sabato 23 maggio 2015

Ti spiego perché sei disoccupato e tale resterai


Ormai passiamo più tempo a contatto con le macchine che con gli altri esseri umani. C’è il rischio che le macchine sostituiscano gli esseri umani? La domanda è malposta, come sempre quando si ha a che fare con l’ideologia corrente. Il problema non è la tecnologia, ma i rapporti sociali in cui opera.

Facciamo l’esempio, che va di moda, della robotica nel processo di produzione industriale. La sostituzione del lavoro umano con quello delle macchine non sarebbe un problema laddove la sostituzione avesse come obiettivo principale la liberazione dell’uomo dal lavoro della fabbrica. Per contro l’impiego delle macchine in un sistema in cui la produzione ha un unico ed esclusivo scopo, cioè la produzione di plusvalore, diventa un problema.

Il problema, contrariamente alle apparenze, non è la tecnologia, ma il rapporto contraddittorio che essa viene ad assumere nell’ambito dei rapporti di produzione capitalistici. Nell’introdurre nuove macchine, lo scopo del capitale non è quello di migliorare le condizioni dell’operaio e fargli risparmiare fatica (naturalmente gli ideologi borghesi su queste questioni vanno a nozze, ci ricamano sopra. Del resto essi devono pur meritarsi il prezzo della loro servitù al sistema). Scopo del capitale è di ridurre la parte retribuita del tempo di lavoro e aumentare quella non retribuita, quindi accorciare il tempo di lavoro necessario per la produzione di una merce, ridurne il valore, ergo il suo prezzo (*). In definitiva, ciò comporta un prolungamento del tempo di lavoro assoluto della giornata lavorativa complessiva, concetto questo ben chiaro ai padroni ma che è controproducente divulgare sic et simpliciter presso il volgo.



Vediamo di metterla dialetticamente: poiché corrisponde alla necessità di ridurre il tempo di lavoro necessario, e cioè di aumentare la quota di plusvalore estorta, l’assorbimento, l’incorporazione, l’interiorizzazione del virtuoso operaio e delle conoscenze scientifiche nel sistema della macchina, sono anch’esse tendenze necessarie del movimento del capitale. Ma si tratta di tendenze esplosive che portano con sé il germe della dissoluzione del capitale quale forma che domina la produzione.

Quanto sia vero, per dirla con Marx, che “il capitale è esso stesso la contraddizione in processo”, qui trova la sua conferma. Il capitale, del cui unico ed esclusivo scopo s’è detto, impiega il sistema delle macchine solo per aumentare il tempo di pluslavoro, ma facendo ciò, senza volerlo, riduce ad un minimo la quantità di lavoro necessario alla produzione di un determinato oggetto. Sicché mentre la massa dei valori d’uso (la quantità dei beni, per dirla nella volgare fraseologia dei bocconiani) si accresce enormemente in seguito all’aumentata produttività del lavoro, si riduce il tempo di lavoro necessario alla loro produzione e, dunque, il valore di scambio in essa contenuto.

In conclusione, poiché nel modo di produzione capitalistico il processo lavorativo si presenta solo come mezzo per il processo di valorizzazione, ne consegue che la contraddizione tra valore d’uso e valore di scambio tende a divaricarsi sempre più.

Le conseguenze di questa faccenda apparentemente astratta e un po’ più complicata di un sudoku di Repubblica, sono la causa del grande aumento della disoccupazione e, che è lo stesso, del fatto che sempre di più cala la domanda di forza-lavoro. E tuttavia, di là di questa spiacevole contingenza che tocca la forza-lavoro direttamente e individualmente, come accidente casuale, la dinamica divaricantesi tra valore d’uso e valore di scambio nella massa delle merci prodotte, conseguente alla sostituzione del lavoro vivo con sistemi di macchine (o di robot, se più piace), è alla base della crisi generale storica del modo di produzione capitalistico.


(*) Nessuna macchina impiegata nel processo produttivo, per quanto sofisticata, può cedere complessivamente alle merci più valore di quanto essa stessa non ne contenga.

