mercoledì 29 aprile 2015

La prospettiva di Renzi


Stavo rileggendo alcune pagine del libro di Eduard Bernstein (I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia, Laterza, 284 pp.) e pensavo se i vari D’Alema e Bersani avessero mai letto questa raccolta di saggi che per loro dovrebbe rappresentare se non proprio la bibbia quantomeno il loro De civitate Dei contra Paganos, laddove i pagani sarebbero quei passatisti nostalgici del marxismo. E però Bersani e C. hanno cose di ben altro momento cui pensare, specie in queste ore. Dopo una lotta durissima contro la destra berlusconiana ora devono prendersi briga della creatura che gli è nata in casa. Per quanto protestino la loro estraneità, quella creatura ha tutti i tratti di famiglia.
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Dopo oltre un secolo di revisionismo possiamo ben vedere quali sono i risultati e dunque i limiti invalicabili oltre i quali le magnifiche sorti e progressive del riformismo non ci possono portare. Basterebbero pochi numeri relativi alla crisi come si presenta qui da noi per averne un’idea: tra il 2007 e il 2014, la disoccupazione è aumentata del 108,2 per cento e ha sbranato il potere d'acquisto di moltissime famiglie. Siamo diventati il Paese con la più alta percentuale di giovani fra i 15 e i 24 anni che non lavorano e non studiano, dal 16,2% del 2007 al 22,2% del 2013. Le regioni del sud hanno visto un peggioramento della disoccupazione di circa il 100%, ma in altre del centro nord le ripercussioni calcolate sull'intero periodo sono connotate da numeri molto più elevati: la Lombardia +163%, il Piemonte +174,38% e l'Emilia-Romagna +286,06 per cento. Oltre all'incremento della disoccupazione, si è avuto anche il calo del 4,78% dell'occupazione che dal 62,8 del 2007 è passata al 59,8 del 2013 e poi ancora giù al 55,7% nel 2014.

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In generale è pur vero che in oltre un secolo le condizioni delle classi lavoratrici sono enormemente migliorate, e del resto non potrebbe essere che così dato lo sviluppo della tecnologia e lo slancio avuto della produzione. Altrimenti le merci a chi si venderebbero? E pure le leggi di tutela hanno avuto grande impulso e i diritti si sono ampliati. E tuttavia quei numeri qui sopra sono implacabili, senza dire dei milioni di lavoratori che sono costretti a condizioni di precariato e sfruttamento che sembravano in buona parte retaggio del passato, e della revoca delle tutele che sembravano acquisite per sempre. Ed è pure un fatto che da circa un secolo, nonostante le promesse di Bernstein e dei suoi epigoni, la giornata lavorativa normale è di otto ore. E il lavoro festivo invece di diminuire è aumentato a dismisura, specie nei settori dei servizi.

A ben vedere non c’è adeguato rapporto tra l’enorme aumento della produttività del lavoro e ciò che giunge infine ai lavoratori, tanto è vero che la sovrapproduzione è il fenomeno più evidente della crisi. Così com’è noto l’enorme aumento della ricchezza da parte delle classi sociali più “fortunate”. Pertanto tra l’apparente forza del riformismo e la sua effettiva influenza sugli antagonismi tra capitale e lavoro, tra povertà e ricchezza, c’è un abisso che invece di ridursi si sta allargando a vista d’occhio. Come testimonia del resto l’autorevole voce del papa cattolico, il quale però non può andare oltre le sterili esortazioni per una più equa distribuzione della ricchezza, come se ciò dipendesse dalla volontà dei singoli.

E il papa di Roma non è il solo a trasferire la questione sociale dal campo dei rapporti di produzione capitalistici al campo dei rapporti soggettivi tra ricchi e poveri. Basterebbe agire, come sognano i riformisti, sul terreno della fiscalità e cioè sui redditi da capitale per ottenere ipso facto una più equa distribuzione della ricchezza. Sembra l’uovo di Colombo, ma non lo è.

Si vuole ignorare, tra l’altro, che quanto più si sviluppa il monopolio capitalistico e l’aspetto della finanziarizzazione dell’economia, tanto più la proprietà privata capitalistica si rende autonoma dal processo produttivo, e in tal modo anche la ricchezza si trasforma sempre più da diritto sul prodotto a diritto di appropriazione astratto e con ciò trova mille modi per sfuggire il fisco. Ma il punto vero della questione non è questo!

Si tende a tacere un fatto essenziale, e cioè che il capitale punta sempre e comunque ad un obiettivo: risparmiare lavoro. E ciò ha effetti sia dal lato dell’occupazione e, per diversi motivi, dal lato dei salari. Non c’è riforma al mondo che possa inibire questo imperativo categorico, questa necessità assoluta e insopprimibile del capitale. Pertanto, tra l’idea di riforma del capitalismo e la sua realtà pratica vi è un’evidente e non superabile contraddizione.

Tutte le cosiddette forze di sinistra presenti in parlamento sono impotenti poiché tutti i parlamenti non possono nulla contro la forza con cui muovono i grandi interessi capitalistici. Si tratta di un’impotenza che si sta rivelando sempre più tragica e che potrebbe ben presto portarci ad altre terribili catastrofi.


Ciò premesso e posto che in altre epoche la collaborazione tra le classi sociali, e il riformismo di più diversa origine politica, potesse avere entro certi limiti delle sue ragioni, vuoi per migliorare le condizioni delle classi lavoratrici e vuoi per laicizzare e democratizzare lo Stato, tali ragioni sono state a tal punto messe in non cale o inquinate dall’ideologia e dal pragmatismo neoliberista che di esse non ve n’è più traccia. Ciò con cui dobbiamo fare i conti è la prospettiva riformista che ci propone Renzi.

6 commenti:

  1. Sono persuaso che se Bersani o D'Alema (ecc.) leggessero quanto sopra, non riuscirebbero neanche a capire di quello che si parla.

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    1. sono più avanti, loro, così avanti che si sono persi nella selva oscura del pragmatismo da dove speriamo non ritornino più. teniamoci stretti la loro creatura che invece bernstein lo legge in originale e glielo traduce in inglese ad obama dopo averlo glossato di proprio pugno.

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  2. Sembrerebbe non esservi piu'speranza,ed invece io credo si stiano per aprire nuove pagine di storia reale,ove almeno una chiarezza va facendosi strada lentamente e cioe'la chiara percezione di un fallimento,di un percorso che al pari della teoria di un socialismo in un solo paese insieme allo stalinismo,crolla pure la prospettiva riformista,poiche'essa si basava su un mondo che piu'non esiste (che non e'mai esistito,se non per un breve periodo storico).A ben pensarci quello che tu chiami pragmatismo altro non era ,non e' che la piu'utopica delle utopie.
    Si ricomincia.

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    1. anche secondo me qualcosa si sta muovendo, ma è presto per dire cosa

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  3. http://www.militant-blog.org/?p=11890

    Mi sembra Olympe, che gran parte dell'analisi contenuta nell'articolo su, collimi con quanto scrivi tu da tempo.

    Ciao, Franco.

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