Nonostante
l’enorme aumento della produttività del lavoro (ricordiamoci, per favore, che
solo il lavoro è produttivo, la tecnologia di per sé non produce un cazzo
nulla), nonostante la pletora di merci di ogni tipo e la sovrapproduzione di
cui tanto ci si duole, la condizione di povertà riguarda fasce sociali sempre
più ampie. Si parla di calo dei consumi, sviando dalla caduta del potere
d’acquisto attuata con l’abolizione della scala mobile, il cambio della moneta
e la concorrenza spietata cui è obbligata la forza-lavoro! Anche laddove non si
tratti di vera e propria indigenza, si ha a che fare con la famosa difficoltà
di arrivare alla fine del mese, con la rinuncia di determinati consumi quali
per esempio le frutta, le verdure e il pesce fresco. Non è dunque la nostra una società sempre in festa, non tutta e non sempre almeno.
Ebbene
le spiegazioni che ci sono offerte – la crisi (che è un effetto, non la causa, e così il suo collaterale: la crisi da
debito), la disoccupazione (altro effetto), il debito pubblico (come sopra), la
deflazione e la caduta del prezzo delle materie prime (idem), insomma tutto ciò che
l’immaginario propagandistico sa escogitare, non ci dicono assolutamente nulla
sulla causa fondamentale che produce tali effetti, ossia sulla contraddizione
che sta alla base della produzione capitalistica. Si arriva al punto di scrivere
amenità simili a queste:
Non
abbiamo a che fare solo con l’ignoranza, il pressappochismo e la sciatteria di
chi ha scritto materialmente questa stravagante banalità, bensì con un lavoro
sistematico di falsificazione e distrazione. Ad un più alto livello si tratta
di una precisa strategia adottata al fine di produrre un senso ideologico
contro la coscienza e gli interessi delle masse schiavizzate. Ciò che si vuole
con ogni mezzo estirpare è qualsiasi forma di consapevolezza del carattere
assoluto e totale della contraddizione tra le classi. Non potendo negare il
fenomeno, si nega la contraddizione, di modo da indirizzare
l’antagonismo di classe e il conflitto sociale verso obiettivi secondari e non
essenziali.
Questo
è il più cospicuo e importante risultato conseguito dalla borghesia imperialista
nell’attuale fase storica in cui l’implosione del valore di scambio è
implosione del modo di produzione capitalistico. Qui sta la più grave responsabilità
civile, morale e storica di ciò che passa ancora per essere il ceto
intellettuale.
Tanto
per fare un esempio concreto: questa gente, alla quale è affidato il compito di
nascondere il rapporto tra tempo di lavoro pagato e quello non pagato, in realtà
viene a nascondere con il suo gioco delle tre carte un rapporto ben più
complesso, e cioè un rapporto di sfruttamento e quindi di antagonismo. In altri
termini, si potrebbe dire che l’antagonismo
assoluto corrisponde ad un certo valore numerico del saggio del plusvalore.
Ma qui, mi rendo conto, entriamo in un terreno meno favorevole al pensiero che
scambia l’astrazione per fatuità. Ad ogni modo …
... non
si rendono conto, posto che della cosa interessi realmente, che la “caduta del
saggio di profitto” è una legge, non un sofisma filosofico. Non è solo
caduta del guadagno dei capitalisti, ma è indice della perdita di capacità di
sviluppo, di espansione dell’intera formazione sociale. Nonostante le
apparenze, le magnifiche sorti e progressive ululate da tanti manigoldi, è
misura della morte di tale formazione.
Ancora
e a proposito della vexata qæstio del
denaro che tanto tiene vivi – almeno
questo – e impegnati (a stampare moneta).
Il valore di scambio, prima che denaro, è “l’astratto rapporto della proprietà
privata con la proprietà privata”. Questa dinamica esprime qualcosa di ben più
profondo: è la forma di relazione fondamentale che si stabilisce tra gli uomini
nel modo di produzione capitalistico che, nel suo divenire tende a negarsi e a
produrre il suo superamento (il “tendere a zero del valore di scambio nel
divenire della contraddizione valore d’uso-valore e valore di scambio”, per dirla con
Marx). Ciò che entra in crisi non è semplicemente il “rapporto monetario”, ma
l’intera gamma di relazioni sociali tra gli uomini.
In
altri termini, ciò che tende a prodursi e ad emergere, è una nuova complessità
della materia sociale, nuovi rapporti tra gli uomini e degli uomini con le
cose. Per questo si tratta di crisi generale-storica del capitalismo. Ora anche
gli orbi della grande comunicazione cominciano a intravedere qualcosa, ma data
la loro posizione di classe, si tratta pur sempre della Large Magellanic Cloud.
Crisi
generale, perché crisi di tutta la formazione sociale. Crisi storica, perché la
materia sociale prodotta dal modo di produzione capitalistico ha raggiunto, nel
dominio reale totale, la sua “massa critica”: ogni ulteriore espansione è
insieme processo di esplosione/implosione, di massima diversificazione e di
collasso autodistruttivo.
In
definitiva, il carattere assoluto della contraddizione tra il movimento
impetuoso della formazione sociale (lo vediamo bene) e i limiti sempre più
ristretti della “razionalità” del plusvalore relativo (e qui la divulgazione
fatica, ma confido nell’intuizione), impone al capitale di sviluppare strategie
sempre più rigide di controllo della materia sociale e di farle operare come
“controtendenze” alla crisi. Su questo tema un prossimo post, a proposito della
sovrappopolazione relativa e l’invecchiamento, sarà in tal senso più
esemplificativo.
questi ciarlatani parlano alle classi medie che hanno ancora orecchie per ascoltarli, il proletariato è disciplinato direttamente dalla sua miseria. non è solo questione del minimo sindacale di consenso per mantenere in piedi il teatrino della democrazia, è che è proprio il plusvalore relativo prodotto che decide quali, quante e con quanta quota di ricchezza complessiva le classi medie se la devono cavare. prima o poi gli diranno che devono lasciare una fetta di torta a cinesi ed indiani. faranno buon viso a cattivo gioco come sempre, ma alle condizioni peggiori?
RispondiEliminaah se è per questo è da un pezzo ci dicono di lasciare una fetta (la nostra, non quella dei padroni) di torta a cinesi ed indiani. basta leggere, tra tutti, Scalfari
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