La
questione lavoro è sempre lì, e si aggrava. Non c’è ripresa (quale?) che tenga,
c’è sempre meno bisogno di lavoro, anche di quello meno qualificato, per non
dire poi che il lavoro ha perso qualunque senso sociale, spesso trasformato in
una disoccupazione attiva, in precariato a vita, nella disaffezione e nello
smarrimento generale.
La
proliferazione del consumabile non ha un limite fisiologico, non nella
cosiddetta propensione ai consumi e allo spreco come credono taluni. Ha un
limite nella natura stessa del capitale. E tuttavia questo è solo un aspetto della
crisi italiana, sulla quale gravano altre condizioni e minacce.
Il
governo vuole far saltare 190mila precari del settore pubblico, àmbito che però in
genere non produce ricchezza, mentre il privato non assorbe e anzi chiude o fugge
verso margini di profitto migliori, con meno tasse e burocrazia. Questa
situazione, come tutti sanno, provoca caduta della domanda e un circolo vizioso
che produce recessione.
Del resto, dicono, non si può intervenire dal lato della domanda aggregata, il cosiddetto moltiplicatore è spompato, un enorme debito pubblico incombe. Chi lo detiene, in gran parte le banche nostrane, sa di avere, nelle proprie casseforti virtuali, carta straccia. Se le banche decidessero di vendere le proprie quote di debito pubblico espresse in obbligazioni per far fronte ai loro imponenti debiti, il sistema cadrebbe nel giro di un’ora, forse meno.
Non
tutti i mali vengono per nuocere, si diceva un tempo; solo che non si produrrà
un salto di binario, un cambio di sistema se non nelle forme del populismo e
della demagogia. Ne abbiamo avuto un esempio a febbraio scorso.
Posso
anche azzardare una previsione sui tempi: tre – cinque anni, non di più. Salvo
complicazioni di carattere internazionale, sempre possibili. Il coperchio della
pentola salterà nel momento in cui l’Italia, svenduta anche la rimanenza dell’argenteria,
sarà lasciata a un default soft, guidato. Per quella fase si provvederà per un
cambio di registro politico, sulla falsariga del 1992-’94. Dovrà cambiare tutto
perché tutto ciò che veramente conta resti com’è. Almeno questo nelle
intenzioni dei grandi manovratori.
La
verità è figlia del tempo, dice qualcuno. Non c’è più tempo e manca poco alla
fine del binario.
Sei troppo pessimista!
RispondiElimina;-)
Ciao
Tony
Fare previsioni è sempre rischioso ma quella fatta qui la condivido e non la trova affatto pessimista...Anzi: tra due anni partirà il fiscal compact che vuol dire altri 50 mld di euro all'anno che dovranno essere sacrificati sull'altare della lotta al debito pubblico... chi li tirerà fuori? I soliti noti, naturalmente...
RispondiEliminaE chi parla di "ripresa" dovrebbe dire per chi e dove ma ovviamente non lo fa. Come può riprendersi un paese de industrializzato come il nostro dove il lavoro non conta più nulla ed è giustamente qui definito "disoccupazione attiva" ?
fanno fatica a racimolane un paio per le coperture imu. ci commissariano, poco ma sicuro.
EliminaAllora speriamo nell'eterogenesi dei fini.
RispondiEliminaMauro
Per inciso, vorrei fare notare che - per quanto possa essere difficile da credere - l'impiego pubblico contribuisce in modo sostanziale al PIL (l'ultimo dato di cui ho memoria, sempre che ricordi bene, e' il 14%). Forse non e' facile spiegare come, ma oltre a divorare ricchezza l'impiego pubblico ne produce.
RispondiEliminaNaturalmente cio' e' del tutto irrilevante agli occhi di governi la cui unica politica a medio e lungo termine del pubblico impiego consiste nella distruzione del suddetto e nella svendita di quel che ne resta ai privati.
caro Mauro, per "ricchezza" non intendo il Pil, il quale rappresenta un aggregato più ideologico che economico.
EliminaPer lavoro produttivo, come certamente sai bene, s’intende solo il lavoro che si scambia con capitale e produce capitale. Per lavoro improduttivo s’intende il lavoro che si scambia con reddito. Il lavoro di un chirurgo o di un notaio o di un taxista, per quanto utili, non sono lavori produttivi. Anzi, sono lavori che consumano ricchezza. Il lavoro di un ingegnere che progetta un’automobile o quello di un designer che schizza una sedia sono lavori produttivi (partecipano alla valorizzazione della merce, quindi sono lavoratori produttivi) al pari di quello degli operai che producono materialmente l’automobile e la sedia. Si tratta, in questi casi, di lavoro intellettuale e manuale che si scambia con capitale e il cui risultato non è solo il capitale iniziale ma la produzione di plusvalore. Infatti non bisogna mai dimenticare che lo scopo della produzione capitalistica non è quello di produrre merci, come molti ritengono, ma di produrre plusvalore.
Smith aveva sostanzialmente ragione col suo lavoro produttivo e improduttivo, ragione dal punto di vista dell’economia borghese. Ciò che gli viene contrapposto dagli altri economisti è o sproloquio (per esmpio Storch, Senior ancor più pidocchiosamente), e cioè che ogni azione produce comunque degli effetti, per cui essi fanno confusione tra il prodotto nel suo senso naturale e in quello economico; secondo questo criterio anche un briccone è un lavoratore produttivo poiché, mediatamente produce libri di diritto criminale; (per lo meno questo ragionamento è altrettanto giusto per cui un giudice viene chiamato lavoratore produttivo perché protegge dal furto). Oppure gli economisti moderni si sono trasformati a tal punto in sicofanti del borghese da volerlo convincere che è lavoro produttivo se uno gli cerca i pidocchi in testa o gli sfrega l’uccello, giacché quest’ultimo movimento gli terrà più chiaro il testone — testa di legno — il giorno dopo in ufficio (Grundrisse, Meoc, XXIX, p. 203).
Expo 2015 come banchetto finale.
RispondiEliminaSensazioni.
Un saluto, Olympe.
ciao Marcos
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