Il
nostro sistema sociale è detto democratico poiché poggia sulle libertà
individuali e collettive, anzitutto sul poter decidere della propria vita e del
proprio destino. Maggiore è la libertà di cui godono le persone e più alto è il
grado di democrazia della società in cui esse vivono. Per democrazia politica
intendiamo un sistema dove ogni cittadino può scegliere, attraverso il voto, da
chi farsi rappresentare, a tutela dei propri interessi e di quelli generali. In
democrazia vale il principio di maggioranza.
In
buona sostanza il concetto di democrazia non è ancorato a un contenuto di
classe, cioè al fatto che i cittadini siano possidenti o nullatenenti. I
principi fondativi dell’ordinamento costituzionale democratico riguardano in
ugual misura ogni cittadino e dunque si può credere che l’attuale ordinamento
sociale rappresenti, pur con tutti i suoi limiti e difetti, il miglior sistema
tra quelli possibili e come tale è accolto dalla maggioranza.
Grossomodo
è questa la democrazia quale l’intendiamo oggi comunemente, sorvolando sul
fatto che tale concetto ha un’origine molto più antica e assai controversa, né
è qui il caso di richiamare la contrapposizione, apparentemente paradossale,
tra democrazia e libertà così come essa viene intesa e delineata da storici,
giuristi e sociologi.
Autori
molto avveduti ritengono questo sistema dominato da “un’oligarchia dinamica
incentrata sulle grandi ricchezze ma capace di costruire il consenso e farsi
legittimare elettoralmente tenendo sotto controllo i meccanismi elettorali” (L.
Canfora, La democrazia, p. 331). Se
ciò è indubbiamente vero, va altresì rilevato, uscendo dal mero ambito storicistico
e sociologico, che il sistema sociale va analizzato nel proprio fondamento,
cioè nei rapporti di produzione capitalistici prima ancora che nei rapporti
soggettivi tra ricchi e poveri, tra maggioranze e minoranze, tra oligarchie e
plebi.
È
sul tema della democrazia che la borghesia riesce a dissimulare il fondamento della propria dittatura di
classe, ossia la divisione tra capitale e lavoro. È su questa base che si
decide il rango e l’influenza di tutti gli altri rapporti. Nella società
borghese non è semplicemente e genericamente la “ricchezza” a dominare tutto,
bensì il capitale come potenza economica.
Per un marxista ciò è ovvio, per un borghese molto meno.
Il
concetto di capitale, di capitale in generale, racchiude in sé tutte le
contraddizioni della produzione e della società borghese, come pure il limite dove essa ci conduce. Ed è qui che bisogna
indagare. Non voglio però appesantire oltre e perciò vado per le spicce.
*
È
nel riscontro quotidiano con la realtà che i principi fondativi
dell’ordinamento costituzionale democratico si schiantano fino a disintegrarsi.
E ciò non accade per via di una generica e astratta condizione umana, o per motivi quali il culto della ricchezza e la società demagogica perfetta. Del
resto dolersi, come capita di fare un po’ a tutti, delle forme involgarenti dello
spettacolo cui soggiacciono le masse, ci porta a considerare i fenomeni ma ci
lascia lontani dalle loro cause.
Non
è per nulla casuale che la Costituzione parta dal lavoro come fondamento della
Repubblica democratica. Tuttavia né al primo articolo né in seguito essa dice di
quale lavoro si tratti; coglie la sua
importanza ma solo in formule generali, astratte; elude il modo nel quale il
lavoro salariato, poiché di questo si tratta, riflette gli scopi della
proprietà privata.
Il
cittadino, l’uomo libero, cellula del popolo sovrano, trova anzitutto nel
lavoro la propria dimensione e dignità. Bene, accolta la formula. Se però il
cittadino non possiede propri mezzi di sostentamento deve lavorare anzitutto per
necessità. In tal modo si scopre vincolato dal bisogno così come il cane agli
avanzi del suo padrone. Se vuole mangiare il salariato deve cercarsi un padrone
che abbia interesse ad acquistare e mettere a frutto il suo lavoro.
La
Costituzione stabilisce che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione
proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro. Per quanto il lavoro
possa essere tutelato e retribuito, quando esso è costrizione, quando non è
volontario, si tratta di lavoro forzato. Non è quindi
mezzo per soddisfare un bisogno ma soltanto un mezzo per soddisfare bisogni
esterni. L’estraneità a questa forma di lavoro forzato si rivela chiaramente
non appena viene meno la coazione che costringe il lavoratore, ed infatti il
lavoro salariato viene sfuggito come la peste appena si può.
Il
lavoro da bisogno insopprimibile dell’attività creatrice dell’uomo diventa un
lavoro di sacrificio e di mortificazione, non appartiene al lavoratore ma ad un
terzo. Lo stesso prodotto del lavoro gli appare estraneo e oppressivo. Per
quanto aumentino i consumi dell’operaio, tanto più produce e tanto meno
consuma; quanto maggior valore produce e tanto minor valore egli possiede.