7 commenti:

  1. Olympe, è più facile rimettere in discussione i nostri sistemi di consumo piuttosto che quelli di produzione? Se nessuno più ignora l’ampiezza della crisi ambientale che l’umanità sta affrontando, la crisi di civiltà, a cui questa si accompagna, rimane poco conosciuta. Non si può tuttavia uscire dall’impotenza se non la si diagnostica e non se ne misura l’effettiva gravità. Da Salvare il genere umano non solo il pianeta.
    Lucien Séve, 2011
    Secondo l’autore siamo ormai alla mercificazione generalizzata dell’umano, proprio perché “non c’è più nulla di umano che possa sfuggire al diktat della finanza: tutto deve produrre spietatamente un profitto a due cifre… il che significa anche finanziarizzazione generalizzata dei servizi tesi a formare e sviluppare le persone – salute, sport, insegnamento, ricerca, creazione, tempo libero, informazione, comunicazione; di colpo le finalità proprie di queste attività tendono a essere scalzate dalla legge del denaro”. A questa mercificazione si accompagnano la tendenza allo svuotamento di tutti i valori, la perdita incontrollabile di senso, la decivilizzazione senza argini, ma soprattutto la proscrizione sistemica delle alternative: “la frenesia del profitto tende a persuaderci della fatalità del peggio; il sistema stesso, la cui parola d’ordine è libertà, ha assunto come motto non ci sono alternative della Thatcher – e infatti come possiamo liberarci dell’onnipotenza dei mercati finanziari e delle agenzie di rating se la gigantesca crisi del 2008 non ha cambiato niente di significativo all’interno del sistema?”. E termina sostenendo che la carica etica dell’indignazione riavvicina alla politica e “deve portare a un nuovo tipo di azione, non nel senso della rivoluzione all’antica attraverso delle trasformazioni dall’alto, il cui fallimento è garantito, ma di impegno a tutti i livelli per l’ appropriazione comune in forme innovative di iniziativa e di organizzazione; a questo prezzo si potrà far deragliare la fatalità del peggio.”
    saluti

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  2. Olympe, è più facile rimettere in discussione i nostri sistemi di consumo piuttosto che quelli di produzione? Se nessuno più ignora l’ampiezza della crisi ambientale che l’umanità sta affrontando, la crisi di civiltà, a cui questa si accompagna, rimane poco conosciuta. Non si può tuttavia uscire dall’impotenza se non la si diagnostica e non se ne misura l’effettiva gravità. Da Salvare il genere umano non solo il pianeta.
    Lucien Séve, 2011
    Secondo l’autore siamo ormai alla mercificazione generalizzata dell’umano, proprio perché “non c’è più nulla di umano che possa sfuggire al diktat della finanza: tutto deve produrre spietatamente un profitto a due cifre… il che significa anche finanziarizzazione generalizzata dei servizi tesi a formare e sviluppare le persone – salute, sport, insegnamento, ricerca, creazione, tempo libero, informazione, comunicazione; di colpo le finalità proprie di queste attività tendono a essere scalzate dalla legge del denaro”. A questa mercificazione si accompagnano la tendenza allo svuotamento di tutti i valori, la perdita incontrollabile di senso, la decivilizzazione senza argini, ma soprattutto la proscrizione sistemica delle alternative: “la frenesia del profitto tende a persuaderci della fatalità del peggio; il sistema stesso, la cui parola d’ordine è libertà, ha assunto come motto non ci sono alternative della Thatcher – e infatti come possiamo liberarci dell’onnipotenza dei mercati finanziari e delle agenzie di rating se la gigantesca crisi del 2008 non ha cambiato niente di significativo all’interno del sistema?”. E termina sostenendo che la carica etica dell’indignazione riavvicina alla politica e “deve portare a un nuovo tipo di azione, non nel senso della rivoluzione all’antica attraverso delle trasformazioni dall’alto, il cui fallimento è garantito, ma di impegno a tutti i livelli per l’ appropriazione comune in forme innovative di iniziativa e di organizzazione; a questo prezzo si potrà far deragliare la fatalità del peggio.”
    saluti

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    1. “è più facile rimettere in discussione i nostri sistemi di consumo piuttosto che quelli di produzione?”

      Secondo me la questione non è posta in modo corretto e risente dell’influsso ideologico borghese. Bisogna infatti tener conto che il movimento della contraddizione fondamentale si riproduce, in forme specifiche, nei movimenti particolari di ciascuna dimensione della formazione sociale, e, come tale, ciascuno di questi movimenti si riverbera ancora su tutti gli altri e sul movimento fondamentale, rideterminandolo. Pertanto, la pretesa di rimettere in discussione il sistema di consumo non ha senso se non è rimesso in discussione il modo di produzione nella sua contraddizione fondamentale, e dunque ciò vale anche per tutto il resto.

      Dobbiamo prestare tutti molta attenzione a questi vizi del pensiero borghese poiché è da tali premesse ideologiche che nascono tutti i fraintendimenti e tutte le illusioni del riformismo cazzaro.
      ciao caro

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  3. il processo di produzione va rimesso in discussione tutto e non solo da qui in avanti, quindi vanno rimessi in discussione i risultati del lavoro passato e cioè l'attualità. Giusto?

