I
telegiornali si sono dimenticati di farci vedere, in occasione del 40°
anniversario, le immagini delle ultime truppe americane che lasciano Saigon in
elicottero. Sono immagini davvero emblematiche che le nuove generazioni
dovrebbero vedere. Quella guerra, al suo apice vedeva impegnati più di 536.000
soldati americani, è costata oltre tre milioni di vietnamiti morti, il
bombardamento con lo sganciamento di una quantità di esplosivi superiore a
quella della seconda guerra mondiale sulla Germania. Furono impiegate
massicciamente le bombe al napalm, cosparse le foreste e le campagne con il
cosiddetto "Agente Orange", un defoliante cancerogeno e teratogeno.
A morire in Vietnam non andavano solo i
figli di proletari ma poteva capitare anche ai figli della piccola e media
borghesi, ed infatti iniziò fin dal 1964 nei campus delle università un’intensa
campagna d’opposizione alla guerra in seguito sostenuta anche dai media. Migliaia
di giovani statunitensi che se lo potevano permettere scelsero la fuga in
Canada o in Europa occidentale, piuttosto che rischiare la coscrizione. Molti
altri trovarono altri modi per opporsi all’arruolamento, di modo che vennero
sollevati molti dubbi sull'imparzialità con cui i giovani venivano scelti per andare
a combattere in Vietnam, in quanto toccava spesso ai poveri, ai membri delle
minoranze etniche (neri e ispanici erano in effetti percentualmente
predominanti nei reparti operativi da combattimento) o a quelli che non avevano
appoggi influenti, essere arruolati.
La
lezione servì agli stati maggiori imperialisti, dopo di allora fu sospesa la
coscrizione e per queste guerre s’inviano “volontari”, cioè proletari e
sottoproletari che non trovano di meglio per campare che vestire una divisa e imparare
ad ammazzare la gente.
La
caduta di Saigon ha rappresentato una splendida vittoria di un popolo oppresso
contro la più potente nazione imperialista del pianeta. Tuttavia, nonostante
l'eroismo e il sacrificio del popolo vietnamita in trent’anni di guerra, prima
contro il colonialismo francese e poi contro l'imperialismo statunitense, c'è
un elemento innegabile nelle condizioni che prevalgono quattro decenni dopo la
loro vittoria.
Quella
grande lotta contro i colonialisti e contro la guerra degli imperialisti non è
riuscita a liberare il Vietnam dal suo status di ex paese coloniale oppresso.
Quaranta anni dopo la caduta di Saigon, il Vietnam è diventato un paese ad alto
tasso di sfruttamento cioè a basso costo di manodopera per le imprese multinazionali.
Washington sta anche cercando di attirare l'Hanoi nel Trans-Pacific Partnership
(TPP), un blocco commerciale proposto per contrastare l’ascesa della Cina come
potenza economica egemone nella regione. Va ricordato che la Cina è il
principale partner commerciale del Vietnam, ma gli Stati Uniti sono diventato
il suo più grande mercato di esportazione.
Non
solo. Recentemente gli Usa hanno parzialmente revocato il divieto di vendita o
il trasferimento di armi al Vietnam in vigore dopo la sconfitta degli Stati
Uniti nel 1975. Allo scopo di allineare il Vietnam agli interessi dell’imperialismo
degli Stati Uniti in Asia, Hanoi riceve armi destinate alla sicurezza
marittima, laddove il chiaro obiettivo è quello che riguarda le tensioni con la
Cina sulle isole contese nel Mar Cinese Meridionale. Il Vietnam sta diventando
una pedina nella preparazione della guerra contro la Cina.
Il
destino della rivoluzione vietnamita è stato compromesso dal suo isolamento, a
sua volta favorito dalla visione nazionalista della leadership vietnamita,
nella formazione della quale ha avuto per lungo tempo un ruolo determinante la
versione stalinista del socialismo. Da non dimenticare che la Cina nel 1979 ha
invaso il Vietnam per punire Hanoi di aver spodestato Pol Pot dalla Cambogia.
Dunque un destino già scritto e senza speranza.
Ad
ogni modo, quarant'anni dopo la sconfitta dell'imperialismo USA in Vietnam, la
lezione di questa esperienza resta decisiva. La principale consiste nel fatto che
la lotta contro la guerra imperialista può essere condotta con successo
attraverso la mobilitazione di tutto un popolo. Quella Vietnamita è stata però anzitutto una guerra nazionale per l’indipendenza. Per il socialismo è invece
necessario che le classi sfruttate si organizzino politicamente e militarmente in
una lotta internazionale di lungo periodo per porre fine al sistema capitalista,
all’imperialismo e alla sue guerre. Non c’è altra strada che questa, e le nuove
generazioni che tanto distanti sembrano da tutto ciò, apprenderanno la lezione sulla
propria pelle. Su questo ormai non c’è dubbio.
Scusa, immagino un refuso, la data dell'invasione cinese del Vietnam è il 1979.
RispondiEliminaCiao,
Carlo.
Beh,consoliamoci,la stampa non si e'dimenticata di raccontarci con enfasi la nascita di un rampollo reale in piu'da sfamare,non senza che coinvolgesse le masse nella trepidazione le doglie reali della puerpera.amen
RispondiEliminanella sostanza si tratta di un altro fallimento del "comunismo reale" e ,proprio per il suo eroico passato, per certi aspetti assai peggiore dei "compromessi" cinesi che almeno hanno permesso alla cina di ritornare ad essere la grande potenza di sempre.
RispondiEliminaIn ogni caso qui non e' solo il problema di un "comunismo che non funziona" ma del fatto "geostrategico" che il Vietnam deve sempre trovare dei contrappunti esterni per reggere al suo ingombrante vicino , sia che fosse "nazionalista" come prima o "comunista" come dopo ... e non sempre puo' trovare un URSS a svolgere quel ruolo
(https://aurorasito.wordpress.com/2015/05/02/guerra-del-vietnam-il-ruolo-cruciale-delle-armi-russe/) .
Nel 1945 ho ci min appunto preferi' il "momentaneo ritorno dei francesi ", ma se i suoi eredi di oggi scegliessero "il momentaneo ritorno degli americani" farebbero un ben peggiore affare.
Olympe, Coloro che non ricordano la Storia sono condannati a riviverla (George Santayana).
RispondiEliminaPS, piccolo refuso: 1979, non 1969, ciao, buona domenica
ringrazio i lettori attenti, ovviamente è 1979 non 1969
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