Barnie
Sander, il candidato alle primarie del Partito democratico per la corsa alla
presidenza degli Stati Uniti, dichiara di essere un socialista democratico. Che
cos’è il socialismo democratico? “Il
socialismo democratico – scrive Sander –
significa che dobbiamo creare un'economia che funzioni per tutti, non solo per
i più ricchi”. L’ideale, sembra di capire, sarebbe far star bene tutti, nell’ambito
degli attuali rapporti economici, con 700 grandi corporations che controllano
l'80 per cento delle più importanti imprese del mondo. Ed è proprio a queste
multinazionali che Sander dice di voler far pagare una “quota equa delle
imposte”.
Da
chi farà approvare le sue riforme “socialiste” Sander? Quanti operai e
salariati vede tra i cosiddetti rappresentanti del popolo, ossia al
Congresso? Vengono tutti dalle alte dirigenze, dagli uffici legali e da altri
luoghi e categorie del privilegio, legati quindi a grossi interessi economici e
professionali. E ciò che vale per Sander e per gli Usa, vale per tutti gli
altri.
*
Si
assiste ad una redistribuzione delle carte della lotta di classe, certamente
non alla sua sparizione né ad una sua esatta continuazione all’interno del
vecchio schema otto-novecentesco. Allo stesso modo non si sta assistendo ad un
superamento degli Stati-nazione (quando mai vi rinuncerebbe la Merkel o Cameron,
i fabbricanti di armi e di altre delizie) ma a una riproposizione del
nazionalismo nel dispositivo di soprannazionalità: alcuni blocchi mondiali
composti da zone sovrannazionali più o meno centrifughe e le nazioni sotto la
loro influenza.
Poi
un reticolo di gigantesche transnational
corporations che a loro volta ne controllano altre, una convergenza di
interessi inedita e spaventosa. Il risultato di tale intreccio è che circa 3/4
della proprietà delle imprese del nucleo principale è nelle mani di imprese
dello stesso conglomerato.
Secondo
questa realtà si possono considerare proletari coloro che non hanno alcuna
possibilità di modificare lo spazio-tempo che il capitale concede loro di
consumare ai diversi gradi di relativa abbondanza e di promozioni permesse. Un
consumo dello spazio-tempo odioso e disperante che un’infima minoranza
“produce” riproducendo un’organizzazione sociale all’interno della quale si
radica l’alienazione del consumo e di tutta la vita.
Le
élite, invece, organizzano questo spazio-tempo, e hanno un margine di scelta
riguardo la sopravvivenza delle vecchie piccole forme di proprietà privata e di
welfare, allo scopo di garantirsi un minimo di consenso (*). Ecco dunque che
nell’ambito di questi assetti sociali e politici definirsi socialisti,
riformisti, di sinistra, eccetera, non ha nulla a che fare con un movimento che
cambi radicalmente l’organizzazione di questo-spazio tempo e di decidere la sua
riorganizzazione – non solo giuridica – in un senso diverso da quello dominato
dalla conservazione e la valorizzazione del capitale, dunque dalla produzione
per la produzione (**).
Insisto,
ancora una volta, su un altro aspetto, e cioè riguardo all’utilizzo che le
classi dirigenti del passato sapevano fare della piccola parte di plusvalore
estorto a una produzione sociale statica, sulla base di una penuria generale. Ebbene,
possiamo osservare come gli individui di questa minoranza, di questa élite,
oggi, in generale, hanno perso essi stessi la loro “padronanza”. Sono solamente
dei consumatori di potere, del meschino potere dell’insensata organizzazione
della sopravvivenza. Tale potere è la negazione dell’impiego di tutte le forze
della società, di tutte le possibilità creatrici di ognuno per se stesso e in
dialogo con gli altri. Dove sono allora i padroni? Li vediamo bene, sono all’altra
estremità di questo sistema assurdo, nel polo del rifiuto, del negativo. Un
anacronismo che verrà spazzato via.
