«Ma le truffe esistono in ogni ambito
del mercato. Non fanno lo stesso scalpore le ripetute truffe ai danni di banche
ed istituti parabancari, o semplici truffe ai danni dei consumatori, benché
queste allo stesso modo implichino – anche – perturbazioni nei sistemi di
formazione dei prezzi (sia il costo dei prestiti, che dei beni acquistati
magari con tali prestiti), ma qualitativamente la questione è molto simile.
Dopo aver, in parte, ridimensionato il quadro, appare esagerato aggrapparvisi
per questionare la validità del “modello capitalistico” sottostante. Il modello
resta il più funzionale per l’emersione di prezzi che incorporino al meglio le
informazioni disponibili. La sanzione dei comportamenti illeciti (lesivi dei
rapporti contrattuali) è semplicemente parte dei meccanismi di correzione del
sistema, necessari proprio in conseguenza delle manchevolezze della natura
umana che emergono in qualsiasi contesto.»
Così
è scritto ne Il Sole 24ore con la
profondità che è propria degli apologeti del sistema. Le truffe e la corruzione
sono così divenute – se perpetrate da
parte delle banche – delle “manchevolezze”, della cui responsabilità
ovviamente risponde la “natura umana”. È l’occasione che fa l’uomo ladro, cosa
ci volete fare. E, del resto, i “comportamenti illeciti” meritano sanzione solo
perché “lesivi dei rapporti contrattuali”.
Perciò
non discutiamo nemmeno sulla realtà di tali rapporti, laddove sul mercato si
fronteggiano proprietari di merci dotati di eguali diritti, per cui “l’emersione
dei prezzi” delle rispettive merci, che incorporino al meglio le informazioni
disponibili, sono a rendere il modello come “il più funzionale”.
Quale
cazzo di uguali diritti? All’interno del mercato, cioè della compra-vendita
della forza-lavoro, il capitalista vende all’operaio una parte dello stesso prodotto dell’operaio. In altri termini, nel
processo di produzione i prodotti trasformati in capitale non sono prodotti del capitalista: sono i
prodotti dell’operaio!
Con
ciò l’apparenza di un mero rapporto tra possessori di merci svanisce. Altro che
l’emersione di prezzi che incorporino al
meglio le informazioni disponibili. La costante compra-vendita di capacità
lavorativa e il perenne contrapporsi delle merci prodotte dal lavoratore a lui
stesso come acquirenti della sua capacità lavorativa, appaiono solo come la forma
mediatrice del suo soggiogamento al capitale.
Questa
eternizzazione del rapporto fra capitale, quale compratore di lavoro, e
l’operaio, quale venditore di lavoro, è una forma peculiare, nella sua
dominanza generale, del modo di produzione capitalistico. E tuttavia una forma
che si distingue solo formalmente dalle altre e più dirette forme di
asservimento e di appropriazione del lavoro da parte dei detentori delle
condizioni della produzione.
Nelle
antiche forme di asservimento il lavoro dello schiavo, tolto quanto necessario
per il suo mantenimento, apparteneva al proprietario dello schiavo. Allo stesso
modo oggi il prodotto del lavoro dell’operaio appartiene, eccetto la parte
(salari) necessaria alla riproduzione dei suoi schiavi, al capitalista stesso. La
legge, e lo Stato come garante di essa, non fa altro che sancire questo
rapporto di subordinazione e sfruttamento.
Se
c’è una cosa in questo cazzo di rapporto
contrattuale che proprio non è chiara, essa consiste nel fatto che solo una
parte del prodotto del lavoro dell’operaio ritorna, come mezzi di
sostentamento, allo schiavo salariato. E, del resto, il prodotto del processo
di produzione capitalistico non è né semplice prodotto (valore d’uso) né semplice merce, cioè prodotto dotato di valore di scambio; il suo prodotto
specifico è il plusvalore.
Per
quale motivo un’intelligenza superiore come quella di Aristotele non poteva che considerare lo schiavo quale mero strumento animato? Egli pervenne alla
scoperta di un rapporto d’eguaglianza nella espressione di valore delle merci,
e tuttavia il limite storico della società entro la quale egli visse gli impedì
di scoprire in che cosa consista “in verità” questo rapporto di eguaglianza. Al
nostro tempo, pur non avendo sicuramente a che fare con menti geniali come
quelle di Aristotele, non possiamo
riconoscere alcuna attenuante agli apologeti di questo sistema infame di
sfruttamento.
A mio avviso, «gli apologeti» non vedono o, peggio, rifiutano di vedere perché non patiscono le pene del sistema, bensì godono degli avanzi loro riservati dal banchetto dei padroni.
RispondiEliminapiù sono avanzi corposi e più si sentono investiti della missione. non a caso dunque. poi ci sono gli utili idioti, quelli solo l'osso già rosicchiato con tanto gusto
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