sabato 30 maggio 2015

Non possiamo riconoscere loro alcuna attenuante


«Ma le truffe esistono in ogni ambito del mercato. Non fanno lo stesso scalpore le ripetute truffe ai danni di banche ed istituti parabancari, o semplici truffe ai danni dei consumatori, benché queste allo stesso modo implichino – anche – perturbazioni nei sistemi di formazione dei prezzi (sia il costo dei prestiti, che dei beni acquistati magari con tali prestiti), ma qualitativamente la questione è molto simile. Dopo aver, in parte, ridimensionato il quadro, appare esagerato aggrapparvisi per questionare la validità del “modello capitalistico” sottostante. Il modello resta il più funzionale per l’emersione di prezzi che incorporino al meglio le informazioni disponibili. La sanzione dei comportamenti illeciti (lesivi dei rapporti contrattuali) è semplicemente parte dei meccanismi di correzione del sistema, necessari proprio in conseguenza delle manchevolezze della natura umana che emergono in qualsiasi contesto.»

Così è scritto ne Il Sole 24ore con la profondità che è propria degli apologeti del sistema. Le truffe e la corruzione sono così divenute – se perpetrate da parte delle banche – delle “manchevolezze”, della cui responsabilità ovviamente risponde la “natura umana”. È l’occasione che fa l’uomo ladro, cosa ci volete fare. E, del resto, i “comportamenti illeciti” meritano sanzione solo perché “lesivi dei rapporti contrattuali”.



Perciò non discutiamo nemmeno sulla realtà di tali rapporti, laddove sul mercato si fronteggiano proprietari di merci dotati di eguali diritti, per cui “l’emersione dei prezzi” delle rispettive merci, che incorporino al meglio le informazioni disponibili, sono a rendere il modello come “il più funzionale”.

Quale cazzo di uguali diritti? All’interno del mercato, cioè della compra-vendita della forza-lavoro, il capitalista vende all’operaio una parte dello stesso prodotto dell’operaio. In altri termini, nel processo di produzione i prodotti trasformati in capitale non sono prodotti del capitalista: sono i prodotti dell’operaio!

Con ciò l’apparenza di un mero rapporto tra possessori di merci svanisce. Altro che l’emersione di prezzi che incorporino al meglio le informazioni disponibili. La costante compra-vendita di capacità lavorativa e il perenne contrapporsi delle merci prodotte dal lavoratore a lui stesso come acquirenti della sua capacità lavorativa, appaiono solo come la forma mediatrice del suo soggiogamento al capitale.

Questa eternizzazione del rapporto fra capitale, quale compratore di lavoro, e l’operaio, quale venditore di lavoro, è una forma peculiare, nella sua dominanza generale, del modo di produzione capitalistico. E tuttavia una forma che si distingue solo formalmente dalle altre e più dirette forme di asservimento e di appropriazione del lavoro da parte dei detentori delle condizioni della produzione.

Nelle antiche forme di asservimento il lavoro dello schiavo, tolto quanto necessario per il suo mantenimento, apparteneva al proprietario dello schiavo. Allo stesso modo oggi il prodotto del lavoro dell’operaio appartiene, eccetto la parte (salari) necessaria alla riproduzione dei suoi schiavi, al capitalista stesso. La legge, e lo Stato come garante di essa, non fa altro che sancire questo rapporto di subordinazione e sfruttamento.

Se c’è una cosa in questo cazzo di rapporto contrattuale che proprio non è chiara, essa consiste nel fatto che solo una parte del prodotto del lavoro dell’operaio ritorna, come mezzi di sostentamento, allo schiavo salariato. E, del resto, il prodotto del processo di produzione capitalistico non è né semplice prodotto (valore d’uso) né semplice merce, cioè prodotto dotato di valore di scambio; il suo prodotto specifico è il plusvalore.


Per quale motivo un’intelligenza superiore come quella di Aristotele non poteva che considerare lo schiavo quale mero strumento animato? Egli pervenne alla scoperta di un rapporto d’eguaglianza nella espressione di valore delle merci, e tuttavia il limite storico della società entro la quale egli visse gli impedì di scoprire in che cosa consista “in verità” questo rapporto di eguaglianza. Al nostro tempo, pur non avendo sicuramente a che fare con menti geniali come quelle di Aristotele, non possiamo riconoscere alcuna attenuante agli apologeti di questo sistema infame di sfruttamento.

2 commenti:

  1. A mio avviso, «gli apologeti» non vedono o, peggio, rifiutano di vedere perché non patiscono le pene del sistema, bensì godono degli avanzi loro riservati dal banchetto dei padroni.

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    1. più sono avanzi corposi e più si sentono investiti della missione. non a caso dunque. poi ci sono gli utili idioti, quelli solo l'osso già rosicchiato con tanto gusto

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