(*)
Quanti elettori hanno assistito, direttamente o in tv, a un Consiglio europeo
(oppure del Consiglio dell’Unione Europea), un organismo istituzionale (status
riconosciuto dal trattato di Lisbona) che prende decisioni d’indirizzo
importanti, ma a porte chiuse. Che dire poi del Parlamento europeo? È l’unica
istituzione elettiva della UE, e però “non detiene il potere legislativo”. In
tal senso vige in Europa la stessa democrazia di una corte rinascimentale.
Dice
bene Luciano Canfora: si tratta di “un’oligarchia
dinamica incentrata sulle grandi ricchezze ma capace di costruire il consenso e
farsi legittimare elettoralmente tenendo sotto controllo i meccanismi
elettorali” (La democrazia, p.
331). Per quanto riguarda poi i media, o sono direttamente controllati dal
potere politico e dall’esecutivo, oppure dal capitale privato e dagli
inserzionisti, con una forte convergenza tra il contenuto editoriale, i valori
e gli interessi del padronato e delle classi medio alte, e ciò può essere
semplicemente rilevato dalla scelta delle notizie e dal modo in cui sono date e
interpretate. In tal modo è ben chiaro chi decide l’ordine del giorno del
dibattito pubblico, e come sia facile plasmare il modo in cui tutta la società
percepisce la realtà politica e sociale.
(**)
Il socialismo è stato anzitutto una dottrina egualitaria, e volendo se ne
potrebbero rintracciare le radici in epoca ellenistica e romana, e finanche in
Platone e in tutti i modelli mitici dell’età dell’oro, poi in Tommaso Moro, nei
Livellatori, nelle reducciones del
Paraguay, nella curiosa e celebre Histoire
des Sévarambes, e chi più ne ha più ne metta, fino agli scritti molto noti
di Rousseau e Morelly. Insomma, todos
socialistas, forse nessuna etichetta politica è stata più flessibile di
questa. Perfino i fascisti tedeschi si definirono socialisti
(nazionalsocialisti). E in Italia sappiamo a quali derive ideologiche portò il
“socialismo”.
Claude
Willard disse che “il socialismo non è mai stato altro che la coda – una coda
irrequieta – della democrazia borghese”. L’economista e politico Louis Reybaud,
nel 1854, ebbe a dire che “il socialismo è morto; parlare di socialismo non può
voler dire altro che fare la sua orazione funebre”. Negli Usa pare lo stiano apprezzando
solo ora.
Marx
nel Diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte
e nelle Lotte di classe in Francia dal
1848 al 1859, ed Engels in Rivoluzione
e controrivoluzione in Germania, seppero trarre i dovuti insegnamenti dagli
avvenimenti del 1848-‘49. Se i socialdemocratici tedeschi e russi si chiamarono
socialdemocratici è perché non potevano definirsi ufficialmente comunisti. La
stessa Internazionale dovette accogliere
un po’ di tutto per vedersi poi dilaniata al suo interno da dissensi ideologici
e tattici.
Marx
nella sua lettera a Friedrich Bolte, del 23 novembre 1871, scrive a tale
riguardo: «L’Internazionale fu fondata
per mettere al posto delle sètte socialiste o semisocialiste, la vera
organizzazione di lotta della classe operaia. I primi statuti come l’Indirizzo
inaugurale lo mostrano al primo sguardo. D’altro lato l’Internazionale non
avrebbe potuto affermarsi, se il corso della storia non avesse già dimostrato
il fallimento delle sètte. Finché le sette sono (storicamente) legittime, la
classe operaia è ancora immatura per un autonomo movimento storico. Appena
raggiunge questa maturità, tutte le sètte diventano reazionarie. Nella storia
dell’Internazionale si è ripetuto ciò che la storia mette in evidenza ovunque.
Il vecchio cerca di riprodursi ed affermarsi all’interno della forma finalmente
acquisita» (MEOC, vol. XLIV, p. 337).