Quanto più diventa potente il suo lavoro, tanto più egli diventa impotente
sotto ogni riguardo. E quando
perde il lavoro la sua vita diventa tragedia.
Non
è forse questa la moderna forma in cui si esprime la schiavitù?
Saranno pure "spicce", per me trattasi di preziose pepite.
RispondiEliminano, nel senso che non è schiavitù ma molto peggio. fare di tutta la società nazionale una forza coesa, sistemica, un unico Capitale Umano, è l'espressione più assoluta del concetto di Capitale.
RispondiEliminaagli schiavi ciò non era richiesto e la produttività sociale rimase statica e a livelli infimi.
Capitale come potenza sociale che sopprime, senza riuscirvi mai, la propria natura antagonistica. Nutrendosi della propria contraddizione, ottimizzare il rapporto sociale di dominio. Quello che non ammazza ingrassa
A proposito di lavoro, leggo che in Cina, a Donguann, l'azienda Everwin Precision Technology Ltd, che si occupa di componenti per cellulari, sostituirà il 90% dei lavoratori con robots, da 2000 lavoratori a 200 lavoratori umani.
RispondiEliminaMotivazione, data da Di Suoling, a capo dell’Associazione degli imprenditori taiwanesi di Dongguan (taiwanesi che hanno aziende in Cina):
"Bisogna sostituire gli esseri umani con i robot, a causa della scarsità di manodopera e dell’aumento del costo del lavoro".
Secondo le tendenze di moda oggi, i salariati dovranno inventarsi il "loro" lavoro, tipo autista UberPop o dogsitter, quella che chiamano sharin economy, fino a quando non ci sarà l'auto che si guida da sola o il robottino che porta a spasso il cane...
Saluti,
Carlo.
vogliono risparmiare lavoro ma con ciò ogni unità di prodotto conterrà meno valore e il saggio del profitto tenderà a cadere. il cane che si morde la coda. ciao Carlo
EliminaOlympe, sei molto pessimista. Secondo me il problema non è la Costituzione, che nelle sue linee guida mette l'accento sui diritti economici e sociali e sulla loro garanzia effettiva. Si ispira anche ad una concezione antiautoritaria dello Stato con una chiara diffidenza verso un potere esecutivo forte e una fiducia nel funzionamento del sistema parlamentare, con l’inserimento di meccanismi idonei a tutelare le esigenze di stabilità governativa evitando ogni degenerazione del parlamentarismo, ma l’applicazione che di Essa viene fatta(Costituzione Materiale). La Costituzione mette l'accento sui diritti economici e sociali e sulla loro garanzia effettiva. Ci sono riferimenti già all’articolo 1, comma 1 ed all'articolo 4, comma 2. Il lavoro non è solo un rapporto economico, ma anche un valore sociale. Non è solo un diritto, bensì anche un dovere che eleva il singolo. Come è affermato con chiarezza nell'articolo 3, tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni sociali e personali, sono uguali davanti alla legge (uguaglianza formale, comma 1). È compito dello Stato rimuovere gli ostacoli che di fatto limitano l'eguaglianza e impedisce agli individui di sviluppare pienamente la loro personalità sul piano economico, sociale e culturale (uguaglianza sostanziale, comma 2). Nello stesso primo comma dedicato all'eguaglianza dinanzi alla legge, la Costituzione repubblicana richiama la "pari dignità sociale", andando dunque oltre la mera formulazione dell'eguaglianza liberale. Lo Stato ha il compito di aiutare le associazioni e le famiglie, attraverso la solidarietà politica, economica e sociale (art. 3 II comma, art.2). Esso infatti deve rimuovere ogni ostacolo che impedisca la formazione della propria personalità. L'organizzazione del lavoro: gli articoli dal 35 al 47 affermano che la Repubblica tutela il lavoro e la libertà di emigrazione (articolo 35), il diritto al giusto salario (articolo 36, comma 1), la durata massima della giornata lavorativa (articolo 36, comma 2), il diritto/dovere al riposo settimanale (articolo 36, comma 3), il lavoro femminile e minorile (articolo 37), i lavoratori invalidi, malati, anziani o disoccupati (articolo 38), la libertà di organizzazione sindacale (articolo 39), il diritto di sciopero (articolo 40), la libertà di iniziativa economica e i suoi limiti (articolo 41), la proprietà pubblica e privata, e la sua funzione sociale (articolo 42), la possibilità ed i limiti all'espropriazione (art 43). Un esempio concreto di tutti gli articoli precedenti, è, per esempio, la richiesta del REDDITO DI CITTADINANZA, che NON è un Reddito Minimo Garantito, ma «un reddito versato da una comunità politica a tutti i suoi membri su base individuale senza controllo delle risorse né esigenza di contropartite».
RispondiEliminaDiceva Petrolini: “Io non me la prendo con lei, ma con chi le sta vicino e non la butta giù dal loggione.” Purtroppo, quelli che lo attorniano sono solo sodali, servi, sciocchi, ed esperti TITILLATORI DI MOVIMENTI PERISTALTICI.
Saluti