei partiti politici di sinistra che si formano all’indomani della sconfitta della Comune e della scissione dell’Internazionale. E difatti i risultati si sono visti, soprattutto ad opera di Bernstein e poi con il voto dei socialdemocratici tedeschi favorevole ai crediti di guerra.

Sempre nella stessa lettera a Bolte, Marx a riguardo di Lassalle e della socialdemocrazia tedesca (molto nota peraltro la dura presa di posizione di Engels negli ultimi anni della sua vita): «In Germania: la cricca di Lassalle. Per due anni io stesso sono in corrispondenza col famigerato Schweitzer, dimostrandogli in modo inconfutabile che l’organizzazione di Lassalle altro non è che un’organizzazione settaria e come tale contrapposta all’organizzazione del vero movimento operaio perseguita dall’Internazionale. Si è intestardito di non intendere ragione».



3 commenti:

  1. Ottimo articolo .E'chiaro noi stiamo vedendo solo restylings di " vecchi trucchi " che possno essere ri-venduti al solito "popolo" solo in virtù del fatto che il " popolo non ha memoria" ( in quanto non ha mediamente ne cultura ne istruzione e ne soprattutto lo DESIDERA )) e "le coporations " (*) detengono oggi un sistema propagandistico che non ha uguali nella storia
    ws
    (*) a proposito sarebbe interessante sapere chi detiene "realmente" i CDA di queste piramidali e " incestuali" corporations... Mai fidarsi dei "frontmen" che ci sventolano dai media :-)

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  2. A proposito di economia e spazio-tempo, con lo spazio inteso come mercato mondiale, dal Sole24Ore:
    "Rischio Cina, l’industria protesta a Bruxelles".
    Dall'articolo:
    "Per l’industria manifatturiera italiana ed europea è arrivato il momento di alzare la voce. Imprenditori e lavoratori del comparto siderurgico, ceramico e delle fonderie, insieme a quelli del vetro e dell’alluminio e di altri settori esposti alla concorrenza sleale si danno appuntamento domani a Bruxelles, nel parco del Cinquantenario, per una manifestazione che punta a coinvolgere 5mila persone per sollecitare le istituzioni europee ad una maggiore tutela dei comparti colpiti dalla concorrenza sleale cinese."
    Quando occorre i padroni si fanno accompagnare dai rappresentanti sindacali contro un comune nemico del momento, la Cina.
    Sullo sfondo, la contrarietà di paesi come la Germania, l'Italia e la Francia sul riconoscimento alla Cina dello status di economia di mercato.
    Vogliono un nuovo protezionismo o cosa?
    Saluti,
    Carlo.

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    1. sì, ho visto in prima del Sole (lo leggerò domani). su questa questione c'è già tutto nell'opuscoletto di Marx scritto quasi 170 anno or sono. la germania è contraria? stento a crederlo.
      ciao Carlo

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