Stavo
rileggendo alcune pagine del libro di Eduard Bernstein (I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia,
Laterza, 284 pp.) e pensavo se i vari D’Alema e Bersani avessero mai letto
questa raccolta di saggi che per loro dovrebbe rappresentare se non proprio la
bibbia quantomeno il loro De civitate Dei
contra Paganos, laddove i pagani sarebbero quei passatisti nostalgici del
marxismo. E però Bersani e C. hanno cose di ben altro momento cui pensare,
specie in queste ore. Dopo una lotta durissima contro la destra berlusconiana
ora devono prendersi briga della creatura che gli è nata in casa. Per quanto
protestino la loro estraneità, quella creatura ha tutti i tratti di famiglia.
*
Dopo
oltre un secolo di revisionismo possiamo ben vedere quali sono i risultati e
dunque i limiti invalicabili oltre i quali le magnifiche sorti e progressive
del riformismo non ci possono portare. Basterebbero pochi numeri relativi alla
crisi come si presenta qui da noi per averne un’idea: tra il 2007 e il 2014, la disoccupazione è aumentata del 108,2 per cento e ha sbranato il potere
d'acquisto di moltissime famiglie. Siamo diventati il Paese con la più alta
percentuale di giovani fra i 15 e i 24 anni che non lavorano e non studiano, dal
16,2% del 2007 al 22,2% del 2013. Le regioni del sud hanno visto un peggioramento
della disoccupazione di circa il 100%, ma in altre del centro nord le
ripercussioni calcolate sull'intero periodo sono connotate da numeri molto più
elevati: la Lombardia +163%, il Piemonte +174,38% e l'Emilia-Romagna +286,06
per cento. Oltre all'incremento della disoccupazione, si è avuto anche il calo
del 4,78% dell'occupazione che dal 62,8 del 2007 è passata al 59,8 del 2013 e
poi ancora giù al 55,7% nel 2014.
*
In
generale è pur vero che in oltre un secolo le condizioni delle classi lavoratrici
sono enormemente migliorate, e del resto non potrebbe essere che così dato lo
sviluppo della tecnologia e lo slancio avuto della produzione. Altrimenti le
merci a chi si venderebbero? E pure le leggi di tutela hanno avuto grande
impulso e i diritti si sono ampliati. E tuttavia quei numeri qui sopra sono
implacabili, senza dire dei milioni di lavoratori che sono costretti a
condizioni di precariato e sfruttamento che sembravano in buona parte retaggio del
passato, e della revoca delle tutele che sembravano acquisite per sempre. Ed è
pure un fatto che da circa un secolo, nonostante le promesse di Bernstein e dei
suoi epigoni, la giornata lavorativa normale è di otto ore. E il lavoro festivo
invece di diminuire è aumentato a dismisura, specie nei settori dei servizi.
A
ben vedere non c’è adeguato rapporto tra l’enorme aumento della produttività
del lavoro e ciò che giunge infine ai lavoratori, tanto è vero che la
sovrapproduzione è il fenomeno più evidente della crisi. Così com’è noto
l’enorme aumento della ricchezza da parte delle classi sociali più “fortunate”.
Pertanto tra l’apparente forza del riformismo e la sua effettiva influenza
sugli antagonismi tra capitale e lavoro, tra povertà e ricchezza, c’è un abisso
che invece di ridursi si sta allargando a vista d’occhio. Come testimonia del
resto l’autorevole voce del papa cattolico, il quale però non può andare oltre
le sterili esortazioni per una più equa distribuzione della ricchezza, come se
ciò dipendesse dalla volontà dei singoli.
E
il papa di Roma non è il solo a trasferire la questione sociale dal campo dei rapporti di produzione capitalistici al campo dei rapporti soggettivi tra ricchi e poveri.
Basterebbe agire, come sognano i riformisti, sul terreno della fiscalità e cioè
sui redditi da capitale per ottenere ipso facto una più equa distribuzione
della ricchezza. Sembra l’uovo di Colombo, ma non lo è.
Si vuole ignorare, tra l’altro, che quanto più si sviluppa il monopolio
capitalistico e l’aspetto della finanziarizzazione dell’economia, tanto più la
proprietà privata capitalistica si rende autonoma dal processo produttivo, e in
tal modo anche la ricchezza si trasforma sempre più da diritto sul prodotto a
diritto di appropriazione astratto e con ciò trova mille modi per sfuggire il
fisco. Ma il punto vero della questione non
è questo!
Si tende a tacere un fatto essenziale, e cioè che il
capitale punta sempre e comunque ad un obiettivo: risparmiare lavoro. E ciò ha
effetti sia dal lato dell’occupazione e, per diversi motivi, dal lato dei
salari. Non c’è riforma al mondo che possa inibire questo imperativo
categorico, questa necessità assoluta e insopprimibile del capitale. Pertanto,
tra l’idea di riforma del capitalismo e la sua realtà pratica vi è un’evidente
e non superabile contraddizione.
Tutte
le cosiddette forze di sinistra presenti in parlamento sono impotenti poiché
tutti i parlamenti non possono nulla contro la forza con cui muovono i grandi
interessi capitalistici. Si tratta di un’impotenza che si sta rivelando sempre
più tragica e che potrebbe ben presto portarci ad altre terribili catastrofi.
Ciò
premesso e posto che in altre epoche la collaborazione tra le classi sociali, e il
riformismo di più diversa origine politica, potesse avere entro certi limiti
delle sue ragioni, vuoi per migliorare le condizioni delle classi lavoratrici e
vuoi per laicizzare e democratizzare lo Stato, tali ragioni sono state a tal
punto messe in non cale o inquinate dall’ideologia e dal pragmatismo neoliberista
che di esse non ve n’è più traccia. Ciò con cui dobbiamo fare i conti è la
prospettiva riformista che ci propone Renzi.
Sono persuaso che se Bersani o D'Alema (ecc.) leggessero quanto sopra, non riuscirebbero neanche a capire di quello che si parla.
RispondiEliminasono più avanti, loro, così avanti che si sono persi nella selva oscura del pragmatismo da dove speriamo non ritornino più. teniamoci stretti la loro creatura che invece bernstein lo legge in originale e glielo traduce in inglese ad obama dopo averlo glossato di proprio pugno.
EliminaSembrerebbe non esservi piu'speranza,ed invece io credo si stiano per aprire nuove pagine di storia reale,ove almeno una chiarezza va facendosi strada lentamente e cioe'la chiara percezione di un fallimento,di un percorso che al pari della teoria di un socialismo in un solo paese insieme allo stalinismo,crolla pure la prospettiva riformista,poiche'essa si basava su un mondo che piu'non esiste (che non e'mai esistito,se non per un breve periodo storico).A ben pensarci quello che tu chiami pragmatismo altro non era ,non e' che la piu'utopica delle utopie.
RispondiEliminaSi ricomincia.
anche secondo me qualcosa si sta muovendo, ma è presto per dire cosa
Eliminahttp://www.militant-blog.org/?p=11890
RispondiEliminaMi sembra Olympe, che gran parte dell'analisi contenuta nell'articolo su, collimi con quanto scrivi tu da tempo.
Ciao, Franco.
leggerò, grazie. buon primo maggio Franco
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