mercoledì 17 febbraio 2016

La cage


Nonostante l’enorme aumento della produttività del lavoro (ricordiamoci, per favore, che solo il lavoro è produttivo, la tecnologia di per sé non produce un cazzo nulla), nonostante la pletora di merci di ogni tipo e la sovrapproduzione di cui tanto ci si duole, la condizione di povertà riguarda fasce sociali sempre più ampie. Si parla di calo dei consumi, sviando dalla caduta del potere d’acquisto attuata con l’abolizione della scala mobile, il cambio della moneta e la concorrenza spietata cui è obbligata la forza-lavoro! Anche laddove non si tratti di vera e propria indigenza, si ha a che fare con la famosa difficoltà di arrivare alla fine del mese, con la rinuncia di determinati consumi quali per esempio le frutta, le verdure e il pesce fresco. Non è dunque la nostra una società sempre in festa, non tutta e non sempre almeno.

Ebbene le spiegazioni che ci sono offerte – la crisi (che è un effetto, non la causa, e così il suo collaterale: la crisi da debito), la disoccupazione (altro effetto), il debito pubblico (come sopra), la deflazione e la caduta del prezzo delle materie prime (idem), insomma tutto ciò che l’immaginario propagandistico sa escogitare, non ci dicono assolutamente nulla sulla causa fondamentale che produce tali effetti, ossia sulla contraddizione che sta alla base della produzione capitalistica. Si arriva al punto di scrivere amenità simili a queste:





Non abbiamo a che fare solo con l’ignoranza, il pressappochismo e la sciatteria di chi ha scritto materialmente questa stravagante banalità, bensì con un lavoro sistematico di falsificazione e distrazione. Ad un più alto livello si tratta di una precisa strategia adottata al fine di produrre un senso ideologico contro la coscienza e gli interessi delle masse schiavizzate. Ciò che si vuole con ogni mezzo estirpare è qualsiasi forma di consapevolezza del carattere assoluto e totale della contraddizione tra le classi. Non potendo negare il fenomeno, si nega la contraddizione, di modo da indirizzare l’antagonismo di classe e il conflitto sociale verso obiettivi secondari e non essenziali.

Questo è il più cospicuo e importante risultato conseguito dalla borghesia imperialista nell’attuale fase storica in cui l’implosione del valore di scambio è implosione del modo di produzione capitalistico. Qui sta la più grave responsabilità civile, morale e storica di ciò che passa ancora per essere il ceto intellettuale.

Tanto per fare un esempio concreto: questa gente, alla quale è affidato il compito di nascondere il rapporto tra tempo di lavoro pagato e quello non pagato, in realtà viene a nascondere con il suo gioco delle tre carte un rapporto ben più complesso, e cioè un rapporto di sfruttamento e quindi di antagonismo. In altri termini, si potrebbe dire che l’antagonismo assoluto corrisponde ad un certo valore numerico del saggio del plusvalore. Ma qui, mi rendo conto, entriamo in un terreno meno favorevole al pensiero che scambia l’astrazione per fatuità. Ad ogni modo …

... non si rendono conto, posto che della cosa interessi realmente, che la “caduta del saggio di profitto” è una legge, non un sofisma filosofico. Non è solo caduta del guadagno dei capitalisti, ma è indice della perdita di capacità di sviluppo, di espansione dell’intera formazione sociale. Nonostante le apparenze, le magnifiche sorti e progressive ululate da tanti manigoldi, è misura della morte di tale formazione.

Ancora e a proposito della vexata qæstio del denaro che tanto tiene vivi – almeno questo – e impegnati (a stampare moneta). Il valore di scambio, prima che denaro, è “l’astratto rapporto della proprietà privata con la proprietà privata”. Questa dinamica esprime qualcosa di ben più profondo: è la forma di relazione fondamentale che si stabilisce tra gli uomini nel modo di produzione capitalistico che, nel suo divenire tende a negarsi e a produrre il suo superamento (il “tendere a zero del valore di scambio nel divenire della contraddizione valore d’uso-valore e valore di scambio”, per dirla con Marx). Ciò che entra in crisi non è semplicemente il “rapporto monetario”, ma l’intera gamma di relazioni sociali tra gli uomini.

In altri termini, ciò che tende a prodursi e ad emergere, è una nuova complessità della materia sociale, nuovi rapporti tra gli uomini e degli uomini con le cose. Per questo si tratta di crisi generale-storica del capitalismo. Ora anche gli orbi della grande comunicazione cominciano a intravedere qualcosa, ma data la loro posizione di classe, si tratta pur sempre della Large Magellanic Cloud.

Crisi generale, perché crisi di tutta la formazione sociale. Crisi storica, perché la materia sociale prodotta dal modo di produzione capitalistico ha raggiunto, nel dominio reale totale, la sua “massa critica”: ogni ulteriore espansione è insieme processo di esplosione/implosione, di massima diversificazione e di collasso autodistruttivo.


In definitiva, il carattere assoluto della contraddizione tra il movimento impetuoso della formazione sociale (lo vediamo bene) e i limiti sempre più ristretti della “razionalità” del plusvalore relativo (e qui la divulgazione fatica, ma confido nell’intuizione), impone al capitale di sviluppare strategie sempre più rigide di controllo della materia sociale e di farle operare come “controtendenze” alla crisi. Su questo tema un prossimo post, a proposito della sovrappopolazione relativa e l’invecchiamento, sarà in tal senso più esemplificativo.

2 commenti:

  1. questi ciarlatani parlano alle classi medie che hanno ancora orecchie per ascoltarli, il proletariato è disciplinato direttamente dalla sua miseria. non è solo questione del minimo sindacale di consenso per mantenere in piedi il teatrino della democrazia, è che è proprio il plusvalore relativo prodotto che decide quali, quante e con quanta quota di ricchezza complessiva le classi medie se la devono cavare. prima o poi gli diranno che devono lasciare una fetta di torta a cinesi ed indiani. faranno buon viso a cattivo gioco come sempre, ma alle condizioni peggiori?

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    1. ah se è per questo è da un pezzo ci dicono di lasciare una fetta (la nostra, non quella dei padroni) di torta a cinesi ed indiani. basta leggere, tra tutti, Scalfari

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