Le
società storiche finora non hanno mai cessato di definirsi in funzione del
movimento di appropriazione privata. E dunque del potere di una classe, di una
casta, di individui che si arrogano, in quanto proprietari, del godimento di
beni dai quali escludono gli altri. Dall’altra
parte, i non proprietari non hanno scelta: essi sono costretti a collaborare
per assicurare la propria esistenza fisica, la loro sopravvivenza dipende dalla
loro attività nel quadro dell’appropriazione privata.
Sennonché
nello sviluppo del modo di produzione capitalistico i salariati hanno visto man
mano ampliarsi e crescere, con l’aumento della produttività del lavoro e con le
loro lotte, la cerchia dei loro godimenti e dei loro consumi. Questo fatto ha
provocato nei riformatori di ogni latitudine orgasmi captati dai rivelatori interferometrici in tutta la
galassia e, pare, anche oltre.
Questi miglioramenti non hanno mutato il rapporto di dipendenza e di sfruttamento rispetto al passato: 1) le condizioni della vendita della forza-lavoro, anche se divenute più favorevoli per il lavoratore, implicano comunque la necessità della sua costante rivendita; 2) il capitalista esige costantemente la fornitura di una determinata quantità di lavoro non retribuito da parte dell’operaio; 3) la ricchezza, come sanno anche i premi Nobel, si amplia anzitutto come capitale.
Questi miglioramenti non hanno mutato il rapporto di dipendenza e di sfruttamento rispetto al passato: 1) le condizioni della vendita della forza-lavoro, anche se divenute più favorevoli per il lavoratore, implicano comunque la necessità della sua costante rivendita; 2) il capitalista esige costantemente la fornitura di una determinata quantità di lavoro non retribuito da parte dell’operaio; 3) la ricchezza, come sanno anche i premi Nobel, si amplia anzitutto come capitale.
La
gigantesca centralizzazione dei capitali, della quale leggiamo quotidianamente
sui giornali, aumenta gli effetti dell’accumulazione e li accelera, e allo
stesso tempo allarga e accelera i
rivolgimenti nella composizione tecnica del capitale, in ciò aumentando la
parte costante a spese di quella variabile (vulgo:
una massa minore di lavoro può bastare per mettere in moto una massa maggiore
di macchinario e materia prima), e con questo diminuisce la domanda relativa di lavoro.
Questo
processo di espulsione della forza-lavoro, che vediamo incarnato nella protesta
degli operai davanti alle fabbriche o innanzi alle sedi del governo e del
parlamento, crea una disoccupazione di massa che non ha possibilità di essere riassorbita.
In altri termini: il capitale, in rapporto alla propria grandezza, ossia nelle nuove condizioni in cui lo pone lo sviluppo della produttività, e dunque l’accumulazione e in forma più potente ancora la centralizzazione dei capitali, respinge un numero sempre maggiore di lavoratori prima da esso occupati.
Nell’epoca
della crisi generale-storica del modo di produzione capitalistico, al capitale
serve una quota sempre minore di forza-lavoro, e ciò crea una sovrappopolazione
non solo in termini relativi (esercito industriale di riserva) ma anche assoluta.
Aperta
parentesi storica. Per quanto riguarda l’agricoltura, non appena la produzione
capitalistica si è impadronita di tale ambito economico, la domanda di
popolazione operaia agricola è diminuita in via assoluta mano a mano che vi aumentava la concentrazione del capitale
in funzione. La parte della popolazione rurale che non ha più trovato
collocazione e impiego in agricoltura, si è trovata costretta a trasferirsi nel
proletariato urbano per essere impiegata principalmente nelle manifatture,
nell’edilizia, ecc..
Riprendiamo:
per quanto riguarda il proletariato impiegato nell’industria, mano a mano che
aumenta la concentrazione del capitale in funzione e la sua centralizzazione, e cioè viene a squilibrarsi in modo
costante e progressivo il rapporto tra capitale variabile e costante, la sovrappopolazione
si fa visibile soprattutto nel momento in cui i canali di deflusso verso le altre
attività, dei servizi e del pubblico impiego, si restringono e si chiudono (*).
In
tal guisa si deprimono anche i salari e a seguito della disoccupazione e
sottoccupazione di massa, i lavoratori si trovano sempre più spesso con un
piede dentro la palude del pauperismo. Ciò ha ovviamente effetti anche sui
consumi e deprime la congiuntura, il rapporto tra debito e Pil, i redditi, eccetera. Tanto più in paesi nei quali la struttura economica è stata scientificamente
demolita e subordinata ad interessi più forti, tanto più in paesi in cui il parassitismo è marcato e vischioso. Si entra in una spirale nella quale le crocerossine neokeynesiane
possono solo distribuire aspirine e glicerolo ad effetto emolliente.
Va
considerata anche un’altra circostanza di grande rilievo, della quale ho
scritto ad nauseam, e cioè che col
cadere del saggio del profitto, il capitale per la propria valorizzazione ha
sempre meno riguardo per la spesa improduttiva, per il mantenimento di quei
gruppi sociali che consumano senza produrre (o perché hanno esaurito il loro
ciclo vitale utile al capitale), ossia senza contribuire alla realizzazione ed alla
conservazione del valore.
Riproduzione
complessiva delle classi sociali e delle classi lavoratrici sono funzioni che
il capitale ha delegato allo Stato, sempre più portatore degli interessi della
borghesia imperialista. Il capitale non si preoccupa della riproduzione e della
reintegrabilità della popolazione che non sia funzionale alla valorizzazione. Popolazione che potrebbe
tranquillamente essere in vario modo soppressa.