Questo
progresso dalle sètte al programma del Partito comunista e all’organizzazione
dell’Internazionale è dunque l’elemento di novità che nella trasformazione
delle vecchie tendenze comincia a qualificare un nuovo tipo d’approccio
politico, attribuendo importanza primaria “al punto di vista teorico”, in
polemica soprattutto con Bakunin. Il programma del quale «era un guazzabuglio d’idee affastellate in fretta a destra e a manca:
uguaglianza delle classi (!), abolizione del diritto di successione
come punto di partenza del movimento
(una stupidaggine sansimoniana) ateismo
imposto ai membri come dogma ecc. e,
come assioma principale, astensione dal
movimento politico (in senso proudhoniano)».
A
tale proposito va detto che nell’Europa occidentale restava dominante per buona
parte della seconda metà dell’Ottocento l’influenza di Proudhon, un socialista
il cui ideale è quello di una repubblica di piccoli proprietari, di produttori
uniti dal mutualismo e legati da crediti concessi senza interesse da una Banca
del popolo. Il suo socialismo antistatalista vieta agli operai qualsiasi azione
sovversiva, e finanche il ricorso allo sciopero. Quello stesso Proudhon che
secondo la lettura craxiana avrebbe fatto la barba nientemeno che a Marx!
L’insistenza
di Marx sulla necessità degli operai di fare una politica autonoma e di classe
solo in parte si realizzerà, almeno secondo i suoi principi teorici, nei nuclei
di quei partiti politici di sinistra che si formano all’indomani della
sconfitta della Comune e della scissione dell’Internazionale. E difatti i
risultati si sono visti, soprattutto ad opera di Bernstein e poi con il voto
dei socialdemocratici tedeschi favorevole ai crediti di guerra.
Sempre
nella stessa lettera a Bolte, Marx a riguardo di Lassalle e della
socialdemocrazia tedesca (molto nota peraltro la dura presa di posizione di
Engels negli ultimi anni della sua vita): «In
Germania: la cricca di Lassalle. Per due anni io stesso sono in corrispondenza
col famigerato Schweitzer, dimostrandogli in modo inconfutabile che
l’organizzazione di Lassalle altro non è che un’organizzazione settaria e come
tale contrapposta all’organizzazione del vero
movimento operaio perseguita dall’Internazionale. Si è intestardito di non
intendere ragione».
Ottimo articolo .E'chiaro noi stiamo vedendo solo restylings di " vecchi trucchi " che possno essere ri-venduti al solito "popolo" solo in virtù del fatto che il " popolo non ha memoria" ( in quanto non ha mediamente ne cultura ne istruzione e ne soprattutto lo DESIDERA )) e "le coporations " (*) detengono oggi un sistema propagandistico che non ha uguali nella storia
RispondiEliminaws
(*) a proposito sarebbe interessante sapere chi detiene "realmente" i CDA di queste piramidali e " incestuali" corporations... Mai fidarsi dei "frontmen" che ci sventolano dai media :-)
A proposito di economia e spazio-tempo, con lo spazio inteso come mercato mondiale, dal Sole24Ore:
RispondiElimina"Rischio Cina, l’industria protesta a Bruxelles".
Dall'articolo:
"Per l’industria manifatturiera italiana ed europea è arrivato il momento di alzare la voce. Imprenditori e lavoratori del comparto siderurgico, ceramico e delle fonderie, insieme a quelli del vetro e dell’alluminio e di altri settori esposti alla concorrenza sleale si danno appuntamento domani a Bruxelles, nel parco del Cinquantenario, per una manifestazione che punta a coinvolgere 5mila persone per sollecitare le istituzioni europee ad una maggiore tutela dei comparti colpiti dalla concorrenza sleale cinese."
Quando occorre i padroni si fanno accompagnare dai rappresentanti sindacali contro un comune nemico del momento, la Cina.
Sullo sfondo, la contrarietà di paesi come la Germania, l'Italia e la Francia sul riconoscimento alla Cina dello status di economia di mercato.
Vogliono un nuovo protezionismo o cosa?
Saluti,
Carlo.
sì, ho visto in prima del Sole (lo leggerò domani). su questa questione c'è già tutto nell'opuscoletto di Marx scritto quasi 170 anno or sono. la germania è contraria? stento a crederlo.
Eliminaciao Carlo