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    1. sono le contraddizioni del modo di produzione capitalistico che creano le condizioni della sua crisi, ed è il prorompere della crisi che ci mostra la necessità del suo superamento. eccetera

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    2. mi riferivo ancora all'attualità più discussa, la storia delle pensioni, del vecchio e del nuovo, dei vecchi e meno vecchi. Ti soffermi giustamente a difendere chi ha lavorato una vita in condizioni impressionanti, ma più correttamente va scritto loro che perderanno tutto. Da una parte a causa degli stronzi, ma dall'altra a causa del superamento storico delle loro convinzioni. Quando? è la domanda. Ma una persona invecchia proprio quando si chiede 'quando?'. Alla fine il lavoro reale è l'attività che fa precipitare il quando. l'abbreviare (e attenuare) le doglie del parto.

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  4. Olympe, “La carica etica dell’indignazione riavvicina alla politica e “deve portare a un nuovo tipo di azione, non nel senso della rivoluzione all’antica attraverso delle trasformazioni dall’alto, il cui fallimento è garantito, ma di impegno a tutti i livelli per l’ appropriazione COMUNE in forme innovative di iniziativa e di organizzazione; a questo prezzo si potrà far deragliare la fatalità del peggio.”
    E' noto che alcuni mesi prima della Comune, nell' autunno del 1870, Marx metteva in guardia gli operai parigini, mostrando loro che ogni tentativo di rovesciare il governo sarebbe stato una sciocchezza dettata dalla disperazione. Ma quando, nel marzo 1871, la battaglia decisiva fu imposta agli operai, ed essi l'accettarono cosicchè l'insurrezione divenne un fatto compiuto, Marx, nonostante i cattivi presagi, salutò con entusiasmo la rivoluzione proletaria.
    Marx non si limitò tuttavia ad entusiasmarsi per l'eroismo dei comunardi che, com'egli diceva, "davano l'assalto al cielo". Nel movimento rivoluzionario delle masse, benchè esso non avesse raggiunto il suo scopo, Marx vide una esperienza storica di enorme importanza, un sicuro passo in avanti della rivoluzione proletaria mondiale, un tentativo pratico più importante di centinaia di programmi e di ragionamenti. Analizzare questa esperienza, ricavarne delle lezioni di tattica, rivedere, sulla base di questa esperienza, la sua teoria - questo fu il compito che Marx si pose.
    L'unico "emendamento" che Marx giudicò necessario apportare al Manifesto del Partito comunista, lo fece sulla base dell'esperienza rivoluzionaria dei comunardi di Parigi.
    L'ultima prefazione a una nuova edizione tedesca del Manifesto del Partito comunista firmata insieme dai due autori porta la data del 24 giugno 1872. In questa prefazione Karl Marx e Friedrich Engels dicono che il programma del Manifesto del Partito comunista "è oggi qua e là invecchiato".
    "...La Comune, specialmente, - essi aggiungono, - ha fornito la prova che "la classe operaia non può impossessarsi puramente e semplicemente di una macchina statale già pronta e metterla in moto per i suoi propri fini"..." L'idea di Marx è che la classe operaia deve spezzare, demolire la "macchina statale già pronta", e non limitarsi semplicemente ad impossessarsene. Il 12 aprile 1871, vale a dire precisamente durante la Comune, Marx scriveva a Kugelmann:
    "...Se tu rileggi l'ultimo capitolo del mio 18 Brumaio troverai che io affermo che il prossimo tentativo della rivoluzione francese non consisterà nel trasferire da una mano ad un'altra la macchina militare e burocratica, come è avvenuto fino ad ora, ma nello spezzarla" (il corsivo è di Marx; zerbrechen nell'originale) "e che tale è la condizione preliminare di ogni reale rivoluzione popolare sul Continente. In questo consiste pure il tentativo dei nostri eroici compagni parigini
    Anche Lenin, molto pragmaticamente, dovette adattarsi ad usare la "macchina statale già pronta", e provare nuove tattiche lungo il percorso(Un passo avanti, due passi indietro...): «Il nostro compito immediato non è l'"instaurazione" del socialismo, ma, per ora, soltanto il passaggio al controllo della produzione sociale e della ripartizione dei prodotti da parte dei Soviet dei deputati operai», Il superamento della burocrazia è possibile solo a patto che il particolare interesse diventi realmente l’interesse generale,”Solo quando l’uomo reale, individuale, riassume in sé il cittadino astratto, e come uomo individuale nella sua vita empirica, nel suo lavoro individuale, nei suoi rapporti individuali è divenuto ente generico, soltanto quando l’uomo ha riconosciuto e organizzato le sue “forces propes” come forze sociali, e perciò non separa più da sé la forza sociale nella figura della forza politica, soltanto allora l’emancipazione umana è compiuta”. Saluti

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