Del resto il debito pubblico si è fatto divorante, e si annunciano di anno in
anno misure di austerità e di macelleria sociale più ampie e più crude, ma ciò
come vediamo (e vedremo) è difficile da attuare nel quadro delle istituzioni
democratiche, serve dunque l’intervento e la minaccia decisiva di istituzioni
sovrannazionali, governate nei nodi strategici da personale tecnico-politico,
truppa selezionata dai governi degli Stati membri che ha fatto propria la
visione degli interessi del grande capitale internazionalizzato e dunque fedele
e capace di tradurre operativamente le sue strategie.
Queste
pattuglie specializzate dell’imperialismo agiscono tranquille, e
perciò non c’è alcuna speranza di un imminente cambiamento di rapporti. Ridono di occupy Wall Street, dei decrescisti e
di tutti coloro che si pongono in marcia alla testa e seguono in coda i vari movimenti di
riforma del capitalismo. Sono consapevoli della loro impunità in assenza di un movimento realmente antagonista.
Nostalgici
dell’equilibrio perfetto, gli ingegneri sociali e gli specialisti del controllo
sociale tentano la quadratura del cerchio. Il parlamento diventa una noce vuota, un
guscio staccato dalla polpa, abilmente reso inviso presso l’opinione pubblica
per demerito proprio e per enfasi mediatica. Pur tuttavia esso svolge una duplice
funzione contraddittoria. Da una parte, alimenta la simulazione, sia pure con
sempre minor credito, che il meccanismo di formazione delle decisioni politiche
riposi sui cittadini e il voto, dall’altra, supporta l’attività separata e
sostanzialmente autonoma dell’esecutivo.
In
ultima analisi, non abbiamo a che fare con una progredente trasformazione di
processi di produzione combinati socialmente e predisposti scientificamente, come nitriscono talune ex stelle dell'operaismo. Si
promuovono accordi di liberalizzazione, norme più vantaggiose per gli scambi e
per i grandi monopoli, predisponendosi a far versare al proletariato un nuovo
tributo di sangue nel momento in cui dovessero saltare le mediazioni e la lotta
interimperialistica esplodere in un nuovo conflitto generale.
(*)
Gli strumenti legislativi dichiarati volti a “superare l’apartheid nel
mondo del lavoro tra garantiti e giovani precari”, altra funzione non hanno che:
1) consentire ampia libertà alle imprese di selezionare e licenziare
forza-lavoro; 2) sviare le tensioni sociali verso obiettivi secondari e
strumentali, quali il presunto conflitto intergenerazionale, tema fatto cavalcare da coorti d'imbecilli via web.
Condividi in pieno il tuo pensiero, rabbrividendo. http://leparoleinutili.com/blog/1
RispondiEliminacerto che lo condivido, almeno per qualche giorno. e, in ogni caso, ho la stufa accesa.
EliminaUna lucidità ai limiti della trasparenza; la realtà vista senza alcuna schermatura. Ci vogliono occhiali da saldatore, forse, per restare indifferenti.
RispondiEliminaogni tanto tolgo lo sguardo dal riverbero
Eliminaper es. dal riverbero odierno, fatto di celebrazioni: non acquisto alcun quotidiano. lasciamo al tempo la non ardua sentenza.
c'è bisogno di una exit strategy dal capitalismo
RispondiEliminaFacile come fermare un treno con una mano ...
Eliminaera una battuta...di solito cerco di articolare ma mai mi scappa l'accenno ad un programma di qualsiasi tipo, perchè non c'è nessuna strategia, nessuna tattica, eppure c'è molto lavoro da fare
Eliminabrillante come al solito.
RispondiEliminaMa siccome la "rivolta delle masse" ( di deficienti aggiungo io ) è ben lungi , non ci resta che aspettare il " conflitto interimperialistico" , cioe' restare " in padella" in attesa di poter saltare " nella brace".
ws
Mi scusi, ma lei che certo deficiente non é, perché non non dà il suo contributo al "che l'inse? " o è uno di quei rivoluzionari da salotto tutti "armiamoci e partite?" Perché in questo caso oltre a trattarsi di un film già visto spiegherebbe molte cose sulla passività dei presunti deficienti
RispondiEliminaEnrico
caro amico, intuisco che lei è la prima volta che capita da queste parti, e perciò con lei sarò gentile omettendo di risponderle a tono. ad ogni modo: sveglia, l'epoca dei Balilla è finita, ora vanno di moda i kamikaze.
RispondiEliminaCertamente. A patto però che siano gli altri, e chissà perché, a farsi esplodere al-Baghdadi non ci va mai. Ah già. L'avanguardia rivoluzionaria ha bisogno di capi o forse perché è più sveglio degli altri.
RispondiEliminaGrazie comunque per la cortese risposta.
Enrico
Dalle "TESI SUI PARTITI COMUNISTI E IL PARLAMENTARISMO, APPROVATE AL II CONGRESSO (1920)" dell'Internazionale Comunista
RispondiEliminaIl Partito comunista deve rompere con la vecchia abitudine socialdemocratica di presentare come candidati esclusivamente dei parlamentari cosiddetti «esperti», per lo più avvocati e simili. Di regola è necessario presentare come candidati degli operai senza preoccuparsi che questi nella maggioranza dei casi siano semplici militanti senza grande esperienza parlamentare. Gli arrivisti che si avvicinano al Partito comunista per poter entrare in parlamento, devono essere bollati a fuoco. I comitati centrali dei Partiti comunisti devono convalidare soltanto le candidature di coloro che hanno dato prova in lunghi anni di attività della propria incondizionata devozione alla classe operaia.