giovedì 25 febbraio 2016

Sempre e comunque nel cuneo a chi lavora


Il caustico e simpatico titolare di Phastidio (“un piccolo blog”, dice), il quale – per amor suo – si smarca dalla canea precisandosi come “un non-economista”, insiste oggi con una sua tesi, una proposta che egli ritiene obbligata. Avversario della riduzione del cosiddetto “cuneo fiscale sul lavoro” per come è stata realizzata, egli sostiene invece la necessità di ridurre i salari per mezzo di contratti aziendali. E ciò allo scopo, evidente, di diminuire il “costo del lavoro”, quindi di rendere il prezzo delle merci prodotte più competitive.

Scrive Phastidio in netta contrapposizione al Jobs act, alla sua dichiarata funzione e al rischio che, scadute le decontribuzioni, finiscano le assunzioni permanenti:

Traduciamo a lume di realtà: l’unica cosa che andava fatta, da inizio legislatura, era una riduzione immediata, strutturale, permanente del cuneo fiscale. Ad esso andava destinata da subito ogni risorsa reperibile. Invece si è scelta la via bizzarra dell’intervento “al margine” e congiunturale, e ad esso sono state immolate imponenti risorse.

I motivi di ragione di questa tesi sono quelli più volte ribaditi da Mario Seminerio. Di mio vorrei dire a tale riguardo, scusandomi per l’alto rischio di pleonasmo, che i denari che il padrone versa come oneri contributivi e simili, non sono denari suoi. La quota di valore, tradotta poi monetariamente e costitutiva di quei versamenti, è prodotta dall’operaio stesso. È salario che il padrone invece di corrispondere all’operaio versa quale copertura per previdenza e assistenza allo Stato, e ciò è reso pacifico dal fatto che le somme sono trattenute in busta paga.



Pertanto, ridurre la quota degli oneri contributivi, e dunque per tale via il famoso cuneo fiscale, significa, di fatto, ridurre i salari. Perciò quando il sottosegretario Vattelappesca, citato da Seminerio, afferma: “senza incidere negativamente sulle aspettative pensionistiche dei lavoratori”, sa bene che altrimenti si tratterebbe di un altro, ennesimo, furto a spese dei lavoratori.

Furto comunque già avvenuto per altra via, con la decontribuzione a scadere, poiché si è trattato pur sempre di soldi pubblici trasferiti ai padroni e dunque di denari dei lavoratori, eccetera. Poi scrive Mario Seminerio:

Ad ogni buon conto, se volete i nostri due cent, dopo il falò della decontribuzione a scadere, saremo costretti al contratto di lavoro aziendale, ed al gradone all’ingiù nelle condizioni retributive che esso implica, a livello aggregato e nel breve termine. Altre vie per ridurre il cuneo fiscale sul lavoro non ve ne sono, a meno di cominciare misteriosamente a crescere del 3-4% annuo.

E dunque ciò che si vuole ottenere, per una via o per l’altra, è la riduzione dei salari (Seminerio ha il pregio della franchezza: non diventerà mai, posto che ci tenga, ministro o sottosegretario, non nella nostra epoca spettacolare almeno, e dunque dovrà accontentarsi di qualche pacca sulla spalla).

Ridurre il salario, alias aumentare la quota di plusvalore trattenuta dal padrone, consente di ridurre il prezzo delle merci (ma non è detto: se il prezzo delle merci è già allineato alla media o se esso è già più competitivo il padrone intasca e basta) e dall’altro di realizzare una maggiore accumulazione di capitale (il capitale non è altro che lavoro accumulato, cioè salario non pagato). In definitiva vendere più merci e allargare la produzione. Tradotto: aumento dei profitti (sui quali magari eludere le imposte) a scapito dei salari (non “nel breve termine” date le condizioni internazionali e il quadro economico, non “nel breve termine” data la sovrappopolazione assoluta).


PS: lo studio delle condizioni economiche, della congiuntura, non può andare disgiunto dall’analisi delle condizioni delle classi sociali. Laddove vi sia un generale abbassamento dei salari e dei redditi vi è un simultaneo regresso dei consumi e dunque dell’economia. E ciò è ben noto. Non vedo dunque margini per uscire dal cul-de-sac. Anche in termini riformistici, sarebbe necessaria una “rivoluzione” degli assetti istituzionali, del rapporto Stato-Regioni, della spesa pubblica, dei corporativismi, eccetera, per ottenere una riduzione di qualche decina di miliardi dell’evasione fiscale e degli sprechi statali e locali. In un paese come l’Italia, con una classe dirigente (politica, imprenditoriale, sindacale, intellettuale) che è quella che sappiamo, questa è una strada assolutamente impercorribile, anzi, inesistente. Per tale motivo, oltre che per altri e ben più fondamentali, personalmente non scommetto “due cent” sulla possibilità di “redenzione” di questo sistema.

3 commenti:

  1. non scommetto “due cent” sulla possibilità di “redenzione” di questo sistema
    Anchio. Dopo di che la domanda è : inferno o purgatorio? . Perché sull'esistenza del "paradiso dei lavoratori" io non ho mai creduto.

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    1. lei ci crede in qualcosa. si figuri che io non ho mai creduto nemmeno nell'inferno e nel purgatorio

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  2. Amici americani mi parlano di piazzali di concessionari auto coperti da un numero incredibile di automobili nuove invendute e pressoché invendibili (nella patria dell'automobile, dove senza macchina sotto il sedere non si sposta nessuno).

    Quando avranno abbassato i salari e schiavizzato la forza lavoro al punto che nessuno più gli comprerà la roba, allora faranno una bella guerra mondiale per bruciare un po' di eccedenze (materiali e umane), fare guadagni sulla distruzione e far ripartire la giostra.

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